Un gruppo per crescere

Un’associazione dalla parte delle coppie

Creare uno spazio dove si possa parlare di adozione. Perché parlare di certe cose non è facile. Nel gruppo le famiglie possono ascoltare le emozioni di gente che ha già vissuto una problematica. E si possono preparare ad ogni evenienza.

Elio Biasi, corporatura robusta, parla deciso, mai fuori luogo. Soprattutto: sa di cosa parla. È il promotore dell’associazione Gruppi volontari per l’affidamento e l’adozione, che opera a Torino e provincia.
Il gruppo nasce nel 1982 come gruppo di sensibilizzazione e promozione all’affidamento. Poi nel 1987 passa ad occuparsi di adozione perché «il comune ha preso in mano l’affidamento» e diventa associazione.
«Abbiamo voluto far nascere un gruppo per aiutare le coppie in difficoltà, sia prima, quando occorre seguire tutto l’iter, sia nel dopo».
L’adozione implica problematiche forti: discriminazione razziale, riuscita scolastica, problemi sanitari, paura del rifiuto, eccetera. «C’era, e c’è tuttora, questa esigenza: molte famiglie non sanno a chi chiedere e sono timorose su certe cose».
Il metodo: raccontare le proprie esperienze. Elio lo chiama: «automutuoaiuto», ovvero condividere il proprio vissuto su certe tematiche con gli altri, in una dinamica di gruppo.
«Certe questioni meno importanti quando i figli sono piccoli, poi con la crescita vengono fuori. A posteriori ci diciamo: se avessimo lavorato meglio su alcune cose, che non abbiamo valutato, probabilmente potevano risolversi in una maniera migliore. Sono quelle cose che nessuno ti ha detto. Ci ha sempre animato questa grossa voglia di trasmettere agli altri e di creare dei luoghi dove si potesse parlare di adozione».
In seguito l’associazione crea due gruppi, uno per le famiglie che devono adottare e l’altro per chi affronta la post adozione.
«L’importante è che le famiglie ascoltino le emozioni da gente che ha già il vissuto e in questo modo si prepari a quanto può accadere».

Farsi una «corazza» protettiva

«Ad esempio – continua Elio – cerchiamo di dare un sostegno per affrontare tutte le traversie per ottenere l’idoneità. E cerchiamo di preparare la gente anche al caso di esito negativo. Noi non vogliamo fare gli psicologi e gli assistenti sociali. Ma è molto importante avvisare la coppia che potrebbe esserci questa eventualità».
Fondamentale è il concetto di gruppo: «Secondo me la famiglia va guidata, occorre aprirle gli occhi, darle tutte le possibili informazioni sui disagi che ci sono sul cammino. Il gruppo ti sostiene quando tu hai problemi a relazionarti con il bambino. Se non c’è un gruppo alle spalle come fai?
Le capacità e l’esperienza di gestire il gruppo è tirare fuori il problema al momento giusto. Riuscire a portare chi ha vissuto un problema a parlarne con gli altri».
I loro incontri sono seguiti da 10 -15 coppie, che si avvicendano. Dal gruppo principale, negli anni, ne sono nati altri che si incontrano regolarmente: «L’idea è non avere tanta gente. Ma avere più gruppi sparsi nel territorio». Così hanno preso vita i gruppi di Collegno, Rivalta, Bibiana e Aosta. Ogni incontro è gestito da uno o due volontari: «Persone che hanno seguito il mio gruppo e poi hanno sentito la spinta per creae un altro»
Sono nati anche gruppi legati ad altre associazioni. E anche le équipe dei servizi sociali hanno capito l’importanza di questo accompagnamento: «Importante è che gli psicologi delle Asl si stanno ispirando al nostro lavoro e organizzano riunioni con le coppie adottive che hanno selezionato nella loro zona e che poi hanno avuto il figlio. Questa è la cosa più bella per noi». Gli incontri (uno al mese per gruppo) hanno un calendario annuale sulle tematiche. «Prima svisceriamo le problematiche e poi invitiamo dei tecnici: psicologo, fisioterapista, assistente sociale, operatore dell’ente autorizzato, ecc.» prosegue Elio.
«L’obiettivo è anche di mettere le famiglie a conoscenza dei loro diritti, di quello che possono fare in caso di …, da chi possono andare.
Raccontiamo le nostre storie, più che dare consigli. Gioie e dolori. Serve anche per creare uno scudo per loro, ma grazie a quello che abbiamo fatto noi».

Verso il futuro

L’associazione è conosciuta, i servizi sanno che esiste e nei corsi preparatori della Regione la citano. Però la frequentazione è cambiata negli anni: «Ultimamente c’è più gente presuntuosa, o non preparata all’adozione, che vuole prendere e non dare. Vengono due o tre volte. Poi spariscono».
A Elio non piacciono molto gli enti autorizzati (vedi altri articoli), almeno quelli privati: «Penso che la cosa più importante da fare sia creare enti pubblici che possano collaborare con il governo dei paesi di origine dei bambini, tramite i loro specialisti: assistenti sociali, psicologi. Per semplificare il tutto, senza passare attraverso agli enti privati».
Elio Biasi è un fiume in piena, trasmette una grande carica umana. E pensa al futuro: «Una delle cose che voglio fare adesso che sono in pensione è portare l’adozione e l’affidamento nei corsi prematrimoniali. È importante far conoscere alle coppie che, tra le diverse possibilità di avere figli, ci sono anche queste».
Ma anche portare avanti le relazioni con il tribunale. Far capire l’utilità dei gruppi: «Vorrei parlare loro dei malfunzionamenti, come la disparità di selezione da un servizio sociale all’altro. Qualcuno fa cose fuori ruolo, mettono in crisi la coppia, sembra quasi che debbano martellarli per vedere se sono in grado o meno. Ma non sempre è il modo migliore».

Di Marco Bello

Marco Bello

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