Sembrano percore, ma sono lupi

Il commento: economia o teologia?

Una nuova religione si è diffusa nel mondo globalizzato: è la religione del mercato. Ha i suoi officianti e i suoi fedeli. Ma soprattutto ha le sue vittime. Sempre di più, anche se non si può dire apertamente…

Lunedì di Pasqua, 24 marzo 2008. Dalla finestra del mio studio il panorama appare decisamente invernale, nonostante la primavera astronomica sia iniziata da tre giorni. Vedo precipitare dalle nubi raggrumate un misto di acqua e neve al punto da non distinguere se è l’acqua a nevicare o non sia la neve a piovere. Il che mi indigna. Ora la confusione ha infettato anche la meternorologia e il gioco del «qui-pro-quo» ha contaminato anche le identità delle stagioni. Dopo un inverno di secca, in cui le cime del Monte Bianco hanno registrato perfino gli otto gradi sopra lo zero, ora la primavera mi si presenta infreddolita e tutta bagnata di neve!

«NON PIOVE?
GOVERNO LADRO!»

Il detto popolare, espressione iniziale di una ignoranza diffusa, sedimentazione di quella pigrizia mentale propria di chi non vuol vedere, si presenta oggi come concentrato sapienziale di una coscienza altamente avvertita. Aggiornato alla nostra situazione si dovrebbe dire: «Non piove? Goveo ladro», là dove il «governo» non è l’amministrazione politica della cosa pubblica, bensì la gestione economica della umana comunità. Non contenti di aver desertificato la terra ora vogliono desertificare anche il cielo. Negli ultimi 30 anni sono scomparsi 600mila chilometri quadrati di foresta amazzonica brasiliana, una superficie equivalente a due volte quella dell’Italia. L’acqua potabile sarà una delle risorse naturali che più scarseggeranno in questo inizio del nuovo millennio. Il petrolio e il carbone si esauriranno verso la metà di questo secolo. Alla base di questo processo di saccheggio si nasconde una visione limitata della terra. La si considera unicamente ed esclusivamente come una riserva morta di risorse da sfruttare e non come qualcosa di vivo, la Pacha Mama degli indigeni o la Grande Madre degli antichi.
L’antica religione poneva l’uomo come custode del giardino, perché lo coltivasse e lo custodisse. La nuova religione impone l’uomo come padrone del mondo e la terra come oggetto di sfruttamento e merce di scambio.

IL DIO TOTALIZZANTE
DELL’ECONOMIA

Nell’editoriale di un piccolo ma grande libro edito nel 2000 dalla società cornoperativa editoriale L’Altrapagina: «Economia come Teologia?», si legge: «L’Economia contemporanea funziona come una teologia, ossia una visione del mondo complessiva che ha per chiave di volta la divinità. Mentre però nella teologia il divino impedisce al discorso di chiudersi, perché Dio è una dimensione insondabile, il dio del sistema economico imprigiona l’uomo in uno schema chiuso e totalizzante, poiché si tratta di un dio perverso».
Riccardo Petrella, autore assieme a Enrique Dussel e Enrico Chiavacci, si è addirittura divertito a utilizzare i simboli della teologia cristiana per dare una descrizione di questa nuova divinità: «Il capitale è il Padre che ama e giudica, l’impresa è il Figlio, cioè l’incarnazione del Padre, il mercato è lo Spirito che anima gli individui e li stimola alla competizione perché diano il meglio di se stessi e conquistino più ricchezza. Ma le analogie con l’universo teologico per Petrella non si fermano qui. Il vangelo della competitività, che ci viene indottrinato da tutti i pulpiti che contano, ha pure i suoi comandamenti, che si potrebbero riassumere nella triade: liberalizzazione, deregolamentazione, privatizzazione».

AVERE O ESSERE?
SI «È», SE SI «HA»

L’indottrinamento, in questo ultimo ventennio, è stato così pervasivo e persuasivo che non esistono più terreni vergini. Il «pensiero unico» ovvero il monoteismo della merce, per dirla con l’espressione cara a Giancarlo Zizola, ha contaminato non solo il mondo della produzione e delle sue opere ma anche il mondo del pensiero e dei suoi sogni.
Da ogni pulpito, ormai, con l’euforia propria dei neofiti, i profeti del libero mercato ci ripetono in continuazione che il mercato è economicamente molto efficace. Il fondamentalismo liberista della globalizzazione ridefinisce ogni forma di  vita in termini di merce, la società in termini economici e il mercato come mezzo e fine dell’iniziativa umana. Per essi il mercato è l’unico strumento adatto alla distribuzione di cibo, acqua, salute, istruzione e altre necessità vitali. Il mercato diventa l’unico criterio organizzativo e amministrativo e si trasforma in metro della nostra umanità al punto di rendere identitario ciò che alla fine degli anni Sessanta Erich Fromm poneva in termini alternativi: Essere o Avere. Oggi si è se si ha!
Questo è il nuovo dogma e la mercantilizzazione del tutto il suo corollario.

IL CAPITALE
SENZA LIMITI E VINCOLI

Gli effetti sono così devastanti da qualificare come terrorista per antonomasia il mercato stesso, così come Pasquale Gentili sul notiziario di Radié Resch n. 79: «Chi incute terrore, oggi, si chiama mercato… e questi si maschera dietro svariati personaggi, culture e anche religioni! È un potentissimo terrorista, senza volto, che si trova ovunque, come Dio, e che, come Dio, crede di essere eterno. La sua lunghissima fedina penale lo rende temibile. Non ha fatto altro che rubare cibo, ammazzare posti di lavoro, sequestrare interi paesi e fabbricare guerre. Per vendere le sue guerre semina paure! Compie attentati che non compaiono sui giornali: ogni minuto uccide di fame 12 bambini».
Insomma il disastro è totale, con l’aggravante di una impotenza assoluta di intervento da parte della politica e perfino del diritto.
Ci si chiede come si sia potuto arrivare a tanto, dopo le grandi conquiste che hanno accompagnato la nascita dello «Stato sociale keynesiano» all’inizio dello scorso secolo.
A me sembra che la causa principale vada ricercata già in quella antica tradizione liberale che è propria dell’Occidente, secondo la quale l’unico potere che è stato tematizzato come oggetto di limiti e vincoli (si pensi allo «Stato di diritto») è il potere pubblico, mentre invece il potere privato è stato confuso, per una vecchia operazione ideologica, con la libertà. Il potere economico, il potere del capitale, il potere della libera iniziativa economica, i diritti civili stessi sono stati puramente e semplicemente identificati con la libertà.

NEOCOLONIZZAZIONE
E DELOCALIZZAZIONE

Su questo, che potremmo ritenere l’underground «culturale» si è venuto poi ad innestare il fenomeno della cosiddetta «globalizzazione» e che io più propriamente chiamerei «neocolonizzazione».
Con la globalizzazione, dunque, si è imposta come prassi normale la «delocalizzazione» in forza della quale le imprese scelgono l’ordinamento loro più conveniente. In tal modo dislocano le loro produzioni nei paesi peggiori dal punto di vista della tutela dei diritti, paesi in cui non esistono garanzie dal lavoro, in cui i salari sono bassissimi, in cui si può inquinare senza nessun limite, in cui si possono corrompere i governi, in cui praticamente si ha mano libera. Si veda il caso della Cina, là dove i salari sono addirittura 40 volte più bassi di quelli della Germania. Le ricadute sulle nostre società sono quanto mai devastanti: disoccupazione, precarizzazione del lavoro, abbassamento dei salari  e via decadendo…
Gli osservatori più acuti, una volta liberisti ad oltranza, di fronte a questo ritorno boomerang dagli effetti destabilizzanti, incominciano a parlare, timidamente, della necessità che gli stati, per i problemi nazionali, ed un ente sovranazionale, per i problemi inteazionali, riprendano il loro ruolo di «garanti» in un movimento globale non più gestibile.
La «mano provvidenziale» di cui parlava Smith è ormai scomparsa dall’economia. Cionono­stan­te tutto continua come se nulla fosse. Nell’immaginario col­lettivo, cui fa da supporto anche una certa politica sedicente di sinistra, c’è bisogno ancora di più mercato, più concorrenza, più crescita.
«Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci» (Mt. 7,15). «Allora se qualcuno vi dirà: Ecco, il Cristo è qui, o: è là, non ci credete. Sorgeranno infatti falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi portenti e miracoli…» (Mt. 24,23-24).
A qualcuno queste citazioni potrebbero sembrare strumentali, se non blasfeme. Non ci si scandalizzi. Se l’autore dell’Apo­calisse ha potuto individuare nell’Impero Romano la figura dell’anticristo, non spetta forse a noi, cristiani del terzo secolo, dare nome e cognome ai novelli falsi profeti?
E non spetta ancora a noi dare voce e carne e sangue a quel Sogno di Dio perché non resti più sogno? Sogno di una umanità fratea e compartecipe, includente e coinvolgente, pacifica e pacificatrice.

LA GRATUITÀ
DELLA PIOGGIA (PER ORA)

Fuori, al di là dei vetri appannati dall’umidità, il sole sembra forzare la primavera e la pioggia, non più equivoca, sembra ora più autentica. Lo scroscio ritmico si fa eco di danza e modula la sua musica sulle note profetiche di un monaco che, sembra, la Cia ha voluto zittire: «Lasciatemi dire una cosa, prima che la pioggia diventi una merce che “loro” potranno controllare e distribuire a pagamento.
«“Loro” sono quelli che non riescono a capire che la pioggia è una festa e non apprezzano la sua gratuità, pensando che ciò che non ha prezzo non ha valore, che ciò che non può essere venduto non ha consistenza, per cui l’unico modo per rendere reale una cosa è metterla sul mercato. Verrà il giorno in cui vi venderanno anche la vostra pioggia. Per il momento è ancora gratuita, e lascio che mi bagni. Celebro la sua gratuità e la sua illogicità».
Il monaco è Thomas Merton. Anno del Signore 1965. 

Di Aldo Antonelli

Aldo Antonelli

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