Cari missionari

Ambientalisti…
siate più seri!

Cari missionari,
dell’articolo di Topino e Novara, condivido l’impostazione di fondo: bisogna far crescere la raccolta differenziata, con l’educazione e organizzazione, e riuscire a vivere con meno consumi e imballaggi. Però, di fronte a una emergenza, che da Napoli minaccia di estendersi anche altrove, l’atteggiamento degli ambientalisti che dicono di no a tutto, non avanzano proposte concrete se non un generico «bisogna essere tutti più buoni», mi sembra un po’ poco.
Cominciando dalle proposte banali, ma efficaci, mi risulta che in molte città tedesche e qualcuna francese e Usa, i supermercati siano dotati di compattatori, che pesano quanto viene portato in plastica e vetro e danno dei gettoni da spendere nel supermercato. L’azienda che raccoglie i rifiuti risparmia comunque molto lavoro di raccolta dai bidoni. È poco, ma serve a creare un’abitudine, tanto al supermercato si va in auto.
Poi, anche se non sono un tecnico, non riesco a capire come mai in Germania, Svizzera e Francia, paesi dove esiste una buona cultura tecnica e un’attenzione all’ambiente superiore alla nostra (da 2 anni in Francia sono vietati i sacchetti di plastica), ci ridono dietro e ci invitano a mandare in treno i nostri rifiuti, che ci pensano loro a bruciarli: non si curano della salute e dell’ambiente? Non mi pare: forse hanno una tecnologia più avanzata, ma non vedo perché non la compriamo.
D’accordo, i nostri Pecoraro, camorristi e ambientalisti si stracciano le vesti; ma lo fanno anche per gli inceneritori superati che ci apprestiamo a comprare, forse perché erogano maggiori tangenti, oppure non sono superati neanche i nostri e chi fa l’ambientalista generico si limita a dire no a tutto, senza fastidiose informazioni tecniche? Insomma, in Italia non ho ancora trovato ambientalisti seri.
Claudio Bellavita
via e-mail

Lo smaltimento dei rifiuti è un problema complesso (l’emergenza campana lo dimostra) e ci coinvolge tutti. Ben vengano i suggerimenti, come quelli riportati anche nella lettera seguente. Una cosa rimane molto chiara: tutti possiamo e dobbiamo fare qualcosa e farlo meglio!

Si può fare… meglio

Caro sig. Direttore,
sono un vostro sostenitore e vi ho indicati come beneficiari del 5‰ per il 2006. Poiché si vocifera che qualcuno abbia rubato dai conti della posta, sarebbe bello se ci deste qualche notizia in merito ai vostri fondi, in una delle prossime edizioni della sua simpatica pubblicazione Missioni Consolata.
In questa rivista trovo molto interessanti gli articoli nei quali date notizia delle situazioni di vari paesi nel mondo, da un angolo visuale diverso dai soliti e da parte di chi ci vive veramente in mezzo. Unico neo, a mio parere, un certo piglio terzomondista e verde arcobaleno che appare in alcuni scritti, che mi sembra poco obiettivo, per il verso opposto nei confronti delle condizioni reali delle cose.
Certo il peccato del mondo e il suo «principe» permangono anche dopo la Pasqua; ma è anche vero che non tutto è male come proclama il «grande bugiardo». L’umanità in fondo sta proseguendo il cammino della Genesi di dominare la terra, certo nella caligine e nell’oscurità, ma avanzando più di quello che egli dice, irridendoci di fronte a Dio.
Prendiamo la globalizzazione: ora stiamo tutti a dire che è un gravissimo errore, che la sua molla è il bieco profitto, che l’umanità andrà incontro alla catastrofe. Non mi sembra proprio così: il fatto è, ad esempio, che le materie prime, il grano in testa, hanno prezzi elevati semplicemente perché la gente muore meno di fame e sta un pochino meglio di prima, che l’acqua scarseggia anche perché l’igiene migliora, che la miseria assoluta si è ridotta, ecc.
Certo, si può fare meglio; certo sarebbe bello che le persone lavorassero solo per il bene comune, ecc. Ma di chi è la colpa se non del fatto che quando la cosa è di tutti, nessuno se ne cura? I sindacati non si sono mai sognati di usare maggiore severità nei confronti dei propri iscritti, pubblici dipendenti; anzi, hanno permesso con questi ogni genere di licenza. Poi ci stupiamo che si torni al padrone?
Nel numero di marzo 2008, l’articolo di apertura di don Antonelli spara a zero nei confronti di chi produce immondizia, ma non mi sembra abbia l’onestà intellettuale di dire che il mancato uso degli inceneritori (ma sì, usiamola la parola) ha prodotto molta più diossina che se questi fossero stati funzionanti e che quindi erano, sono essi quel buon rimedio che è stato invece rifiutato in nome dell’assoluto.
Afferma l’Antonelli che l’immondizia è causata da un uso ignobile delle ricchezze della terra, ma si dimentica di dire che il più è causato dall’uso di involucri che rendono difficile il degrado delle merci e che quindi vanno a vantaggio della sicurezza e del buon uso dei prodotti.
Produrre di meno e consumare di meno? Toare al mondo passato di miseria dilagante e fame diffusa? La risposta non può che essere produrre e consumare meglio. Produrre con attenzione alle conseguenze conosciute dei nostri atti, senza perfezionismi, e consumare quanto è utile per sviluppare la nostra vita, senza giansenismi, ma disponibili a pagare quanto necessario per migliorare le cose. Dobbiamo mettere in conto che non sarà mai una risposta impeccabile; sarà sempre un meno peggio, ma sarà quanto possiamo e dobbiamo fare.
Francesco Ferrazin
via e-mail
Di ogni offerta pervenutaci tramite c.c. postale viene inviata lettera di riscontro e ringraziamento; ma non siamo in grado di confermare quanto si «vocifera».
Così pure per i benefici devoluti alla nostra Onlus tramite il 5‰ (di cui ringraziamo di cuore); essi sono gestiti dal Ministero dell’Economia tramite l’Agenzia delle Entrate, che ci comunica l’importo totale, senza i nomi dei singoli donatori.

Altri dentisti in Kenya

V orrei prendere spunto dall’articolo del dott. Azzalin sull’iniziativa dell’ApaOnlus con il progetto «Adotta un dentista a distanza» (M. C. febbraio 2008, pag. 72), per contribuire a chiarire alcuni aspetti del volontariato in Kenya e relative problematiche che coinvolgono le associazioni che vi operano.
Faccio parte dell’associazione SmomOnlus (Solidarietà medico odontorniatrica nel mondo – http://www.smomonlus.org). Per conto dell’associazione e in partenariato con i missionari della Consolata, negli anni 2003-2004 ho dato avvio a due progetti di intervento odontorniatrico: a Likoni (Mombasa) e a Maralal. Grazie all’aiuto di padre Masino Barbero, lo studio dentistico di Likoni è diventato autonomo in breve tempo. Da alcuni anni una collega locale, regolarmente assunta, conduce lo studio in modo continuativo e con brillanti risultati.
Attualmente la Smom è impegnata, sempre a Likoni, per strutturare in un locale adiacente allo studio, un laboratorio odontotecnico. Il dott. Paolo Bologna sta operando affinché anche questa iniziativa si realizzi in tempi brevi con l’inserimento di operatori qualificati locali. L’autonomia e autosufficienza delle strutture sanitarie locali è dunque un punto chiave attorno al quale ruota il nostro lavoro di operatori sanitari e non sembrerebbe lecito voler prescindere da questo assunto, che guida da sempre l’operato della nostra associazione.
Ben diversa, però, è la situazione a Maralal. Lo studio dentistico è attivo dal 2003. Tra la diocesi di Maralal, nella persona del vescovo mons. Virgilio Pante, e la Smom, è stato stilato un protocollo d’intesa, che definisce le linee operative di entrambe le istituzioni. Numerose missioni di volontari, dentisti, odontotecnici e assistenti, si sono succedute nel tempo prestando cure a migliaia di persone.
Tuttavia Maralal, e più in generale il Samburu District, non è luogo di immigrazione intea. Lontano com’è dai circuiti urbani, non si presta a reperire personale sanitario locale qualificato. Il Dental Unit di Maralal potrebbe dunque, per molto tempo ancora, rivestire un ruolo puramente assistenziale, le cui saltuarie prestazioni non soddisfano i propositi di autonomia operativa caldeggiati dalla Smom. Nel corso delle numerose missioni che ho condotto a Maralal, ho avuto occasione e possibilità di approfondire la conoscenza di quella regione e focalizzare alcune problematiche cruciali.
Il Samburu District  fa parte dei distretti Asal (Arid and semi arid lands). Per caratteristiche climatiche e di territorio è dunque soggetto a periodi ciclici di siccità, che spesso in passato hanno dato luogo a terribili carestie. Per le tribù nomadi e seminomadi di quelle terre, la mancanza d’acqua rappresenta la sofferenza e la morte delle mandrie di bovini e capre, unica fonte del loro sostentamento.
Da questa consapevolezza nacque l’idea di perforare un pozzo per l’acqua nella regione. Iniziato nel 2006, a fine agosto 2007 il pozzo era completato e messo in funzione a Leir-Bahawa, 20 km a sud di Maralal. Alcuni volontari che parteciparono alle missioni si sono attivati personalmente per raccogliere fondi rivelatisi preziosi (se il «turismo umanitario» dà questi frutti… perché no?).
La Smom, nel suo intento di proporre un intervento globale di promozione e salvaguardia della salute, impegnando energie e risorse, ha patrocinato la realizzazione di quest’opera, volta a garantire l’accesso libero e gratuito a un bene prezioso e indispensabile. Ne beneficeranno circa 10 mila persone. L’opera non sarebbe stata comunque possibile senza l’aiuto esterno di singoli e associazioni, che hanno prontamente aderito all’appello della Smom. Per questo ringrazio: la parrocchia S. Giovanni Gemini (AG), don Salvatore e collaboratori; le associazioni «Carta Vetrata» di Cammarata (AG) e «Itinerari» di Telgate (BG); il gruppo «Amici di Villabalzana»(VI); una donatrice anonima di Reggio Emilia; padre Alex Moreschi.
Tralascio volentieri ulteriori commenti sul «turismo umanitario» e resto in attesa che qualcuno individui, nel lavoro sopra descritto, intenti «narcisistici e autoreferenziali» o, peggio ancora, una testa di ponte per introdurre «un inutile quanto dannoso e nuovo colonialismo di tipo economico».
Nel frattempo sarebbe auspicabile una maggiore prudenza nei giudizi e una rinnovata coscienza che promuova una reale solidarietà fra gli operatori umanitari a unico beneficio dei destinatari del nostro servizio.  Saluti fratei.
Dott. Massimo Fugazza

G razie, padre, per avermi passato la lettera del dott. Fugazza. Chi fa, è spesso esposto alle critiche.
Non ricordo chi sia il dott. Fugazza e se l’ho incontrato da qualche parte non lo ricordo. Lavoro in Africa dal 1987 e so come vanno queste cose, ma non volevo certo irretire nessuno anzi semmai ringraziarlo, insieme a quei gruppi elencati nella lettera, per ciò che fanno in Africa. Il mio era un pensiero ben condiviso dal gruppo di cui faccio parte e dunque rivolto solo a noi stessi. Mi spiace per questo malinteso: non era assolutamente mia intenzione coinvolgere altri e mi scuso sin d’ora se non è stato afferrato il concetto. Sono in partenza per il Ghana… Le farò avere la risposta condivisa dall’ApaOnlus.

Dott. Dino Azzalin