Malawi – Strade Africane  (prima puntata)

Dario Devale è un giovane antropologo torinese. Da anni si impegna sul campo per lo sviluppo dell’Africa. Dopo aver lavorato in Burkina Faso, ha vissuto in Etiopia e ora si trova in Malawi, uno dei paesi più poveri del continente. Presta la sua opera come volontario delle Ong. Mette a frutto la sua formazione anche con un’attenta osservazione delle culture presso le quali vive. Cercando di non dar nulla per scontato e di “assorbire” al massimo quello che la società di cui è ospite gli insegna. E scrive avvincenti resoconti. Su questo diario, Dario ci porta con sé nella quotidianità di un africano, affrontato ogni giorno dai pendolori di quel paese..

Io vivo a Blantyre (la maggiore città del sud del Malawi), il villaggio del progetto si chiama Ndanga, a circa 60 chilometri, raggiungibile in auto in un’ora scarsa di viaggio. Con i mezzi locali è tutta un’altra storia, sai quando esci di casa ma…è inutile che dici di buttare la pasta in pentola per il tuo arrivo, che è oltre ogni possibile previsione (Beh, sarebbe inutile comunque aspettarsi un piatto di pasta in piena campagna malawiana..).


Prendo il primo minibus da Blantyre a Limbe, zona commerciale e sede delle principali industrie manifatturiere del sud del paese, nata come cittadina a sè, ora costituiscono quasi una sola realtà urbana. Una passeggiata di quindici minuti mi porta alla successiva fermata dei minibus, direzione Chirazulu, sede di uno dei più importanti ospedali del sud, sopratutto nel campo della pediatria. I minibus sono delle scatole con quattro ruote lanciate su strade che sopratutto in questa stagione di piogge sono realtà fatte di vuoti circondati da scarse presenze di asfalto. Le prime volte prendevo posto e a distanza di qualche fermata mi ritrovavo a sgranare gli occhi alla vista dell’ennesima persona che entrava in quell’abitacolo, per i miei parametri saturo già quattro o cinque passeggeri fa. Oggi non ci penso neanche più, salgo, mi appiccico alla persona di tuo, in attesa dell’imminente ingresso di altra gente. A volte guardo perplesso il fondo posteriore del mezzo, temendo la presenza di un foro che risucchia passeggeri e di cui a distanza di tempo e chilometri potrei rimanere vittima anche io. Ma non è così, ci sono tutti, ben pressurizzati, un pastone umano fatto di donne che vanno al mercato, venditori, studenti, uomini in giacca e cravatta che con agilità leggono angoli di articoli del quotidiano nazionale, trasformato in una pallottola di carta dalle schiene e gomiti dell’abitacolo. Ho imparato col tempo che non ci si deve spaventare di fronte ai minibus che si aprono già affollati. In realtà sono proprio quelli da prendere, perché faranno meno fermate per far salire altra gente. Anche se è un’utopia sperare che non ne facciano del tutto dopo il tuo ingresso, che ti vede quasi seduto sulle ginocchia del passeggero vicino. Il controllore è in genere un ragazzo con un mazzo di banconote luride in mano, che urla tutto il giorno dal finestrino la direzione, destinazione e costo (questo diminuisce man mano che ci si avvicina al capolinea). Il ragazzo a fine mattinata ha una voce roca e ombrosa, a fine giornata gesticola solo più, invitando con ampie sbracciate la gente ad entrare sul «suo» minibus piuttosto che su quello che si affianca a distanza di pochi secondi. Una mattina ho chiesto al ragazzo di tuo di avere pazienza, avrei pagato la mia corsa una volta arrivato, perché non riuscivo a raggiungere con le mani il portafogli nella tasca posteriore dei pantaloni. (fine prima puntata, continua).


 


Dario Devale, dal Malawi


 

Dario Devale

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