«Forgiare le lance in falci e le spade in vomeri»

Lo stillicidio delle notizie e delle immagini televisive dei militari italiani caduti in Afghanistan ed in Iraq, hanno riempito i notiziari radiotelevisivi ed i giornali di questi giorni. I volti dei familiari, le lacrime strazianti delle persone care che accolgono i loro morti, il vecchio presidente che appoggia le mani sulle bare coperte dal tricolore, non possono lasciarci indifferenti. Di fronte alla morte ci si raccoglie in silenzio ed in preghiera.
Con la mente riandiamo ad altre scene simili avvenute in un recente passato, con altri giovani riportati a casa nelle bare coperte dal tricolore; e mentre a ogni morte subentra quasi un sentimento di assuefazione, non possiamo fare a meno di interrogarci sul perché di queste morti.
Nel Discorso della Montagna (Matteo cap. 5) vengono chiamati beati coloro che costruiscono la pace, perché come dice il testo, saranno chiamati figli di Dio. Costruire la pace, quindi, è vivere la figliolanza del Padre; operare per costruire la frateità degli uomini è molto di più che enunciare fredde dottrine.
Ogni anno il 24 di marzo, anniversario dell’assassinio di mons. Oscar Romero, la grande famiglia missionaria fa memoria di coloro che, in diversi paesi del mondo, impegnati in un lavoro di promozione umana e di evangelizzazione, pagano con la vita la loro fedeltà agli ideali proposti dal vangelo. Scriveva padre Christian Marie de Chergè, priore della Comunità trappista di Tibhirine, in Algeria, massacrato insieme ai suoi confratelli 10 anni fa, presagendo la tragica fine che l’aspettava: «Se mi capitasse un giorno di essere vittima del terrorismo…, mi piacerebbe che la mia comunità, la mia chiesa, la mia famiglia, si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e a questo paese. Che essi accettassero che l’unico Padrone di ogni vita, non potrebbe essere estraneo a questa dipartita brutale… Allora potrò, a Dio piacendo, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con lui i suoi figli dell’islam come lui li vede, totalmente illuminati dalla Gloria di Cristo… E anche a te, amico dell’ultimo minuto, che non avrai saputo quello che facevi; si, anche per te voglio dire questo grazie e questo “ad-Dio”. E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni, beati, in paradiso, se piace a Dio, Padre nostro di tutti e due. Amen! Insciallah». Queste parole illuminano meglio di qualunque altro discorso quanto sia fondamentale per chi crede nel vangelo di Gesù, saper donare la propria vita per costruire un mondo di giustizia, di libertà e di pace.

Ma gli interrogativi restano e si fanno brucianti di fronte al prezzo di vite umane sacrificate sull’altare di una politica, il più delle volte al servizio di potentati e interessi economici estranei alla vita di ogni giorno. Come mai siamo in terre così lontane per contrastare tiranni e dittatori, mentre manteniamo ottime relazioni con altri personaggi che da tanti anni tiranneggiano i loro paesi? Come mai ad alcuni paesi non vendiamo armi perché calpestano i diritti umani e ad altri che fanno esattamente le stesse cose, li rifoiamo delle più sofisticate tecnologie belliche, come fu fatto con i talebani afghani e Saddam Hussein? Come mai per chi è impegnato in «discutibili azioni di pace» gode di una considerevole reputazione, mentre altri volontari e operatori laici, giornalisti, operatori umanitari come lo sono i missionari italiani, vengono giudicati improvvide e incaute presenze in regioni instabili e poco sicure?
La mente è confusa di fronte a certi avvenimenti e davanti a delle bare che racchiudono giovani ragazzi morti, perché anche loro credevano di andare a portare pace, lo sgomento ci assale e ci sembra persino doveroso sognare un mondo di pace, dove non ci sia più la guerra, perché come afferma il Nuovo Catechismo degli adulti della Cei (pagg. 493/494): «La guerra è il mezzo più barbaro e più inefficace per risolvere i conflitti. Il mondo civile dovrebbe bandirla totalmente e sostituirla con il ricorso ad altri mezzi, come la trattativa e l’arbitrato internazionale. Si dovrebbe togliere ai singoli stati il diritto di farsi giustizia da soli con la forza, come già è stato fatto ai cittadini… Appare sempre più urgente promuovere nell’opinione pubblica il ricorso a forme di difesa nonviolenta. Ugualmente meritano sostegno le proposte tendenti a cambiare struttura e formazione dell’esercito per assimilarlo ad un corpo di polizia internazionale».
Commissione Giustizia e Pace, Diocesi di Novara e Vercelli

Commisione giustizia e pace