Non solo han

Introduzione

In Cina, il paese più popoloso del mondo (1,4 miliardi di persone), ci sono 56 etnie. Di queste, 55 sono minoranze.

La casa è costruita interamente di legno: è composta da una grande stanza all’interno della quale ci sono un divano, alcune sedie e un poster che raffigura Mao Zedong, Deng Xiaoping e l’attuale presidente cinese, Hu Jintao. Al centro una stufa. Le due contadine che ci ospitano sono impegnate nella preparazione di un pasto: verdure raccolte nella passeggiata precedente, riso da bollire, altre verdure tagliate, crude. C’è anche una bambina, occhi fissi sulla televisione, immancabile, e mano ferma sul telecomando: sembra essere in grado di cambiare un canale al secondo. Fuori, le risaie di Ping’an, sud della Cina, regione del Guangxi, piccolo paese arroccato su colline, circondato da distese di terrazze: la «schiena del Drago», come vengono chiamate, mentre le schiene umane sono curve a lavorare, riparandosi da zanzare e da un sole che picchia e che rende arsa l’aria. All’ombra del legno è fresco, si prepara la tavola e si mangia insieme.
«Noi siamo yao», raccontano in mandarino le due signore, poi parlano tra di loro in dialetto e lo stupore taglia il cono d’ombra quando chiedono il nome delle verdure in mandarino ad un laowai, uno straniero. Loro parlano un’altra lingua, eppure sono cinesi.
Nell’immaginario collettivo i cinesi sono tutti uguali: le tante comunità – le chinatown così esotiche nel nome, ma spesso osteggiate – sparse per il mondo, i loro ristoranti, una stampa talvolta arruffona nel parlare di Cina in termini monolitici, quasi fosse un gigante stralunato appoggiato ai propri recenti successi, non aiutano a distinguerli. Eppure quelli che noi chiamiamo cinesi, sono solo una – la maggioritaria – della 56 etnie di cui è composto il paese, un continente. Ci sono gli han e altre 55 etnie, che rivendicano il proprio essere cinesi e le proprie peculiarità culturali. Chiedono riconoscimento delle proprie tradizioni, della lingua, all’interno dell’unione politica della Madre Cina.
È uno dei nodi della Cina contemporanea: gestire uno sviluppo economico che sappia creare l’armonia sociale: tra cinesi, tra han e le altre etnie, garantendo a tutti, senza differenze  e pregiudizi culturali, i frutti dello sviluppo economico. Una diatriba che a parole trova una sua collocazione nella Costituzione della Repubblica popolare, ma che nei fatti costituisce uno dei tanti dilemmi interni della Cina contemporanea. Uscendo dalle grandi città, Pechino, Shanghai e Canton, si arriva in posti che sembrano persi nei tempi andati della storia millenaria cinese: pertugi storici in cui si ritrova assimilazione, diversità, consumo e tradizione.
In questo dossier, proveremo a guardare al gigante asiatico con uno sguardo sbilenco e nuovo. Perché i cinesi non sono tutti uguali.

Simone Pieranni

Simone Pieranni

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