Scuole cattoliche: laboratori di cittadinanza

L’impegno educativo a servizio del paese

Non meri centri di tolleranza, ma di convivialità. Il ruolo delle scuole cattoliche nella creazione di un autentico senso di cittadinanza, capace di integrare culture e religioni diverse.

Le linee guida sono tutte un programma. Non solo pedagogico: «Educhiamo il cittadino per costruire il Libano». In tutte le scuole cattoliche del paese è stato questo slogan che ha fatto da filo conduttore per tutto l’anno scolastico 2006-2007.
I bambini della scuola Mar Behnam, delle suore domenicane della Presentazione, si sono ispirati per fae cartelloni e disegni, appesi alle pareti delle aule. Mentre i più piccoli, quelli della matea, cantano una canzoncina vagamente patriottica. Anche al Mont La Salle, una delle più grandi e prestigiose scuole cattoliche del Libano (2.200 studenti e molte attività educative e ricreative collaterali), il motto campeggia un po’ ovunque.
Visto da fuori, sembrerebbe scontato che, essendo in Libano, uno si debba sentire cittadino libanese. Ma nella complessità di questa terra, dove l’identità si costruisce su molti fattori (culturali, religiosi, politici, status sociale…), essere libanese può voler dire molte cose: rinchiudersi nella propria appartenenza comunitaria o assecondare l’indole indomita dell’emigrante.
«Le scuole cattoliche – spiega il responsabile del segretariato della chiesa maronita, padre Marwan Tabet – stanno dando un importante contributo alla creazione di un autentico senso di cittadinanza e allo sviluppo del paese. Quella che proponiamo è una pedagogia che vuole creare una cittadinanza capace di integrare culture e religioni diverse. Non puntiamo solo sulla formazione del cristiano, ma su quella del cittadino. La componente cristiana, semmai, conferisce il profilo pedagogico e culturale di riferimento».

È un impegno, questo, apparso prioritario, addirittura fondamentale, dopo la fine della guerra civile, che ha lasciato strascichi di odi e divisioni. Ma continua ad avere senso anche oggi, nel contesto politico e sociale attuale, fortemente condizionato dalla volontà di molti – dentro e fuori il paese – di dividere il popolo per meglio controllarlo e manipolarlo, anziché creare un vero spirito nazionale.
E allora l’insegnamento cattolico, che vanta una lunga tradizione e una diffusione capillare in tutto il paese, si è assunto questo compito. Che è anche una sfida cruciale per il futuro del Libano. Oggi le scuole cattoliche sono 365, per un totale di circa 200 mila studenti e 12.800 insegnanti. Complessivamente rappresentano il 25 per cento dell’insegnamento nazionale.
«L’istruzione – spiega padre Tabet – è un settore molto importante per la chiesa. Perciò si sta facendo uno sforzo molto grande perché sia mantenuto. A questo scopo cerchiamo di dialogare e cornoperare sia con il governo che con altre istituzioni scolastiche private. Anche se non è sempre facile».
Le sovvenzioni governative, solo per fare un esempio, sono in ritardo di circa tre anni e tocca al patriarcato maronita coprire il periodo scoperto. A livello di ministero dell’Istruzione, poi, da dieci anni il ministro è un musulmano sunnita e la Commissione episcopale per l’istruzione ha dovuto fare pressioni per molto tempo affinché nominassero un direttore maronita, in carica solo dallo scorso marzo.
«Non chiediamo privilegi – aggiunge padre Tabet -, ma semplicemente il riconoscimento di un lavoro prezioso che svolgiamo in tutto il paese con studenti di tutte le confessioni religiose».
Specialmente nel sud, infatti, e nella valle della Bekaa, al confine con la Siria, la percentuale degli studenti musulmani tocca punte del 90%. «In una scuola gestita dalle suore Antoniane – porta ad esempio padre Tabet – il 95% delle studentesse sono figlie di militanti di Hezbollah!».
«Proprio questa è una delle missioni della chiesa del Libano – precisa -: mantenere questa apertura e questo spirito di convivialità. Le nostre scuole non sono meri centri di tolleranza, ma appunto di convivialità. Di testimonianza dell’amore di Cristo nel rispetto delle differenze».
D urante la guerra civile, molti ricordano che alcune scuole cattoliche sono state difese da musulmani, perché ne riconoscevano il valore dell’insegnamento. «Chi ci conosce ci apprezza – continua il direttore -. Ma a volte il problema di fondo è proprio la mancanza di conoscenza. Per questo abbiamo promosso alcune iniziative volte a superare i pregiudizi e a promuovere l’incontro e la collaborazione».
Una di queste è stata la realizzazione di un libro che riporta tutte le feste cristiane e musulmane, distribuito a circa 500 mila studenti. Un lavoro durato due anni. Oggi, durante le feste degli uni e degli altri, tutti gli alunni ne leggono insieme il significato.
«Abbiamo inoltre creato una “Amical” degli ex allievi delle scuole cattoliche, in cui sono presenti sia cristiani sia musulmani che hanno studiato insieme. Infine – conclude padre Tabet – due anni fa abbiamo dato vita all’Unione delle istituzioni educative private, che comprende cattolici, protestanti, ortodossi, sunniti, sciiti e drusi. E che rappresenta l’85% dell’insegnamento in Libano». Anche questo è stato un passo molto importante per aprire un tavolo di discussione, confronto e condivisione di un impegno educativo che, in fondo, è una priorità per tutti.

«In questo momento – commenta monsignor Bruno Stenco, direttore dell’Ufficio nazionale per l’educazione, la scuola e l’università della Cei, presente in Libano per studiare modalità di cooperazione tra la chiesa italiana e quella libanese in campo educativo – è una sfida mantenere un’offerta formativa in tutto il paese e specialmente nel sud, dove anche i musulmani sono presenti nelle classi. Significa concepire una scuola autenticamente al servizio del paese, che si impegna a costruire una cittadinanza condivisa. L’insegnamento cattolico libanese ci pare un elemento fondamentale per la costruzione del Libano di oggi e del futuro. Per questo vorremmo impegnarci come chiesa italiana per promuovere occasioni di scambio e solidarietà, specialmente in questo ambito».
Mons. Stenco rimarca anche l’attenzione delle scuole cattoliche locali per le famiglie meno abbienti, gli orfani e i disabili. Per tutti coloro, insomma, che non possono permettersi di pagare le rette scolastiche, ma ai quali viene comunque garantito il diritto all’istruzione.
«Questo – riflette – è un ambito in cui potremmo promuovere azioni di solidarietà. Complessivamente, però, vorremmo innanzitutto creare occasioni di conoscenza, confronto e collaborazione reciproca. Anche la scuola cattolica italiana ha da imparare da quella libanese. Soprattutto in termini di accoglienza, rispetto delle differenze, apertura a tutti, anche ai non cattolici. La scuola cattolica italiana potrebbe trarre elementi di stimolo per elaborare proposte non solo per se stessa, ma per il sistema scolastico nel suo complesso».

Di Anna Pozzi

Anna Pozzi

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