Attivarsi contro la tratta

La tratta di esseri umani è un’orrenda realtà

Mary e Scikò avevano sempre sognato di vedere il mondo. Ragazze adolescenti cresciute in una famiglia povera, avevano finito a stento le scuole primarie con il sogno di andare alla secondaria frustrato dalla povertà e dalla concorrenza dei fratelli maschi su cui le poche risorse della famiglia si erano concentrate. A loro era rimasto solo il lavoro nei campi.
Un giorno, tornando dal lavoro, le due furono accostate da un camionista che chiese loro informazioni: stava andando a Nairobi e non sapeva districarsi nel labirinto delle strade di campagna. Le ragazze accettarono di salire sul camion del simpatico autista, liete della novità, per guidarlo alla strada principale. Per passare il tempo lui raccontò loro di Nairobi, dei grattacieli, delle macchine veloci, dei grandi centri commerciali e di tante altre meraviglie. Le ragazze, affascinate, a loro volta raccontarono con un pizzico d’amarezza della loro vita da contadine e dei loro sogni infranti. L’autista si mostrò molto partecipe e comprensivo e, come per gioco, le invitò ad andare con lui nella grande città, anche subito: là, due ragazze sveglie come loro  avrebbero avuto un mare di possibilità, un buon lavoro, una bella paga e un futuro brillante. A Mary e Scikò sembrava di sognare, accettarono la proposta senza esitazione e andarono a Nairobi con il simpatico forestiero.

Città, fascino e trappola
Arrivate nella casa dell’autista benefattore a Nairobi, il suo atteggiamento cambiò: chiese a Scikò di dormire con lui e, al suo rifiuto, la violentò brutalmente. La mattina successiva consegnò Mary a un suo cugino, perchè ne divenisse la serva.
Mary, picchiata e violentata ogni giorno, iniziò a lavorare per l’uomo ribellarsi terrorizzata com’era dalla grande città con il suo rumore, la folla in continuo movimento, il correre dei matatu e il gran numero di macchine. Capiva ben poco della lingua parlata nella città, perché lo swahili parlato là era molto diverso da quello usato a casa, inonltre non conosceva nessuno e non sapeva a chi rivolgersi.
La sorte di Scikò fu anche peggiore. L’autista la tenne per sé fino a quando si trasferì in Uganda per lavoro, quando la cedette ad un suo amico, autista di matatu. Questi non solo la violentò regolarmente, ma le impose anche di soddisfare gli amici che invitava. In breve Scikò fu contagiata da malattie veneree. Cacciata senza pietà, abbandonata e senza mezzi di sussistenza, Scikò trovò rifugio presso una prostituta locale che, avendo pietà di lei, la introdusse nel mondo della prostituzione.
Quella di Scikò e Mary è una delle tante storie che accadono nelle aree rurali del Kenya o negli slum delle grandi città, senza il privilegio di finire sui giornali o nei gossip delle radio locali, che pure non sono indifferenti al problema.
In passato, in Kenya, si è anche parlato di bambini scomparsi, di matrimoni fasulli tra europei e ragazze locali sparite poi nel nulla in Occidente, di loschi traffici sulla costa, di turisti a caccia di bambini e bambine, di uomini malati di AIDS, africani, convinti che il sesso fatto con una vergine abbia proprietà terapeutiche.

Tante storie, tanti miti.
In Kenya abbondano i miti circa il traffico degli esseri umani. Purtroppo, questi non solo non descrivono il fenomeno adeguatamente, ma ne rendono la comprensione più difficile. La gente generalmente è portata a pensare che la tratta avvenga in qualche remota parte del mondo, lontano, manovrata da trafficanti e predatori bianchi, ma la realtà è ben diversa. Donne e bambini sono trafficati nelle città e nei villaggi del Kenya e questo spesso succede per opera di amici, conoscenti e perfino membri della famiglia. Sono trafficati verso l’estero, ma anche all’interno della nazione; viaggiano in aereo, in macchine e matatu, ricevono promesse di impieghi ben retribuiti e vita facile, ma finiscono sempre per essere sfruttati come prostitute o lavoratori forzati. Quel che importa è che essi, sia i trafficati che i trafficanti, sono i nostri cugini, fratelli, sorelle, vicini, amici: persone come noi.
Abbondano le storie terrificanti di uomini, donne e bambini sfruttati localmente o all’estero sia per la prostituzione che per il lavoro forzato o il trapianto di organi. Il traffico di esseri umani esiste e bisogna domandarsi: cosa si può e si deve fare per fermarlo? Esso non è un crimine come tutti gli altri. è molto di più e costituisce una seria minaccia al futuro dell’Africa e dell’intero continente africano. Il traffico di esseri umani tocca le persone e le famiglie sul vivo e distrugge delle risorse umane che non possono essere semplicemente ricostruite con gli aiuti dei paesi occidentali.
Attivarsi contro la tratta
Per questo un gruppo di persone interessate e preoccupate stanno cercando di mettersi insieme e formare un’organizzazione chiamata Awareness Against Human Trafficking – (Consapevolezza contro il traffico di umani). I membri fondatori contano missionari e missionarie cattolici, attivisti dei diritti umani di fede cristiana non e attivisti di giustizia e pace impegnati a promuovere pratiche di buon governo. L’idea di fondo è che insieme si può fare molto di più che da singoli individui. Lo scopo dell’agenzia che si sta formando è quello di sradicare, o almeno di ridurre significativamente il fenomeno della tratta in Kenya, anche se sembra un’impresa impossibile. Per farlo le Nazioni Unite e altre agenzie impegnate nel settore credono che la strada più efficace sia quella di creare consapevolezza in tutti quegli ambiti della società che possono essere più facilmente infiltrati dai trafficanti (per questo hanno pubblicato manuali ad hoc in molte lingue che mirano all’addestramento specifico della polizia, dei magistrati e di attivisti a livello di base, reperibili sull’internet nel sito internet dell’UNODOC, United Nations Office on Drugs and Crime, www.unodoc.org). Applicando questi stessi metodi, lo scopo dell’agenzia è quello di rendere i normali cittadini, la gente comune dei villaggi, insegnanti, operatori della salute e impiegati governativi, consapevoli di quello che la tratta è e non è, facendo conoscere i trucchi dei trafficanti, insegnando come fare per evitare di essere venduti in schiavitù e come sfuggie in caso di necessità. Pur di salvare la vita di persone, vale la spesa raccogliere la sfida.

UNA LOTTA SENZA TREGUA
C’è molto da fare per sradicare la tratta in Kenya. Il fenomeno deve essere affrontato in modo sistematico e scientifico perché la tratta è una realtà in continuo mutamento, che si adatta con incredibile rapidità al cambiare delle situazioni. I trafficanti imparano velocemente e usano sempre nuove tecniche, nuove rotte e nuove strategie per sfruttare gli altri. Così per stare al loro passo, gli attivisti anti-tratta devono tenersi aggioati e formarsi in modo permanente.
In questo contesto l’azione dei volontari si svolge su due fronti: formazione di attivisti sul territorio e realizzazione di un programma di assistenza e recupero delle vittime, la cui dignità e diritti umani sono stati violati e la cui salute fisica e psicologica è stata severamente compromessa. Per raggiungere lo scopo Haart lavora in collaborazione con tutte le forze già esistenti, tra cui Solwodi (Solidarity with Women in Distress) in Mombasa, un progetto diocesano attivo da molti anni in quell’area ad alto influsso turistico.
I volontari hanno già cominciato ad operare e lo scorso settembre hanno fatto il primo corso di formazione di animatori anti-tratta. Un gruppo di venti persone proveniente da tutti gli angoli del Kenya sono stati preparati su come organizzare campagne di sensibilizzazione sul territorio e su come raccogliere dati riguardanti casi di tratta. I volontari sono stati reclutati sia a livello di base che tra persone con delle sociali o governative. Dopo il corso ora lavorano in gruppi di tre volontari nelle proprie zone per far conoscere i danni causati dalla tratta e documentare storie di vittime. Presto a questo primo nucleo si aggiungeranno altri volontari da altre regioni del Paese per estendere il più possibile la rete degli attivisti.
IL FUTURO A RISCHIO
La tratta degli schiavi ha segnato l’Africa profondamente, e le conseguenze sono ancora visibili oggi perché la condizione della donna, soprattutto nel suo ruolo di soggetto principale dei lavoro nei campi, sarebbe certamente diversa se la tratta non fosse mai esistita. Mentre l’Africa sta tentando a fatica di lasciarsi alle spalle le conseguenze di quella tragedia, ecco che la nuova tratta di esseri umani mette a rischio il futuro stesso del continente, soprattutto il futuro delle donne. La nuova tratta, anche se apparentemente condotta con il consenso delle persone trafficate, ma non per questo meno violenta e disumana, può avere delle conseguenze ancora più gravi di quella passata. Solo il suo totale sradicamento può fare sì che il prossimo decennio sia davvero quello della donna africana. Per ottenere questo c’è ancora molto lavoro da fare.

Radek Malinowski
è un gesuita polacco ed è uno dei promotori della nuova agenzia contro la tratta nell’Africa dell’Est.
(Il testo è stato tradotto e adattato da Gigi Anataloni)

Radek Malinowski

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