AFFARI…. IN CORSOChiesa cattolica e altre religioni nell’occhio del ciclone

Coniugando capitalismo selvaggio e comunismo maoista, la Cina si è inserita tra le potenze economiche mondiali. Ma la libertà religiosa e altri diritti umani continuano a essere calpestati. Il governo cinese non teme le rimostranze dei paesi occidentali, con i quali gli affari vanno a gonfie vele. Teme invece i gruppi religiosi, che non sono interessati al business del denaro. Così, sotto varie forme, l’opposizione alla chiesa cattolica continua.

I l boom economico legato alla libera circolazione dei capitali ha portato un sostanzioso benessere materiale per almeno cento milioni di cinesi. Una storia che tutti conoscono, osannata dai cultori del neo liberismo che vedono nell’apertura commerciale cinese la prova definitiva della bontà del modello di progresso neo liberista.
E visto che tale boom mercantile si allaccia per motivi sempre economici con la società occidentale in maniera inscindibile, governanti, politici, sindacati, industriali, media preferiscono chiudere entrambi gli occhi su un sistema dittatoriale che forse per la prima volta nella storia unisce gli aspetti peggiori del capitalismo selvaggio e del comunismo maoista.
Troppo potente la Cina di oggi per permettersi di criticarla. Un paese pericoloso da non importunare, perché sta fagocitando le industrie occidentali, offrendo condizioni lavorative non lontane dalla schiavitù, che permettono di rifornire i nostri centri commerciali di prodotti sempre meno costosi.
Cosa temono le autorità cinesi, il Partito comunista cinese? Cosa potrebbe minare questo diabolico sistema di investimenti occidentali e repressione locale? Forse le denunce della nostra dormiente stampa? Oppure la schiena dritta della cultura democratica americana o europea?
Nulla di tutto questo ovviamente. Hu Jintao, presidente della RPC e segretario del partito, e Wen Jibao, primo ministro, insieme a tutta la vecchia nomenclatura comunista, compreso il solito burattinaio Jang Zeming, sanno bene che il loro potere non potrà mai essere attaccato dalle decadenti istituzioni occidentali, troppo ansiose di fare business con i nuovi amici comunisti cinesi.
Temono quindi chi è sostanzialmente disinteressato al business, ai soldi, ovvero le religioni.

L a storia delle religioni in Cina è drammatica e troppo semplicemente ora si tende a dimenticare, a pensare che «quei tempi siano ormai superati», quando cioè, le religioni venivano semplicemente abolite, bollate come «superstizioni borghesi» e i credenti erano «controrivoluzionari».
Il periodo della rivoluzione culturale (1966-1976) vide le peggiori forme di perversione antireligiosa: umiliazioni pubbliche, processi sommari ai credenti, moschee trasformate in porcilaie e chiese in stalle, solo per fare pochi esempi di una follia durata dieci anni.
Un osservatore distratto potrebbe pensare che da allora le cose sono molto migliorate. Effettivamente i truculenti metodi dell’epoca di Jang Qing, la sanguinaria moglie di Mao e leader della banda, sono stati abbandonati, e dal 1982, anno della revisione della legge sulle religioni, le restrizioni sono diminuite.
Il Partito comunista cinese ha constatato che schiacciare le religioni è impossibile e, secondo la filosofia leninista, ha scelto di gestirle dall’interno: dalla persecuzione dura e pura si è passati alla discriminazione e al controllo.
Il vantaggio è doppio: i credenti sono facilmente controllabili e agli occhi del mondo si possono sbandierare «prodigiosi traguardi» raggiunti nei diritti umani.
Tutti sembrano contenti: controllati e sedicenti controllori. Con un po’ di make up gli affari con le multinazionali possono continuare indisturbati.
Il perché di questa repressione è semplice: le religioni, in particolare il cattolicesimo e il Falun Gong, sono vissuti come potenziali pericoli controrivoluzionari.
L’assenza dello stato sociale lascerebbe ampi spazi di manovra all’aiuto cattolico, ma il governo cinese preferisce rifiutare scuole e ospedali, perché porterebbero alla creazione di un proselitismo giudicato pericoloso. In poche parole, la massa sterminata di diseredati cinesi rischierebbe di sollevarsi contro le decadenti e corrotte autorità locali e centrali.
Nonostante questo, dal 1982 la politica cinese verso i cattolici ha avuto periodi fluttuanti di apertura e repressione, ma con un denominatore comune: controllo totale e sottomissione.
Attualmente sembra che vi sia in corso un processo di distensione, caratterizzato da trattative silenziose tra il Vaticano ed il governo cinese.
Punta di diamante di questo riavvicinamento è l’ordinazione di mons. Xing Wen-zhi a vescovo (ufficiale) ausiliare di Shanghai, nomina avallata sia dalla Santa Sede che dalla chiesa patriottica.
Una scelta avvolta dalla confusione che ha creato ottimismo, velocemente superato dall’incidente dei 4 vescovi cinesi cui è stato impedito di partecipare al recente Sinodo.

A peggiorare le cose ci ha pensato il governo cinese con una dichiarazione ufficiale di Kong Quan, portavoce del ministero cinese degli esteri, che ha accusato il Vaticano di non fare abbastanza per migliorare le relazioni diplomatiche. Il diplomatico cinese ha detto che dalla Santa Sede la Cina si aspetta «fatti», non«parole».
Il governo cinese, ha affermato Kong, ha «desiderio sincero» di migliorare i rapporti con il Vaticano, ma questi deve far «seguire i fatti alle parole». A rincarare la dose, Kong ha citato le due tradizionali prove che Pechino richiede alla Santa Sede come pre-condizioni per intraprendere ogni dialogo: rottura delle relazioni diplomatiche con Taipei; «non interferenza negli affari interni della Cina con la scusa della religione». Le dichiarazioni di Kong hanno riportato il gelo nei rapporti di Pechino con la Santa Sede.
A proposito della libertà religiosa, Kong ha detto che «la Costituzione garantisce la libertà di religione e tutti possono vedere che sempre più gente segue una religione e che ci sono sempre più posti dove i fedeli possono praticare i loro riti». In realtà, la Cina permette libertà religiosa solo con personale e in luoghi registrati presso l’Ufficio affari religiosi e sotto il controllo capillare delle Associazioni patriottiche. Chiunque pratica la sua fede fuori da queste condizioni è considerato «un delinquente», perseguibile a norma di legge. Secondo Asia News, decine di vescovi e sacerdoti della chiesa non ufficiale sono in prigione o in isolamento a causa di questo.
Una personalità dell’Accademia delle Scienze sociali di Pechino ha riferito ad Asia News che il governo di Pechino «ha capito l’importanza che il Vaticano ha nel mondo, ma non vuole risolvere la questione in modo giusto. La Cina non riesce a capire che occorre una divisione fra stato e chiesa; il governo teme che i cattolici, in momenti di crisi, ubbidiranno più al papa che alla Cina».
È teoria che le spinte liberali seguono o precedono le aperture dei mercati economici e che un sistema capitalistico maturo necessita di una società libera e democratica.
Teoria che ha sempre funzionato, ma che ora sembra vacillare proprio a causa della situazione cinese in cui lo strapotere del partito comunista regola un mercato del lavoro che necessita di manodopera docile per far felici le multinazionali occidentali che delocalizzano le produzioni.
In questo contesto la chiesa cattolica naviga a vista, fiduciosa che i dinosauri di oggi finalmente si estinguano. n

INTERVISTA
Hong Kong: incontro
con padre Gianni Criveller

Missionario del Pime, padre Gianni Criveller vive e studia a Hong Kong da 14 anni, attualmente insegna teologia della missione presso il Centro studi dello Spirito Santo.
Mi riceve nel suo studio strapieno di libri situato nella Hong Kong Island, la parte più bella della città. L’edificio del PIME è l’ultimo che vanta l’architettura tradizionale cinese a Hong Kong.
Padre Criveller, molti osservatori occidentali sostengono che la Cina deve necessariamente adottare una politica non democratica a causa dell’enorme popolazione…
Ognuno è libero di pensare cosa vuole. Ovviamente io non sono d’accordo, perché sono testimone di cosa significa questo tipo di ragionamento. Noi missionari siamo qui per portare il messaggio del vangelo e per questa ragione pensiamo che i diritti umani debbano essere rispettati ovunque.

La Cina sta avendo uno sviluppo economico straordinario. Seguirà un miglioramento anche nella vita dei cattolici?
Il boom capitalistico è fortissimo e miglioramenti sono avvenuti anche per i cattolici. Ma il controllo della chiesa patriottica nella Cina continentale è tuttora molto forte. I cattolici non sono liberi di riunirsi quando lo desiderano, gli è concessa la messa la domenica e poco altro. Le nomine dei vescovi sono imposte e chi aderisce alla chiesa sotterranea viene perseguitato. I cattolici sono sospettati di chissà quali attività contro rivoluzionarie e in definitiva sono visti come un pericolo per il partito comunista.

Questa situazione è presente anche ad Hong Kong?
No. Gli aspetti più antipatici del controllo del governo sono presenti nella Cina continentale. Non dimentichiamo che per Hong Kong esiste un sistema legale diverso dal resto della Cina, quindi vi è una maggiore libertà.

Alcuni studiosi sostengono che la Cina diventerà nel giro di qualche decennio protestante. Lei cosa ne pensa?
Non sono d’accordo: 50 anni di ateismo non si superano facilmente e l’attuale materialismo dominante ha partita facile rispetto ai valori etico-morali delle religioni. In Cina la cosa più importante in questo momento è fare i soldi, il resto non conta.
Qual è il ruolo dello stato all’interno degli affari religiosi, ad esempio con i preti che lavorano sul campo?
L’amministrazione degli Affari religiosi, un organo ufficiale dello stato, esercita un ruolo particolarmente negativo. Spesso mettono sotto pressione i giovani preti perché questi ottengano donazioni dall’estero oppure vengono tentati a seguire le pressioni governative con offerte di divertimenti, viaggi e carriere politiche.

Ci parli della comunità sotterranea cinese. Come vivono?
La comunità cattolica sotterranea ha sofferto molto in passato e sta soffrendo nel presente, ma è la grande speranza della chiesa in Cina. La loro forza è che non vogliono fare nessuna attività politica, come il governo sospetta, ma semplicemente desiderano vivere la loro fede in totale integrità, ed in maniera indipendente.

Come è vista la figura di papa Giovanni Paolo II in Cina?
Quando vado nella Cina continentale, spesso i cattolici mi fanno domande su papa Giovanni Paolo II: questo perché, durante i suoi 26 anni di pontificato, il papa ha parlato moltissimo ai cattolici cinesi, offrendo altresì alle autorità aperture politiche senza precedenti e sostenendo con forza che «un buon cattolico è anche un buon cinese», ciò che i comunisti invece non ammettono. Un amore, quello del santo padre, corrisposto dai fedeli cinesi.

Giacomo Mucini

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