Perù. Ollanta e Nadine

Incontro con Ollanta Humala Tasso, fondatore del Partito nazionalista

Ollanta Humala Tasso è un personaggio che suscita sentimenti opposti. Presidente del «Partito nazionalista peruviano»,  nel 2006 ha vinto il primo tuo delle elezioni presidenziali, per essere poi sconfitto da Alan García, l’attuale presidente. Ollanta, che ha soltanto 45 anni, gode di un forte seguito tra la popolazione povera, soprattutto fuori Lima. Idealmente vicino a Hugo Chávez ed Evo Morales,  è inviso a molti avversari politici e ai media, dentro e fuori il Perú. In questa lunga intervista abbiamo cercato di scoprie i veri motivi.


Lima. «Ma scendete qui?», il taxista è sorpreso. «Allora andate dal comandante!», aggiunge sempre più incuriosito.   
Sì, andiamo dal comandante Ollanta Humala Tasso, fondatore e presidente del «Partito nazionalista peruviano» (Partido nacionalista peruano, Pnp). Vorremmo cercare di capire se egli sia un astro o una meternora della politica peruviana, nonché per cercare di comprendere da cosa nasca tanta ostilità (politica e mediatica) nei suoi confronti.
La sede del Pnp è una sobria casetta di colore verde davanti ad un bel parco di San Isidro. L’unico elemento che la distingue da una normale abitazione è un grande cartellone elettorale posto sul tetto che riproduce un Ollanta Humala sorridente.  «La gran transformacion sigue en marcha…», recita lo slogan.
Oltre la porta d’ingresso c’è un piccolo giardino dove, appoggiato al muro, sta un altro cartellone dell’ultima campagna elettorale. In esso Ollanta è ritratto con la giovane e bella consorte, Nadine Heredia: «El verdadero cambio sin mentiras, corrupción ni falsas promesas».
Cynthya, la segretaria di fiducia, ci introduce in un ufficio al primo piano, moderno e luminoso. Sulla lavagna bianca dietro la scrivania sono ancora visibili le scritte di una discussione sull’argomento, sempre spinoso, della produzione di foglie di coca.
Il nostro interlocutore arriva in maglietta estiva e blu-jeans. Giovanile e sorridente.

Il nazionalismo per «de-privatizzare»

La stampa italiana ed europea parla molto male di lei… Chi è realmente Ollanta Humala?

 «Sono un padre di famiglia. Ho due figlie piccole. Oggi sono un militare in congedo. Nell’anno 2000 (leggere la cronologia, ndr) ho guidato una sollevazione militare contro il governo dittatoriale di Fujimori e Montesinos».

Lei è fondatore e presidente del «Partito nazionalista peruviano». Il problema è che l’aggettivo «nazionalista» viene guardato con molto sospetto…
«Il concetto nazionalista è diverso da quello che avete voi in Europa. Noi non parliamo di un nazionalismo imperialista, che tanti danni fece nella storia europea. Stiamo parlando di uno stato nazionale. A differenza dell’Italia, il Perú è un paese sottosviluppato e semi-coloniale. Siamo stati per 300 anni sotto una dominazione spagnola che ha lasciato il segno. Una minoranza, legata ai poteri economici transnazionali, si è appropriata dello stato peruviano e lo ha privatizzato.
Un paese ricchissimo di ricchezze naturali come il nostro ha 7 milioni di abitanti su 28 che vivono nell’esclusione economica, sociale e politica.  Ci sono milioni di persone che vivono senza i servizi minimi. Che abitano in case di esteras (stuoie di bambù intrecciate, ndr). Che non possono dare ai loro figli una vita degna».

In concreto, che cosa proponete?
«Il nostro nazionalismo vuole recuperare lo stato nazionale per risolvere questi problemi.  Siamo nazionalisti proprio per questo: per poter “de-privatizzare lo stato”.  Soltanto così è possibile portare educazione e salute a tutti coloro che oggi non li hanno».

Toiamo alle elezioni presidenziali del 2006. Lei vinse nettamente al primo tuo, poi perse nel ballottaggio con Alan García. Fu tutto regolare?
«Il secondo tuo è un artifizio tecnico per costruire delle maggioranze. Si sono alleati tutti – politici, detentori del potere economico – per impedire il cambiamento che con noi sarebbe avvenuto. Lo stesso presidente Toledo fece campagna contro di me, commettendo una grave violazione costituzionale.
 I mezzi di comunicazione mi hanno fatto una guerra incredibile. Che ero antigiudeo. Che con me saremmo andati alla guerra con il Cile. Mi accusarono di essere un assassino. Che con me si sarebbe instaurato un regime comunista. Che con me non si sarebbe rispettata la proprietà privata. Si disse di tutto. Addirittura che io avrei fatto fucilare gli omosessuali! La mia famiglia venne dipinta come la peggiore famiglia del Perú».

Quando un candidato  è «anti-sistema»

È vero. Provo imbarazzo a dirlo, ma anche in Italia si sono sentite cose incredibili su di lei. Per esempio, i due principali quotidiani italiani – il “Corriere della sera” e “la Repubblica” (1) – l’hanno descritta o come un populista o come una macchietta…
«Quando una persona vuole cambiare le cose, tutto diventa più difficile. Se io fossi stato un candidato pro-sistema, che parla di neoliberismo, che non andrà ad intaccare i privilegi dei ricchi e a risolvere i problemi della grande maggioranza, non sarei stato tanto stigmatizzato, ma anzi mi avrebbero descritto come un perfetto democratico.
Come lei sa, qui a Lima può incontrare quartieri molto belli, ma appena passa alle barriadas trova gente che vive con meno di un dollaro al giorno. Quella del Perú non è una democrazia, ma una dittatura dei poteri economici nazionali ed inteazionali».

Mario Vargas Llosa,  il  più famoso scrittore peruviano, molto conosciuto in Europa, ha fatto una propaganda feroce (2) contro di lei…
«Uno scrittore celebrato come Mario Vargas Llosa, nemico dell’attuale presidente, chiese di votare Alan García (pur tappandosi il naso), piuttosto che dare il voto a me.
Il cambio è possibile in Perú, ma è una sfida molto difficile. Io perdo molto tempo ad affrontare i giudizi intentati contro di me, ma non mi pento. Andrò avanti.
Noi nazionalisti andremo al potere. Stiamo instaurando rapporti di fratellanza con gli altri partiti progressisti latinoamericani, che possono chiamarsi socialisti (in Venezuela), indigenisti (in Bolivia) o altro, ma che hanno tutti un obiettivo comune: cambiare il modello economico neoliberista. Con loro dobbiamo allearci.
Anche perché oggi i principali problemi sono sovrannazionali: quello della fame, della salute. Sono problemi che oltrepassano le frontiere».

Come i Trattati di libero commercio (Tlc)…
«Certo. Noi, come molti altri paesi latinoamericani, siamo contrari al Tlc con gli Stati Uniti».

I media e i politici occidentali la criticano anche per le sue relazioni con Hugo Chávez ed Evo Morales. Che rapporti ha con i presidenti di Venezuela e Bolivia?
«Ho un’amicizia con loro, che si basa su un’affinità ideologica, su un cammino comune, anche se ogni paese ha le sue particolarità.
Credo che Hugo Chávez ed Evo Morales (3) siano il nuovo volto dell’America Latina. Dopo che negli anni precedenti, il popolo ha cacciato presidenti in Argentina, Ecuador e qui in Perú per Fujimori».

Da questi sommovimenti nascono le proposte nazionaliste?

«Voglio insistere ancora: il concetto nazionalista in Europa è diverso da quello in Perú, anche se il nome è lo stesso. Come quando in Europa è giorno e qui è notte, quando là fa caldo, qui fa freddo.
Come la Francia durante l’occupazione tedesca, anche qui vogliamo liberarci dall’oppressione straniera».

La Guerra del Pacifico, pur lontana nel tempo (1879-1884), riesce ancora ad avvelenare i rapporti tra Bolivia e Perú da una parte, Cile dall’altra. Come sono le relazioni con Santiago?
 «L’economia del Cile si basa molto sul rame (cobre), che proviene da Arica e Tarapacá, territori che appartennero al Perú fino alla Guerra del Pacifico. Oltre a questo, il Cile sta occupando 65mila chilometri quadrati di mare e 37mila di terra ferma, che corrisponde alla nostra Costa Sud.
Fissiamo una volta per tutte la questione delle frontiere e poi parliamo di integrazione economica».

Le questioni con il Cile devono essere risolte sempre per via diplomatica?
«Certamente! Mai abbiamo parlato di soluzioni diverse da quella diplomatica. I due popoli sono popoli fratelli. Il problema è a livello politico».

E che può dire delle relazioni con gli Usa di George W. Bush?
«La politica nordamericana in America Latina è sempre stata molto questionata. È stata caratterizzata da interventi diretti o indiretti. In Perú l’ambasciatore Usa è un uomo molto potente, più dello stesso presidente peruviano. Noi non abbiamo ragione per litigare con il paese più forte del mondo. In più, dal loro popolo possiamo imparare molto.  È una nazione che è nata su valori importanti come la libertà e la democrazia. Detto questo, credo che si dovrebbe stabilire una relazione equa e di mutuo rispetto.
Ci sono questioni importanti come la politica antidroga, in particolare quella contro la foglia di coca che in Perú è stata fallimentare. Come dimostra il fatto che in 20 anni la quantità prodotta di foglie di coca si è moltiplicata.
Normalmente i governi affrontano il problema dal lato più debole, colpendo piccoli coltivatori di foglie di coca. Invece di prendersela con le vere mafie che sono coloro che vendono il cloridrato, che esportano la coca, eccetera».

Un aggettivo per Alberto Fujimori, Alejandro Toledo e Alan García…
«Fujimori: un delinquente.  Toledo: un pusillanime. Alan García: un traditore».

In che senso il presidente García è un traditore?
«Perché in campagna elettorale disse alcune cose, ma giunto al potere le dimenticò. Ad esempio, sul “Trattato di libero commercio” prima disse no e poi sì.  Anche per frenare l’asse Caracas- La Paz.
Ha detto di tornare alla vecchia costituzione, perché quella del dittatore Fujimori è una costituzione delinquenziale. Neppure questo ha fatto. Non ha messo imposte sugli extraprofitti delle compagnie minerarie, facendo perdere milioni al Perú. E poi la questione del Cile e le forze armate senza soldi. Per tutto questo dico che lui è un traditore».

Alan García goveò molto male durante la sua prima presidenza. Eppure, è stato di nuovo votato dai peruviani. Possiamo dire che l’hanno votato perché avevano paura di una sua vittoria?
«Possiamo dirlo. In Perú i mezzi di comunicazione sono una forza poderosa. Possono distruggere o portare alle stelle chiunque, allo scopo di difendere interessi specifici, come quelli delle imprese minerarie».

La interrompo: la maggioranza delle imprese minerarie sono straniere, giusto?
 «Sono tutte straniere».

Stava parlando dei mezzi di comunicazione…
«Hanno dipinto il sottoscritto come un mostro: fascista, nazionalsocialista, hitleriano, di tutto insomma. È una parte della prostituzione dei mezzi di comunicazione o comunque del cattivo uso che si fa della libertà di espressione. A chi mi insulta viene subito dato credito, anche ora».

Alan García starà al potere fino al 2011. Come goveerà?
«Sta facendo quello che sa fare meglio: aprire la strada alla corruzione, far arricchire chi è già ricco, tenere nella povertà la maggioranza dei peruviani. È una tappa penosa, ma credo che sarà l’ultima. Dal 2012 si potrà costruire una nuova società».

Guerra e diritti:  le colpe dello Stato

Qualche considerazione sulla storia del Perú, quella caratterizzata dalla guerra sporca e sulla quale ha indagato la Commissione per la verità.
«È stata una guerra intea tra movimenti sovversivi  e stato. Quest’ultimo altro non fece che inviare l’esercito, senza un confronto ideologico e politico. La guerra terminò con circa 60.000 morti ed 8.000 scomparsi. Si formò una “Commissione per la verità e la riconciliazione” (4). Secondo la sua relazione, il principale colpevole fu Sendero Luminoso, ma ciascun protagonista tiene la sua quota di responsabilità.
In ciascun lato, sono stati identificati i responsabili che stanno pagando per le loro colpe (5). Per Sendero Luminoso c’è Guzmán, per l’Mrta c’è Campos, ma per lo Stato non c’è nessuno…
I primi due movimenti hanno pagato con i loro leader in carcere, ma nessuno ha pagato per lo Stato. Anzi, i responsabili di allora sono quelli oggi al potere. Guardiamo ad Alan García. Durante la sua prima presidenza ci furono numerosi massacri, sparizioni, assassini nelle carceri. Che ha fatto lo Stato? Ha accusato i soldati che parteciparono nella guerra e non i politici. Insomma, manca un giudizio politico sullo stato peruviano per la partecipazione alla guerra».

Come giudica il lavoro della Commissione?

«È stato lo studio più serio e completo sulla guerra intea del Perú. Io non sono stato accusato di nulla. E il nostro partito è stato l’unico a mettere nel programma il compimento delle raccomandazioni della Commissione».   

Cosa sono per lei i diritti umani?
«Significa dare tutte le sicurezze e le libertà perché una persona sia non solamente una persona ma anche un cittadino.
Essere cittadino significa avere obblighi, ma anche diritti. Non solo diritti alla vita ma anche al lavoro, alla salute, all’educazione. In questo contesto, il più grande violatore di diritti umani è lo Stato, che nega un’educazione di qualità ai bambini, che nega una sanità accessibile e di qualità alla maggioranza dei peruviani, che nega sicurezza e stabilità economica agli anziani che hanno lavorato per 30-40 anni. Non hanno una pensione degna. Ebbene, in tutto ciò io credo stiano i diritti umani».

Il futuro che cosa potrebbe riservarvi?
«Siamo un partito giovane, un partito del Siglo XXI. Credo che siamo nati per contribuire a migliorare la società, per cambiare questo sistema che si chiama “democrazia rappresentativa”, ma che in questo momento non rappresenta la maggioranza dei peruviani. Occorre una “democrazia partecipativa”.
Abbiamo ridato speranza a questo popolo. La nostra sfida per il futuro è di riuscire ad organizzare questa speranza».

Con metodi pacifici?

«Sempre. Mai abbiamo parlato di uscire dai limiti dello stato di diritto. Se cammina per le nostre strade, vede molta fame, molta disperazione, molto scontento. In questa situazione, si trova sempre qualcuno disposto a cambiare attraverso la violenza. Noi, i nazionalisti, siamo contrari a soluzioni violente. Anche se ci hanno accusato di ogni nefandezza, mai abbiamo parlato di abbandonare lo stato di diritto. In Perú tutti siamo stanchi della violenza. Io so cos’è la guerra e la violenza. E so che non è quello che chiede la famiglia peruviana».

Lei è ancora un militare?
«Sono un militare in pensione».

Cosa le ha lasciato la carriera militare?
«Provengo dalla classe media e pertanto avevo una certa idea del Perú. Nell’esercito entrano invece persone di ogni provenienza così ho potuto conoscere veramente il mio paese.
Ho capito che lo Stato non rappresentava la grande maggioranza. Da quando sono in pensione mi sento in dovere di ricostruire questo paese. Ho 2 bambine e non voglio che vivano in un Perú con questa classe dirigente».

La famiglia   

In Italia e in Europa i media hanno dato rilievo a dichiarazioni discutibili da parte di suo padre Isaac, sua madre Elena, suo fratello Antauro. Che può dire al riguardo?
«Nell’ultima campagna elettorale ci sono state differenze con la mia famiglia. Riconosco che alcune posizioni di mio padre e di mio fratello sono piuttosto estremiste e per questo io non le condivido. Durante la campagna elettorale avversari politici e media unirono le nostre posizioni come fossero un tutt’uno. Certamente noi non siamo un partito razzista perché non si fa politica in base al colore della pelle. Noi chiediamo soltanto di riscattare la cultura e i valori ancestrali. Io rifiuto qualsiasi divisione in bianco, nero, giallo».

Abbiamo iniziato questo incontro con la famiglia. Vorremmo concludere allo stesso modo:  sua moglie e le sue figlie sono con lei?
«Siamo una squadra. Per fortuna, le mie due figlie non sanno ancora leggere. Altrimenti quante cose mi avrebbero domandato…
L’appoggio di mia moglie Nadine è importante perché in Perú la politica è una cosa molto difficile. Quando una persona vuole cambiare le cose, la prima mossa che le forze al potere fanno è di attaccare la sua credibilità. In questa situazione, se non stai bene in famiglia, è facile arrivare al divorzio». 

Di Paolo Moiola

Cronologia essenziale 1963-2008
LA POPOLARITA’ DI OLLANTA METTE PAURA

27 giugno 1963: la nascita
Ollanta Humala Tasso nasce a Lima da Isaac Humala ed Elena Tasso, discendente di Termilio Tasso, un italiano arrivato in Perú nel 1850 (assieme al naturalista Antonio Raimondi). Ollanta sarà il secondo di 8 figli.

1982- decennio ‘90: guerra e sospetti
Dopo aver frequentato il collegio peruviano-giapponese di Lima, Ollanta inizia la carriera militare. Negli anni Novanta combatte Sendero Luminoso. In seguito, i suoi avversari e i media diranno che proprio in questo periodo il comandante Ollanta si rese colpevole di violazione dei diritti umani (Huallaga, 1992). Accuse peraltro mai comprovate.

29 ottobre 2000: la sollevazione
Ollanta Humala, con il fratello Antauro ed altri ufficiali dell’esercito capeggiano una sollevazione a Locumba (Tacna, vicino alla frontiera con il Cile) per esigere la rinuncia del governo guidato da Alberto Fujimori. Vengono amnistiati qualche mese dal governo transitorio di Valentín Paniagua.

2002-2003: all’estero
Sotto il governo di Alejandro Toledo, Ollanta Humala viene inviato come funzionario militare alle ambasciate peruviane di Francia e Corea del Sud. A Parigi, frequenta corsi di diritto internazionale alla Sorbona.

1-3 gennaio 2005: il fratello Antauro
Antauro Humala con un gruppo di 160 militari assalta un commissariato a Andahuaylas (Apurímac) per suscitare una sollevazione popolare contro Toledo. Il gruppo si arrende dopo 2 giorni. Ollanta Humala condanna l’azione del fratello. Le loro strade si dividono.

aprile 2005: il partito nazionalista
Ollanta Humala, Nadine Heredia Alarcón ed altri fondano il «Partito nazionalista peruviano».

28 giugno 2006: commercio
Il parlamento peruviano uscente approva il Trattato di libero commercio (Tlc) con gli Stati Uniti.

9 aprile 2006: vince Humala
Al primo tuo delle elezioni presidenziali si impone  Ollanta Humala con il 30,6% dei voti validi. Al ballottaggio con lui andrà Alan García Pérez, che ottiene il 24,3% dei consensi.

4 giugno 2006: vince García
Al secondo tuo, vince Alan García con il 52,62% dei voti contro il 47,37% di Ollanta Humala. Quest’ultimo vince in 14 province.

14 dicembre 2007: il gradimento
Secondo un’inchiesta dell’Università cattolica l’approvazione per l’operato del presidente García è al 29 per cento. Con punte del 15-13 per cento fuori di Lima.

gennaio 2008: intanto…
Il governo peruviano presenta un’istanza alla Corte Internazionale di giustizia di La Haya, perché delimiti i confini marittimi con il Cile. Nel frattempo, la congressista Keiko Fujimori annuncia la nascita di «Fuerza 2011», il partito fujimorista che si presenterà alle prossime elezioni presidenziali.

gennaio 2008:  lotta senza esclusione
La magistratura peruviana chiede 15 anni di carcere e l’espulsione dal paese per Ollanta Humala per i fatti accaduti ad Andahuaylas nel 2005. Il leader nazionalista viene difeso da Chávez e Ortega durante la riunione dell’Alca a Caracas. Il governo di García protesta per l’ingerenza negli affari peruviani.

30 gennaio 2008:  manifestazione
A Lima c’è una grande manifestazione in favore di Ollanta Humala e contro le manovre per allontanarlo dal paese.

Paolo Moiola

Nadine Heredia, consorte di Ollanta
UN SORRISO E UNA PENNA: LA CAMPAGNA DI NADINE

Eliane Karp, moglie dell’ex presidente Alejandro Toledo,  era spesso sui media peruviani. Antropologa ebrea di nazionalità belga, la Karp si fece conoscere a causa di dichiarazioni avventate, liti familiari e da ultimo anche per scandali finanziari. Anche Nadine Heredia, moglie di Ollanta Humala, è spesso sui media del paese, ma non come oggetto di scandalo, bensì come giornalista ed opinionista. Scrive sul quotidiano La República, uno dei più importanti del paese, che da gennaio 2007 le ha concesso una rubrica settimanale.  Siamo andati a spulciare tra i suoi articoli.

Sulla democrazia e il Tlc – «Viviamo un paradosso: poche volte come ora si parla tanto di democrazia e poche volte, come ora, le istituzioni appaiono tanto lontane dai cittadini, dai loro problemi, dalle loro aspettative.  (…) Buon esempio è il Tlc che il governo applica per beneficiare alcuni senza preoccuparsi dei danni: questo Tlc consente il disboscamento indiscriminato nella nostra Amazzonia e l’inquinamento dell’ambiente. Nello stesso tempo, permette l’entrata di prodotti agricoli sussidiati (i prodotti Usa, ndr) e prolunga il monopolio delle multinazionali farmaceutiche impedendo la concorrenza dei farmaci generici. Il Tlc, inoltre, aggrava la situazione e i diritti del lavoro e censura le organizzazioni sindacali attraverso la pressione del licenziamento. Infine, con questo trattato si accentua la frattura sociale che in Perú va unita alle altre di carattere etnico e geografico» (30/04/07).

Sull’Amazzonia e le multinazionali minerarie – «Da tempo i media lanciano l’allarme sulle mafie che operano nel settore del taglio illegale del legno.  (…) I grandi trafficanti hanno addirittura invaso riserve naturali e terre riservate a comunità native allo scopo di estrarre e commercializzare, con documenti falsi, il ricercatissimo mogano (…). Come per il narcotraffico, il profitto ottenibile è in media 170 volte più del costo di estrazione, profitto condiviso con funzionari statali corrotti»  (21/05/07). «Per consolidare lo sviluppo del settore minerario non solo si aprì il mercato, ma si offrirono incentivi per dare impulso agli investimenti (…). Questi benefici hanno fatto in modo che le imprese minerarie godano di privilegi e guadagnino molto denaro a fronte dello sfruttamento delle nostre risorse non rinnovabili e di una manodopera poco costosa, oltre agli alti prezzi delle materie prime sul mercato internazionale. Il Perú di oggi non è quello di prima, con un contesto politico violento e in recessione. Perché dunque si mantengono  le agevolazioni fiscali per le grandi imprese generando perdite di entrate per le casse statali? (…) Occorre riequilibrare la relazione tra i sovraprofitti del settore minerario e i tributi che esso genera. (…) Il governo deve cambiare questa situazione. In un contesto stabile, non è necessario che un’attività con una redditività tanto alta mantenga le agevolazioni fiscali e con ciò danneggi l’economia del paese che la ospita» (12/11/07).

Sulle foglie di coca e la politica antinarcotica – «Lontani da ogni sciovinismo, la foglia di coca non ha però incontrato alcuna difesa da parte dei nostri governi anche se costituisce elemento della nostra identità originaria (…). Questa mancanza di identificazione ha permesso la proscrizione della foglia all’Onu, frenando la ricerca sulle sue proprietà.  (…) Se si vuole agire senza ipocrisia, occorre impegnarsi nell’investigare e penalizzare i commercianti di prodotti chimici (con i quali si trasforma la foglia di coca in cacaina, ndr) e gli organizzatori  del business della droga, prima di attaccare i coltivatori di coca. La realtà dimostra che la eradicazione non funziona;  insistere su quella potrebbe sollevare ancora di più il sospetto di una pressione statunitense per giustificare certe loro presenze periferiche (le basi).  La proposta di coltivazioni alternative, accettata dai cocaleros, deve essere redditizia  e lo può essere se gli Stati Uniti reindirizzeranno i loro fondi per la commercializzazione di questi prodotti alternativi sul proprio mercato. Non esiste un problema della foglia di coca, esiste un problema di narcotraffico»  (19/03/07).

Paolo Moiola

Paolo Moiola

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