Liberi sì, convertiti no

A colloquio con monsignor Henri Teissier

Nell’Algeria di oggi la libertà religiosa è una realtà. Ma non si può mostrare la propria fede troppo apertamente. La situazione di chi si è convertito al cristianesimo resta delicata. Alcune riflessioni dell’arcivescovo emerito di Algeri.

Monsignor Henri Teissier è arcivescovo emerito di Algeri. Nato a Lione (Francia) nel 1929 e ordinato prete nel 1955, il papa Paolo VI lo nomina vescovo di Oran nel 1972. Dal 1980 è arcivescovo coadiutore del Cardinal Duval ad Algeri e otto anni più tardi lo sostituisce. Monsignor Teissier vive gli anni duri del terrorismo islamico integralista in Algeria: 19 religiosi sono assassinati tra il ’94 e il ’96, tra cui il vescovo di Oran e i monaci di Tibhirine. Lui resta al suo posto, nonostante le minacce e le difficoltà. Si ritira per raggiunti limiti di età nel maggio del 2008, continuando a servire il suo popolo nella città di Tlemcen.
Lo abbiamo incontrato durante una sua breve visita in Italia.

Monsignor Teissier, ha conosciuto dei problemi di libertà religiosa in Algeria e come questo ha influenzato il suo essere pastore e vescovo?
«In Algeria c’è libertà religiosa per i cristiani che sono cristiani “di origine”. Per esempio adesso sono nella città di Tlemcen, nell’Ovest dell’Algeria. La comunità cristiana è composta quasi interamente da studenti africani venuti da 40 paesi diversi. All’università tutti i loro compagni sono musulmani. Quando arrivano gli stranieri i ragazzi algerini chiedono loro se sono musulmani e si stupiscono della risposta, ma poi la cosa diventa normale. Noi facciamo le celebrazioni, loro possono venire senza problemi. La libertà religiosa esiste ma ci sono difficoltà per i cristiani convertiti dall’Islam. Questo non è accettato nella società algerina dopo l’indipendenza, perché c’è l’idea che chi lascia l’Islam lascia la nazione, entrando in quella dei cristiani che hanno fatto la colonizzazione.
È successo che negli ultimi 15 anni si siano costituiti gruppi di evangelici. A differenza dei cattolici, per gli evangelici, fa parte della fedeltà a Cristo proclamare. Anche noi abbiamo dei convertiti, ma domandiamo loro di essere prudenti, di non avere problemi con la società. Gli evangelici sono algerini convertiti attraverso corsi di bibbia per corrispondenza, o trasmissioni radio e televisive da Cipro, Monte Carlo, Malaga. Poco per volta si è costituita una comunità cristiana algerina, con origini musulmane. Questo ha acceso un dibattito sulla stampa con posizioni diverse. La stampa di lingua francese, ricordava che la Costituzione algerina riconosce la libertà di coscienza. I giornali in lingua araba scrivevano: «L’Islam è la religione dello stato, questo ha la responsabilità di difendere l’Islam, non può lasciare la possibilità a questi gruppi di creare comunità …».
Pur non interpellati, noi abbiamo detto che una scelta religiosa viene dalla coscienza umana e che bisogna rispettarla, ma che si fa tenendo in conto la società in cui si vive, la famiglia.
Nel 1986 è stata fatta una legge contro il proselitismo con pena di reclusione in prigione. Ma di fatto non è mai stata applicata.
L’anno scorso, a febbraio 2010, il ministero degli Affari religiosi ha organizzato un incontro di due giorni sul tema del proselitismo. Penso fosse la prima volta, che in un paese arabo musulmano, si facesse una riflessione su questo.
In genere si dice che un musulmano non ha diritto di lasciare la sua religione, anzi, il diritto musulmano dice che chi lascia l’Islam deve essere ucciso.
Ma con le conversioni degli evangelici i dibattiti che si sono moltiplicati sulla stampa, la questione ha avuto uno spazio pubblico. Le conclusioni sono state: l’Islam è la religione dello stato e  non viene accettato il proselitismo organizzato, però la Costituzione riconosce la libertà di coscienza, se una persona fa una scelta, questa è personale, però l’importante che non si faccia propaganda.
Questa è la posizione dello stato, ma non è la posizione della società. Nelle famiglie è inconcepibile che un membro nato musulmano diventi cristiano. La conversione è più accettata dalle famiglie berbere, piuttosto che da quelle arabe, specialmente della Kabilia (Nord-Est) dove la popolazione non ha cultura araba. I kabili cercano le origini della nazione prima dell’Islam, sostengono: “Noi prima dell’Islam eravamo cristiani, eravamo ebrei, di religioni diverse, allora anche l’Isalm è venuto da noi in una forma di conquista”. In Kabilia si può trovare una famiglia che accetti la conversione di uno dei suoi membri. I Kabili sono il 10% della popolazione, poi c’è una altro 10% berberi, ma meno aperti dei primi. L’80% sono arabi musulmani e tra loro è più difficile la conversione. Gli ebrei sono andati via tutti: erano in Algeria prima dell’Islam, da venti secoli.

Oggi sarebbe possibile come missionari, andare in Algeria?
«Questo è il problema nato dopo lo sviluppo delle comunità di evangelici. Lo stato ha capito che c’era il rischio di aumento delle conversioni, allora ha chiuso l’ingresso ai missionari. E questo non solo per gli evangelici, che sarebbero venuti a incontrare i convertiti, ma anche per la chiesa cattolica e le altre chiese protestanti. Così oggi abbiamo molte difficoltà per ottenere i visti. Se non riusciamo a rinnovare in modo regolare la presenza, poco a poco, ci si estingue. Per noi è un grande problema. È difficile soprattutto il primo ingresso per un missionario anche per congregazioni già presenti, poi il rinnovo si fa normalmente. È una situazione nuova da 4-5 anni».

La cosiddetta primavera araba, questa rivoluzione anche culturale che ha toccato il Nord Africa, con i giovani che fanno sentire di più la loro voce, dal punto di vista religioso può portare un rinnovamento o è solo una questione politica?
«In Algeria abbiamo lo stesso partito politico, il Fronte di liberazione nazionale (Fnl), al potere da 50 anni. I giovani vogliono cambiare il sistema e chiedono libertà, responsabilità, possibilità di associarsi, ecc. Ma fino ad adesso non hanno parlato di libertà religiosa. Non in questo contesto».

Oggi c’è fondamentalismo come ai tempi del massacro di Tibherine, c’è pericolo che possa rinascere la violenza in Algeria?
«Grazie a Dio no. La gente ha sofferto molto, si parla di 150.000 morti tra il 1992 e il 2000. Oggi quelli che vogliono utilizzare la violenza sono piccoli gruppi sparsi, che fanno degli attacchi contro l’esercito. Ma ciò che chiedevano i gruppi armati da oltre 20 anni, di fare una società più musulmana, è avvenuto. Questo sia sul piano del velo per le donne, che sul ritorno alla conoscenza dell’Islam, alla preghiera, ad un’attenzione alla formazione musulmana dei bambini. Possiamo dire che adesso la società algerina è più legata all’Islam che prima della crisi. Gli algerini non hanno accettato l’Islam della violenza, ma il ritorno a una vita sociale più musulmana. Attraverso questo sviluppo si può segnalare una corrente dei sufisti, più attaccati alla esperienza personale religiosa e spirituale e per questo si sono interessati al cristianesimo come esperienza spirituale dell’incontro con Dio. Sono più aperti a rispettare lo sviluppo spirituale delle persone. Non accettano le conversioni, però si interessano a sapere chi sono i cristiani, qual è il cammino per la preghiera, la bibbia e ci invitano a incontri».

Come movimenti dal basso, è possibile creare iniziative comuni su alcuni principi ci sia un inizio di dialogo che possa portare a una maggiore condivisone anche dei valori religiosi?
«Questo è il nostro scopo. Se noi siamo in Algeria è per cercare quelli che vogliono essere nostri amici e condividere con loro tutto quello che si può, sia il lavoro sociale, sia una ricerca culturale sul futuro della nazione, sia un’interazione sui temi della globalizzazione. Abbiamo amici e con questi facciamo tante cose. Attraverso l’amicizia c’è un rispetto che esiste per quelli che sono cristiani da sempre, anche se per i convertiti è diverso. Bisogna che lo sviluppo porti verso un cambio totale, verso l’accettazione della conversione. Se uno di origine musulmana è cristiano perché i suoi genitori erano cristiani, è più facile per lui avere un posto nella società. Il parroco nel duomo di Algeri è algerino e suoi nonni furono cristiani. La gente è orgogliosa di dire che la responsabilità della cattedrale è data a un algerino. C’è questa contraddizione.
Io ho avuto due vicari generali di origine algerina, totalmente accettati. Nei ministeri sono sempre andato con loro senza problema, ma non sarei mai andato in un inconntro ufficiale con un musulmano convertito. Sarebbe una mancanza di rispetto.

a cura di Ugo Pozzoli

Ugo Pozzoli

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