Chi comanda in Internet?

Le mani sulla Rete (2)

Quale «governance» occorre dare a internet? Questo slogan è stato il
tema di un incontro svoltosi recentemente (novembre 2006) ad Atene,
sotto l’egida delle nazioni Unite. Esponenti della società civile e
policy makers si sono incontrati per decidere da chi debba essere
guidata l’internet del futuro.

Il mito dell’anarchia di internet
È alquanto strano pensare che internet debba essere, in qualche modo,
«governata». Per molto tempo ci è stato presentato il modello di una
rete decentrata, un insieme di nodi privi di un centro e di una
periferia. Ma l’idea di un’internet egalitaria nella struttura, capace
di sfuggire a controlli e pressioni estee, non è che un mito. In
realtà, internet è gestita in modo tutt’altro che anarchico e si sta
rivelando sempre di più il terreno di scontro di grossi interessi di
potere.
Sono ormai all’ordine del giorno gli episodi di censura di moltissimi
governi autoritari del Sud del mondo, così come le velate ingerenze di
molte democrazie occidentali. Anche in seguito a questi attacchi, è
cresciuta la voglia di costruire una forma di auto-governo della rete,
capace di eludere queste minacce. Una sorta di potere della società
civile telematica, incaricato del compito di fare della Rete uno spazio
privo di confini nazionali.
Già oggi l’articolazione mondiale di internet non è un territorio in
balia di se stesso e privo di controllo: vi sono diversi organismi che,
ciascuno con compiti distinti, ne controllano il funzionamento.
Quest’ultimo si esplica in almeno tre campi fondamentali: il possesso
delle infrastrutture, il controllo tecnico- amministrativo e quello
politico – economico. Nel caso delle infrastrutture, ormai la
distribuzione è avvenuta sull’intero territorio mondiale (anche se non
equamente, come sappiamo); mentre, nel caso del controllo
tecnico-amministrativo, le questioni in gioco non sono realmente
vitali. Diverso, e gravido di conseguenze, è il caso del controllo
politico-economico, che si realizza nella gestione dei domini sul web.
Il dominio è alla base stessa del funzionamento della Rete: si tratta
di un semplice indirizzo elettronico, che identifica un gruppo di
computer collegati in rete. Un territorio virtuale ma carico di
connotazioni proprie dei territori reali: un dominio ha la possibilità
di essere identificato con un indirizzo e di vedersi attribuito un
valore economico e politico. Non è indifferente possedere un nome di
dominio piuttosto che un altro: alcuni domini permettono di sviluppare
attività economiche e di fungere da riferimento per attività sociali,
altri invece scompaiono rapidamente nella grande massa di domini
esistenti. Da tempo i domini sul web scarseggiano e molte nuove imprese
possono rimanere escluse per l’impossibilità di sfruttare indirizzi
facilmente individuabili. Per comprendere, invece, la grande valenza
politica del nome di dominio, si pensi alle polemiche generate, qualche
anno fa, dalla decisione di assegnare il suffisso .ps, ai siti della
Palestina, assegnando così ai territori occupati un’indipendenza nel
cyberspazio che ancora non avevano ottenuto nel mondo fisico.

Tutto il potere di «Icann»
Chi gestisce la struttura di indirizzamento di internet detiene un
formidabile potere sull’economia e sulle risorse strategiche mondiali.
Icann (Inteet Corporation for Assigned Names and Numbers) è
l’istituzione che presiede alla registrazione dei domini, ed è il
custode unico della tecnologia che consente il collegamento fra un
indirizzo web e il sito ad esso appartenente. Icann può essere
paragonata a una torre di controllo virtuale, in grado di indirizzare i
computer, indicando loro la strada da percorrere per raggiungere una
determinata pagina web. Naturalmente, se smettesse di funzionare, si
precipiterebbe in una situazione simile a quella di un aeroporto la cui
torre di controllo avesse spento i radar. Chi detiene il controllo di
quei codici possiede, insomma, un potere di vita o di morte sull’intera
Rete: non è poco per un ente nato da pochi anni e di cui molti ignorano
perfino l’esistenza.
Icann, che nacque con la pretesa di essere pienamente rappresentativa
di tutti i centri di interesse e degli utenti internet, allo stato
attuale non offre garanzie di democraticità. Con sede nella Califoia,
formalmente operante per contratto con il governo americano, sottoposta
a una amministrazione burocratica e composta da membri fortemente
condizionati da poche grandi aziende, non ha finora garantito alcuna
trasparenza sulle sue decisioni, assunte quasi esclusivamente a porte
chiuse.
Nel 2000 Icann accettò di indire le prime elezioni mondiali di
internet, aperte a tutti gli utenti della Rete, con lo scopo di
eleggere i membri del proprio Consiglio direttivo. In Africa, Asia e
Sud America la vittoria spettò a tre candidati proposti dalla stessa
Icann, mentre in Europa e nell’America del Nord, dove il dibattito
attorno a quelle elezioni fu meno blindato, si affermarono due
candidati di «opposizione». La sola presenza di due consiglieri
particolarmente critici verso il gruppo dirigente di Icann fu
sufficiente perché il processo democratico venisse annullato e fossero
ufficialmente cancellati i seggi di rappresentanza concessi alla
società civile. La decisione suscitò ovviamente un vespaio di proteste
mentre le dimissioni del presidente Icann, nel giugno 2002, gettavano
l’istituzione nel caos più completo.

Nelle mani degli Stati Uniti
Oggi, dopo una lunga stasi, la comunità internazionale è tornata a
discutere del futuro di Icann, tentando di disegnare un futuro un po’
più roseo per la democrazia nella rete. Il governo statunitense,
preoccupato per il riaccendersi del dibattito, si è posto in posizione
di attacco e, per tutto il 2006, si sono moltiplicate minacce e
ammonimenti, da parte di suoi esponenti, «a togliere le mani da Icann,
parte integrante degli interessi nazionali statunitensi». Per contro,
un gruppo di paesi influenti, tra cui Brasile, Sud Africa, India e Cina
stanno premendo per assegnare le delicate competenze di Icann a un
organismo super partes, ad esempio le Nazioni Unite (in particolare
l’Unione Internazionale delle Telecomunicazioni). Questa soluzione,
tuttavia, non convince molti, soprattutto in Europa. Da una parte ci
sono dubbi fondati circa il fatto che un’istituzione dell’Onu possa
essere più snella e meno burocratica dell’attuale Icann. Dall’altra vi
è il timore che i governi nazionali possano prendere il sopravvento
nella gestione di una risorsa che, finora, avevano potuto controllare
soltanto parzialmente. A tutti appare più che evidente il tentativo, da
parte della Cina, di impadronirsi della stanza dei bottoni, che le
consentirebbe una censura ancor più rigida e capillare della propria
rete internet.

GianMarco Schiesaro

GianMarco Schiesaro