Sull’utilità delle prediche

Antonio Rovelli

A che servono i Forum sociali mondiali? Per esempio, che resta dopo le giornate di Belém? Soltanto parole, buoni propositi, sogni, come dicono i suoi detrattori? Oppure dal Forum si esce con la consapevolezza che nel mondo c’è una grande ricchezza di donne, uomini e idee da valorizzare?  

Belém. Antonio Rovelli, missionario della Consolata, fondatore della Scuola per l’alternativa, è venuto al Forum, dopo aver partecipato a quello di Nairobi, nel 2007.

Si dice che a Belém i protagonisti siano stati, in ordine casuale: la foresta amazzonica; gli abitanti delle Americhe, ovvero i popoli indigeni; i brasiliani, con i loro problemi e le loro speranze; i presidenti latinoamericani progressisti. Padre Antonio, è d’accordo con questa visione?
«Mi è piaciuta l’espressione di Americhe. Identicamente, io sono convinto che occorra parlare di Afriche. Dunque, qui a Belém abbiamo incontrato diverse Americhe, con proprie e specifiche ricchezze. Pensiamo ai popoli indigeni, ai movimenti sociali e a tutte quelle realtà. Quanto alla presenza di tutti quei presidenti (che si auto-definiscono progressisti), la scelta di venire a Belém è positiva. Ma fino a che punto scendono dal palco da cui parlano? Fino a che punto accettano di cambiare radicalmente anche le loro politiche economiche per far sì che i diritti degli indigeni e dei movimenti sociali siano rispettati? Questo secondo me è tutto da vedere. Per questo è bene che i movimenti sociali ed indigeni continuino a stare alle calcagna dei loro leaders, perché non si dimentichino delle promesse che hanno fatto loro».

Un esempio?
«Accenno soltanto al Brasile. Alla politica degli agro-combustibili che sta distruggendo la foresta e alla permanenza dei grandi latifondi a causa della mancanza di una politica agraria che tenga conto dei diritti dei Senza terra e dei popoli indigeni. Insomma, ci sono delle contraddizioni. Cioè occorre stare attenti che ciò che i presidenti scrivono con la mano, non venga cancellato con il gomito».

Evo Morales, presidente della Bolivia, ha parlato di chiesa, con evidente riferimento ai problemi avuti nel suo paese con la gerarchia cattolica. Come prete, qual è la sua opinione al riguardo?
«Prima di tutto dividerei la chiesa gerarchica, quella dei vescovi e delle conferenze episcopali, dalla chiesa delle comunità di base, di chi si fa orante della parola di Dio, ossia missionari, laici, preti, religiosi che camminano a fianco dei movimenti sociali e dei popoli indigeni. La chiesa gerarchica purtroppo sta dimenticando il cammino che è stato fatto da alcuni vescovi che si sono fatti portavoce delle istanze dei poveri (alcuni dei quali sono stati uccisi: come Oscar Romero in Salvador, Juan Girardi in Guatemala). E oggi mancano, a livello gerarchico, voci profetiche conosciute che fanno opinione.
Dunque, un’altra chiesa è auspicabile. E lo è sicuramente, per chi ascolta i poveri e per chi lavora in mezzo alla gente. D’altra parte, parlare in nome di o farsi voce di chi non ha voce, è giusto fino ad un certo punto. È bene che siano gli stessi soggetti a portare avanti le proprie istanze e lotte, facendo sentire la propria voce».

Da Nairobi a Belém. Portare il Forum in questa regione del Brasile è stata una scelta azzeccata?
«La scelta di Belém è stata strategica. Ed è strategico il luogo, l’Amazzonia, per il suo patrimonio umano, naturale e culturale. Qui troviamo un concentrato di ricchezza che il mondo può custodire o distruggere».

A Belém sono venuti i rappresentanti di centinaia di popoli indigeni. Come valuta questa presenza?
«Secondo me, è l’elemento qualificante di questo Forum».

Nel momento in cui gli indigeni vengono visti e trattati alla pari…
«Assolutamente. Non devono essere trasformati in oggetto per le nostre fotografie, da mostrare alla nostra gente quando si torna a casa. Un parallelo lo posso fare con i popoli nomadi del nord del Kenya. Quando arrivano i turisti, loro si mettono a danzare davanti alle macchine fotografiche…».

Dunque?
«È una ricchezza che deve essere compresa, valorizzata, con la quale bisogna camminare. Quello indigeno è per noi un mondo difficile da catalogare. Dobbiamo farci guidare da loro, che hanno una forza e un coraggio di lottare, che purtroppo sono venute a mancare nel nostro mondo. Ad esempio, per i popoli indigeni la terra è questione di vita o di morte. È parte integrante della loro esistenza. È come un vestito che portano addosso, è come l’aria che respirano».

La salvezza dell’Amazzonia deve passare esclusivamente attraverso i popoli che la abitano?
«Io sono stato molto colpito dalla diversità di questi popoli, dalla loro forza, persone che sono state picchiate, torturate… Il coraggio di queste persone dobbiamo condividerlo con gli altri. D’altra parte, io penso che da soli i popoli indigeni non potranno portare ad un cambiamento. Dovranno unirsi ad altri movimenti sociali, del mondo del lavoro, del mondo agricolo per diventare una forza propositiva che un giorno possa arrivare ad occupare i posti di potere. Così il mondo potrà essere diverso».

Peccato che la maggior parte dei media mondiali continui a descrivere il Forum come una manifestazione folcloristica…
«Mi ha tolto la parola di bocca. Per molti media importanti il Forum attira e incuriosisce soltanto se descritto come un fatto folcloristico».

E dunque?
«I problemi devono essere risolti a livello globale. Se il nostro mondo cosiddetto ricco non accoglie questo mondo che si sta affacciando timidamente, ma con forza, finiremo con il perdere tutti».

di Paolo Moiola

Vuoi ascoltare l’intervista?
Questo brano è parte di una lunga intervista trasmessa nell’ambito del programma radiofonico «Cartoline dall’Altra America», trasmesso da Radio Flash (www.radioflash.to) e curato da Paolo Moiola. L’intervista completa è disponibile sul sito
www.rivistamissioniconsolata.it.

Paolo Moiola

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