Cari missionari

Fame e sete
di buoni esempi

Cari missionari,
innanzitutto un grandissimo grazie per l’articolo uscito su Missioni Consolata nel mese di febbraio, a favore dell’operato, lungo e silenzioso, di fratel Giuseppe Argese. Sì, sto leggendo e rileggendo queste intense righe e mi pare di averlo fisicamente vicino questo personaggio (mai visto e che non conosco davvero). Vorrei parlare direttamente con lui… ringraziarlo, abbracciarlo, incoraggiarlo…
Iddio vi benedica tutti! Vi voglio tanto bene! Poche e semplici parole, ma col cuore. Delle notizie, cattive cattive, è piena l’aria e il mondo intero. Richiediamo un po’ di cose buone. Edificanti. Che riempiono lo spirito. Dei buoni esempi di persone generose, allegre (anche silenziose). In questo mondo pieno di cattiverie (non si sa da che parte stare, né per chi votare…) abbiamo veramente un bisogno (urgente) di fame e sete di giustizia. Cerchiamola (anche con il lanteino) tra i missionari veri, tra i volontari, tra i giovani, che nel buio della notte si incontrano con «gli ultimi» poveri e sbandati. Tutto è sempre per la gloria di Dio e l’edificazione del popolo di Dio.
Non è vero che tanti fanno il bene per farsi vedere. Costa fare il bene. E poi, il dovere del buon esempio dove lo mettiamo? È più facile criticare chi fa il bene, anziché tirarsi su le maniche e dare una mano sudando per il prossimo.
Tanti si propongono in questi giorni in televisione, vestiti sempre a festa (e con i gemelli dorati ai polsini delle camicie bianche). Ma, viva Dio, e questi sono gli esempi di chi ci dovrebbe governare? Chiacchiere e basta. I fatti sono tutta un’altra cosa.
Abbraccio tutti frateamente in Cristo Gesù.
Cherubina Lorusso
Milano

Siamo pienamente d’accordo: «L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri; se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni» (Paolo VI).

Biocombustibile…
no grazie!

Cari missionari,
mi sento perfettamente in sintonia con quanto scritto da padre Giuseppe Svanera missionario a Marialabaja (Colombia) nell’articolo «E lo chiamano… progresso» (M.C. n. 2/08 p. 73). L’utilizzo della terra (specie quella dei paesi della fascia tropicale) per un’agricoltura finalizzata alla produzione di combustibili è un gravissimo errore.
So bene che qualcuno, per esempio il presidente del Brasile Lula, cerca di rassicurare gli ecologisti, ripetendo che «neppure un metro quadrato di selva sarà sacrificato per il bioetanolo»; ma io dubito, come anche padre Giuseppe dubita, che le cose andranno così: quante migliaia di kmq sono state cancellate per far posto, specie nei paesi del Sud-Est Asiatico, alla monocoltura della palma da olio!
In ogni caso, anche se Lula avesse ragione e per la produzione di biofuel dovessero essere usate solo aree già degradate, io dico che sarebbe un grosso sbaglio, perché quelle stesse aree potrebbero essere rinaturate, riforestate, affidate a cornoperative inserite nella rete del commercio equo e solidale. È ciò che avviene, per esempio, in alcune zone dell’Ecuador con il «Progetto Otonga», avviato da padre Giovanni Onore, missionario e docente all’Università cattolica di Quito; come avviene in alcune parti del Mato Grosso brasiliano coi progetti di padre Angelo Panza, sostenuti anche dalla Conferenza episcopale italiana grazie ai fondi dell’8 per mille.
Fa bene padre Giuseppe a dire che questo non è né può essere chiamato progresso: progresso è lotta contro la fame e la miseria, non consolidamento delle strutture di peccato che generano fame e miseria. Pertanto le popolazioni del Sud del mondo sono state accusate di distruggere le grandi giungle e svuotare gli scrigni della biodiversità (e così contribuire anche all’effetto serra e cambiamento climatico) per procurarsi legna da ardere: «Fanno così – dicevano in molti – perché non hanno tecnologia, né fonti di calore e di energia simili a quelle adoperate dai paesi sviluppati; quando ne disporranno, la pressione sulle foreste diminuirà».
Ebbene, oggi quelle stesse persone che ieri facevano questo discorso, per certi versi anche giusto, che cosa propongono? Propongono il ricino, canna da zucchero, girasole e palma da olio, perché, sostengono, «così ridurremo la dipendenza dal petrolio e faremo diminuire le emissioni nocive».
Ci vuole una bella faccia tosta. Innanzitutto non è vero che, aumentando la superficie adibita alla produzione di biocombustibili, diminuisce la dipendenza dal petrolio: forse diminuirà la percentuale, ma per farla diminuire in valore assoluto occorre ben altro, a cominciare dalla volontà politica.
Finora l’unico risultato certo di tale corsa al biocombustibile è stato l’aumento del prezzo del pane, pasta, carne, latte e suoi derivati, altri generi di prima necessità…
Guardiamo in faccia la realtà: le tecnologie non inquinanti o poco inquinanti ci sono, ma stentano a decollare; a volte si ha l’impressione che tale difficoltà sia inversamente proporzionale alla loro capacità inquinante. Prendiamo ad esempio le automobili: se non inquinano più faticano a essere collocate sul mercato. Il caso più eclatante è forse quello dell’auto ad aria compressa, la cui «produzione in serie è imminente», perché «tutto è pronto». Le stesse cose si dicevano otto anni fa, anche la rubrica scientifica Superquark se ne occupò: ma sulle nostre strade le auto ad aria compressa nessuno le ha viste, mentre si vedono e fanno presto a essere progettati, realizzati, testati, venduti i costosi, inquinantissimi e ingombrantissimi Suv (si veda Missioni Consolata di febbraio 2008). Negli ultimi otto anni sono aumentati di numero: in Italia prima del 2000 arrivavano a malapena a 100 mila, oggi sono più di mezzo milione.
Io penso che dobbiamo entrare nell’ordine di idee che, oltre certi limiti, le tecnologie non possono sostituirsi alle nostre mani, piedi, occhi, cervello: non possono essere le tecnologie a scegliere per noi. Le lampade fluorescenti sono una gran bella cosa, ma non riusciranno a farci risparmiare il famoso 80% se le terremo accese anche di giorno. I termovalizzatori, se fatti con un certo criterio, saranno anche utili; ma perché continuiamo a sottovalutare i benefici della raccolta differenziata? Per esempio, perché diamo per scontato che, nel ricliclaggio della plastica, Napoli non potrà mai raggiungere il 70% di Treviso e Treviso non potrà mai raggiungere il 90% di Stoccolma?
No cari politici «moderati» e cari industriali e confindustriali! La dipendenza dal petrolio non la supereremo né con gli etanolodotti della brasiliana Petrobras, né con gli inceneritori dell’Impreglio, tanto meno con la costruzione di centrali nucleari. La supereremo, invece, quando avremo capito che per i gran premi di Formula uno e di Motomondiale non possiamo continuare a sprecare migliaia di tonnellate di carburante e migliaia di kilowatt di luce (da quest’anno su certi circuiti si corre di notte, non di giorno).
La supereremo quando, ripensando a un passato neanche troppo lontano, riconosceremo che il calcio non era meno bello e meno seguito quando le partite (comprese le finali di Coppa dei campioni e Coppa del mondo) si disputavano di pomeriggio, senza bisogno dei riflettori.
La supereremo, cari ex vetero e neodemocristiani, che stravedete per una nuova stagione nucleare in Italia, quando accetteremo la rinuncia a certi viaggi aerei, certi yacht, certe crociere, nuovo Suv, ultimo modello di cellulare non come un’involuzione e regresso, ma come inizio di un cammino verso la vera civiltà dell’amore: amore a Dio Padre e Creatore, ai figli di Dio e nostri fratelli, verso la creazione di Dio, quella vicina e quella lontana, quella dei ricchi e quella dei poveri…
Francesco Rondina
Fano (PU)

Le «porcate» e … la «porcata»

S pettabile Redazione, ho letto le lezioni sui mensili della rivista Missioni Consolata riguardanti il Figliol prodigo, apprendendo che il peccato più grosso è quello dei «peccatori presuntuosi». Infatti, in quel trafiletto si dice che «incaponirsi a chiedere perdono o pensare di non essere perdonati può costituire un grave peccato, perché Dio… ha già perdonato prima ancora di averglielo richiesto» e ancora «peccare non è una cosa facile… perché esso è il rifiuto di Gesù Cristo come criterio di vita» e così via di questo passo.
Poi leggo su un quotidiano di giovedì 3 aprile 2008 che il biblista che ha risvegliato in me l’analisi del peccato, e mi ha liberato di tanti preconcetti sul peccato, riportandomi nella coscienza l’amore di Dio verso l’uomo, cade in un grossolano errore, scagliandosi contro una persona o addirittura contro la linea del centro destra con le parole: «I cristiani sono avvertiti in tempo, perché dopo non basterà una confessione a lavare la colpa della complicità che diventa anche apologia del fascismo, un cristiano che vota questi figuri non può in buona coscienza partecipare all’eucaristia e ricevere l’assoluzione in confessione, perché diventa complice in solido», e avanti con questo passo, facendo diventare cecchini di Gesù Berlusconi, Moratti, Fini, Casini, Bossi.
Dica Lei se non ci sono contraddizioni tra i commenti alla parabola nel primo capoverso della presente e questo modo di condannare una certa linea politica, dimenticando nel contempo di criticare l’altra linea politica, dove sono presenti i propagandisti e propugnatori agguerriti dell’aborto, dell’eutanasia e di tutte le altre «porcate» degli estremisti di sinistra, invogliando gli elettori a votare per quella lista.
Non è un grave e grossolano errore da una parte predicare l’Amore assoluto, e dall’altra parte predicare l’Odio assoluto?
Se vuole, mi dia una risposta sulla rivista che lei dirige, altrimenti cestini la presente, ovviamente io ne trarrò le mie deduzioni. Mi perdoni per il tempo che ho rubato e la ringrazio sin d’ora per la decisione che vorrà liberamente scegliere.
Giancarlo Macchi,
San Macario (VA)

Egregio sig. Macchi, siamo stati indecisi se pubblicare o meno la sua lettera, perché non ci piacciono le polemiche. Rispondiamo serenamente e telegraficamente, nella speranza che sia disposto e aperto alla verità.
1. Don Paolo Farinella, apprezzatissimo per la sua rubrica biblica pubblicata da più di due anni su Missioni Consolata, ha espresso critiche forti anche verso la sinistra e il governo Prodi; ma lei non le ha lette, perché non sono funzionali all’ideologia del suo giornale che non le ha mai pubblicate, per le ovvie ragioni che lei può capire.
2. La «porcata» di cui parla (termine forgiato dallo stesso autore della legge elettorale che lei conosce…) è più a monte: per due volte i cittadini italiani non hanno potuto scegliere i loro rappresentanti, ma sono stati costretti a votare quelli scelti dai capipartito. Nel suo partito vi sono circa 25 candidati condannati per vari reati, e tutti eletti, probabilmente per metterli al sicuro riparo dell’immunità parlamentare.
3. Don Farinella non «predica» l’«odio assoluto» in contraddizione con «l’amore assoluto», perché si tratta di due piani diversi e comunque non riguarda la singola persona, ma ciò che essa rappresenta, specialmente se offre una prospettiva di vita e assume atteggiamenti ideologici. Anche il gesuita padre Bartolomeo Sorge (vedi i suoi editoriali in Aggioamenti Sociali) usa la categoria del «berlusconismo» per descrivere l’ideologia dominante e dichiararla incompatibile con la fede cristiana. Questo non significa «odiare», ma «disceere». 
4. Per tornare alla parabola del Figliol prodigo, sull’«amore assoluto del Padre» non ci sono dubbi.  Ma fino a quando il figlio rimaneva a pascolare i porci, l’amore del padre c’era, ma era inutilizzato e il figlio non poteva gustare il perdono preventivo del Padre, né fare festa e mangiare il vitello grasso. Allo stesso modo, finché i mafiosi, i corrotti e corruttori… continueranno a strumentalizzare la religione, i valori cristiani, la famiglia cristiana… e a vivere da corrotti, anche contro l’amore del Padre, è meglio per loro che non si accostino all’eucaristia. Darebbero solo scandalo.
La Redazione

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