Ombre sulla pace

Burundi: dopo 15 anni di guerra, una pace instabile

I massacri della guerra civile burundese restano impuniti. E gli
abitanti di uno dei più piccoli paesi d’Africa continuano a vivere
nell’incertezza per il futuro. La terra, unica risorsa del paese, inizia
a scarseggiare. Le elezioni del 2010 sono boicottate dall’opposizione. E
ritorna il fantasma dei «ribelli» sulle mille colline.


Il piccolo paese centro africano, sta tentando, con difficoltà, di
camminare sulla via della riconciliazione. Dalla sua indipendenza (1962)
dal protettorato belga, il Burundi era stato dominato da un gruppo di
tutsi, minoranza etnica (14% rispetto all’85% di hutu) e aveva già visto
la sua storia segnata da ricorrenti massacri (1964, 1972, 1988).
Nel giugno 1993 si tengono le prime elezioni libere, che sono vinte a
grande maggioranza dagli hutu. Melchior Ndadaye è il primo presidente
hutu del paese. Ma la transizione si rivela difficile, i tutsi sono in
tutti i posti chiave dell’amministrazione del paese e hanno in mano
l’esercito. Tre mesi dopo il neo presidente è assassinato e iniziano i
massacri che porteranno a 300.000 morti, un milione di sfollati e
rifugiati nei paesi confinanti (sui 6,8 milioni di abitanti di allora) e
a tre lustri di guerra civile. Storia meno nota del genocidio rwandese,
ma altrettanto terribile. Le uccisioni di massa nel vicino Rwanda si
innescano nell’aprile del ‘94, quando l’aereo su cui viaggiano i
presidenti di Rwanda e Burundi viene, misteriosamente, abbattuto. Oggi,
sei alti funzionari rwandesi, vicini al presidente Paul Kagame
(all’epoca ufficiali del suo esercito) sono sotto inchiesta per il
fatto.
La comunità internazionale si impegna nella difficile mediazione
burundese. Anche Julius Nyerere prima e (soprattutto) Nelson Mandela poi
sono coinvolti in prima persona. Nell’agosto 2000 sono firmati gli
accordi di Arusha (Tanzania), che prevedono una divisione in base alla
percentuale etnica nelle istituzioni dello stato, compreso l’esercito,
da sempre in mano ai tutsi. Ma la guerra continua.

Solo a fine 2003, con gli accordi di Pretoria (Sudafrica), si arriva a
un cessate il fuoco “quasi” generale. Sul terreno restano i ribelli del
Fronte nazionale di liberazione (Fnl), che scenderanno a patti nel 2008,
diventando partito politico l’anno successivo. Nel 2005 le elezioni
generali (presidenza, parlamento, amministrative) vedono la vittoria del
partito di ex ribelli Cndd-Fdd (Consiglio nazionale per la difesa della
democrazia – Forze per la difesa della democrazia). Pierre Nkurunziza,
uno dei leader, diventa presidente. Il primo vice presidente è invece un
tutsi. Vengono rispettate le quote etniche e tutti i partiti si
attrezzano per avere nei propri ranghi hutu e tutsi e cancellare i nomi a
sfondo etnico. Viene promulgata la nuova Costituzione.
«Ormai la connotazione non è più etnica – raccontava una giornalista
burundese prima delle ultime elezioni – si parla più in termini di
partiti politici, al potere e all’opposizione».

Alla firma di Pretoria gli sfollati sono ancora 100.000, mentre dal 2002
ad oggi sono 360.000 i rifugiati in Tanzania che rientrano nel paese,
secondo l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr). Oggi sarebbero
ancora 100.000 a dover rientrare.
In un paese di 27.000 km quadrati, con una popolazione di 8 milioni di
abitanti, questo enorme afflusso ha ulteriormente aggravato il problema
principale: la terra. La densità di popolazione, oltre 290 abitanti a
km2, è una delle più alte del continente.
«La terra è la questione fondamentale di questo paese. Con due stagioni
delle piogge, un suolo fertile e bagnato da diversi fiumi, il Burundi è
sempre verdeggiante. Ma la produzione alimentare non arriva a soddisfare
tutte le bocche da sfamare. Il padre di famiglia divide il suo
appezzamento tra i figli maschi e questa divisione sta provocando una
“polverizzazione” delle parcelle. Senza contare che i rifugiati
rientrati hanno bisogno di terra per coltivare». Spiega un analista
esperto del paese.

Elezioni «imbrogliate». Il 24 maggio 2010 le elezioni amministrative
vedono vincere il partito al potere con il 64% dei voti. Gli osservatori
nazionali e inteazionali rivelano «irregolarità», ma giudicano la
consultazione valida nel suo insieme. I brogli non avrebbero influenzato
il risultato finale.
Ma i partiti di opposizione non ci stanno, denunciano «frodi massicce» e
decidono di boicottare le successive legislative di giugno e
presidenziali di luglio. Pierre Nkurunziza resta l’unico candidato alla
presidenza. Oltre ad essere riconfermato presidente, il suo partito si
assicura una maggioranza schiacciante in parlamento.
Intanto la situazione della sicurezza peggiora drasticamente: «Durante
il periodo pre-elettorale, persone legate al Cndd-Fdd e al Fnl,
avrebbero aggredito e ucciso, oppositori politici, così come militanti
dei loro partiti diventati critici» denuncia Amnesty Inteational. Il
Cndd-Fdd mobilita i suoi giovani membri, nel movimento Imbonerakure
questi, spesso armati di bastoni e manganelli, scortano rappresentanti
del potere pubblico che arrestano o pattugliano i quartieri. I partiti
di opposizione, si vedono impedire le riunioni.
Così la campagna presidenziale è segnata da violenze politiche: almeno
116 sono gli attacchi alla granata e oltre 30 locali di partiti sono
dati alle fiamme (essenzialmente del Cndd-Fdd). Allo stesso tempo molti
sono gli esponenti dei partiti di opposizione arrestati e detenuti
arbitrariamente. Ricompare la pratica della tortura, molto usata dai
temuti Service national de renseignement, i servizi segreti burundesi,
fino a pochi anni fa, ma che era in diminuzione e nel nuovo codice
penale (2009) è definita fuori legge. I servizi dipendono direttamente
dal presidente della Repubblica.
Alcuni leader importanti di partiti politici fuggono all’estero. È il
caso di Agathon Rwasa, capo del Fnl e di Alexis Sinduhije, che è anche
direttore della Radio pubblica africana (Rpa), i cui giornalisti sono
continuamente perseguitati (vedi articolo).

Gli accordi di Arusha prevedevano la realizzazione di una Commissione
nazionale verità e giustizia (Cnvg) e la creazione di una commissione
giudiziaria internazionale per realizzare un’inchiesta sui colpevoli
delle tante violazioni dei diritti umani e assassinii politici della
guerra. La Cnvg, che dovrebbe essere affiancata da un tribunale speciale
e dovrebbe inserirsi nel sistema giudiziario burundese, non ha però
ancora visto la luce. Così gli autori dei massacri di centinaia di
migliaia di persone restano totalmente impuniti.
Intanto voci di una nuova ribellione armata nel paese scuotono i
burundesi. Da settembre 2010 si verificano attacchi sporadici a
postazioni militari e civili da parte di gruppi armati. Il governo li
chiama «banditi», alcuni commentatori parlano di «ribelli». Riaffiora
troppo presto il vocabolario degli anni della guerra civile, che si era,
da poco, messo nel cassetto.

Marco Bello

Marco Bello

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