RORAIMA Reportage tra gioia e rabbia

TERRA AMARA


Finalmente, gli indios di Roraima

hanno potuto festeggiare l’«omologazione» di un pezzo di terra che, d’ora in poi, sarà loro. Ma non tutti si rassegnano alla… sconfitta, continuando ad esprimere,
con la violenza, il loro rancore…

Quella del 21-24 settembre 2005 è stata una grande festa nel territorio di Roraima (Brasile): dopo lunga attesa, la terra di «Raposa Serra do Sol» è stata «omologata», cioè consegnata definitivamente ai popoli indigeni, legittimi proprietari. La vigilia è stata preceduta da un evento funesto: due giorni prima i fazendeiros hanno appiccato il fuoco a quasi tutte le costruzioni della missione di Surumú.
Una delegazione di cinque persone, la senatrice Emanuela Baio, mons. Aldo Mongiano, padre Silvano Sabatini, fratel Carlo Zacquini e padre Giordano Rigamonti, in cammino verso Maturuca, decideva di fermarsi a Surumú per essere testimone degli effetti di tanta violenza.
La festa è stata grande ugualmente: le ceneri della missione hanno maggiormente stimolato la resistenza degli indigeni nella difesa dei loro diritti e la volontà di ricostruire il loro futuro.

Surumú, 20 settembre

Scuola, ospedale, casa delle suore, chiesa… tutto distrutto dalla violenza: quali sono le sue prime impressioni, senatrice?

Sgomento e dolore hanno accompagnato le quattro ore che abbiamo trascorso nella missione di Surumú. A distanza di giorni, ancora rabbrividisco quando penso alla violenza racchiusa in quelle macerie, allo scontro tra odio e amore. Di violenza, terrorismo e scontro si può parlare, perché questo è un male che accompagna l’uomo e che nella piccola e sperduta missione di Surumú, ha espresso il peggio di sé.
Tutto è cominciato al nostro arrivo a Boa Vista. Fratel Carlo ci ha accolti, immergendoci immediatamente nella triste realtà: «Qualche ora fa, hanno bruciato la nostra missione a Surumú». Poche parole per esprimere il dramma di un popolo: gli indios dello stato di Roraima, dimenticati dai più, poco conosciuti, ma forti della loro esistenza, cultura, tradizioni e capacità. Non saranno i fazendeiros, conniventi con alcuni «politici», a distruggere questa comunità (vedi riquadro). Ci hanno già provato, ma non sono riusciti. Nonostante lo sgomento e la rabbia che ho ritrovato tra i missionari, è riemerso immediato l’amore.
Il giorno seguente il nostro arrivo a Boa Vista, padre Mario Campos, parroco di Surumú, ci ha detto pure che i giovani vogliono continuare l’esperienza comunitaria della missione. Una scelta coraggiosa, che ha illuminato di speranza il paesaggio devastato dall’odio e che ha fatto in modo che condividessimo un momento di riflessione e preghiera con quei giovani. Questo mi ha convinta ancor di più sulla necessità di continuare a sostenere il loro coraggio, sia da parte degli italiani, come hanno già fatto con la campagna Nós existimos, sia da parte delle istituzioni, come la Commissione diritti umani del Senato della repubblica.
Girando fra le macerie della scuola, casa delle suore, ospedale e nello squallore dei pochi resti della chiesa, mi sono subito accorta che la mano potente e violenta di quegli uomini (quasi sicuramente ubriachi, a detta dei presenti) hanno colpito con un’intelligenza raffinata. Quella di Surumú non è solo una missione: è il centro pulsante di una nuova cultura. Lì vengono formati i nuovi leaders e istruiti gli indios, si trova la quintessenza della paziente e faticosa opera compiuta dai missionari della Consolata per più di 30 anni di impegno. Ma lì si trova anche un ambulatorio medico, importante per le prime cure delle comunità indie.
Nella povertà e desolazione di quel luogo risiede il futuro, ricco di speranza. Se nell’ambulatorio si percepisce la solidarietà umana e il riconoscimento di un diritto inalienabile dell’uomo, quale è quello alla salute, nei resti della chiesa si intravede la profonda ricerca spirituale, nella scuola la costruzione del presente: tre simboli che rappresentano per i giovani le rocce sulle quali costruire il futuro.

Calpestiamo le ceneri ancora calde sul pavimento; preghiamo con i leaders della comunità; padre Mario, il parroco, è in lacrime e a stento riesce a dare la parola a giovani che vogliono celebrare la vita: le emozioni sono stampate su tutti i volti dei presenti…

Sono sopravvissute solo le mura perimetrali della chiesa: il resto è polvere, ceneri. È un paesaggio surreale, ma brutalmente vero. Eppure abbiamo vissuto un momento di intensa spiritualità: i giovani della scuola, nel momento di preghiera, si sono disposti in cerchio, quasi a rappresentare il circolo dell’esistenza, e ognuno di loro ha gridato il proprio nome, affermando così una presenza che non è stata portata via dal vento dell’odio, ma che lì, in quel cerchio, formava la catena della vita: la forza dell’amore.
Hanno poi intonato canti e letto testi sacri, per suggellare il sentimento di perdono e la richiesta di aiuto: è stata una comunione di intenti e una grande lezione di vita. Nessuna recriminazione né minaccia di vendetta; nessuna spiegazione per cercare di capire… Ma hanno accettato quella sorte con la forza della speranza nella pace e nella prospettiva di un futuro migliore, senza dare spazio alla rassegnazione.
Con noi c’era anche il neo vescovo di Boa Vista, mons. Roque Paloschi, il quale ha individuato il percorso dove camminare come un fratello fra fratelli, una strada in cui i missionari sono i seminatori del regno, tra un popolo che soffre.

Maturuca, 21 settembre

Il capo Jacir De Souza ti prende sotto braccio e ti accompagna alla maloca centrale, accolta da una folla festante… Come ti sei sentita, tra un popolo orgoglioso del traguardo conquistato?

Il loro scortarci alla grande maloca con canti e balli, con una gioia incontenibile, mi ha fatto constatare la spontaneità di un’ospitalità non consueta. Per noi occidentali è semplice condividere la felicità di questo popolo; non lo è altrettanto capirla fino in fondo. Solo stando lì, sentendo il racconto di persone che per 30 anni hanno sopportato le angherie dei fazendeiros (retribuiti per il loro lavoro con bottiglie di alcornol), ci si può forse avvicinare, rispettare e apprezzare la loro dignità di popolo; mentre noi non siamo in grado di guardare al futuro, essi hanno la felicità dell’essenziale, invisibile agli occhi.

La Commissione diritti umani del Senato ha fatto un prezioso lavoro di appoggio alle rivendicazioni degli indigeni di Roraima per la riconquista della loro terra: quale è stato il tuo messaggio? Quale ipotesi di collaborazione per il futuro?
«Costruire una società nella quale i diritti di pochi si trasformino nel diritto di tutti» è la prima affermazione che ho pronunciato durante la festa di omologazione. È lo spirito che ha accompagnato i missionari e che ha mosso anche il nostro impegno alla Commissione diritti umani del Senato. La mia partecipazione rappresenta una tappa di un percorso. Le 44.000 firme consegnate al presidente Marcello Pera costituiscono il sostegno, la condivisione e il rafforzamento di una battaglia (vedi riquadro).
Come rappresentante del Parlamento italiano ho ringraziato gli indios di Roraima per il coraggio dimostrato, per la forza morale che ha consentito di superare barriere invalicabili, per la paziente attesa di vedere ripristinati i loro diritti umani e civili, senza mai ricorrere alla violenza, senza attimi di esitazione o demotivazione.
Quello che unisce le nostre nazioni è anche un altro sentimento: l’amore verso la propria terra. Il concetto di terra è ben definito, indica dei limiti e proprio in questi ritroviamo i nostri valori, che, nonostante gli usurpatori, le catastrofi naturali o l’allontanamento forzoso, non potranno essere stravolti. Dentro questo diritto naturale è riconosciuta la nostra esistenza, la disponibilità a essere amati per la nostra identità, essere accettati anche da chi, forse ancora oggi, non vuole riconoscere quel grande e unico popolo.
Nel momento in cui si ammette il diritto alla terra, si riconoscono anche diritti umani essenziali: alla vita, all’alimentazione, all’acqua potabile e, quindi, all’esistenza. L’impegno del Parlamento italiano continuerà, vigilando da lontano e da vicino e lavorando affinché questi diritti, che non sono ancora pienamente riconosciuti, siano suggellati anche dal Tribunale internazionale di giustizia.
Con i missionari e la comunità indigena lavoreremo anche per far crescere sempre più la conoscenza culturale di questo popolo. Brasile e Italia, insieme, possono contribuire, con la forza della frateità, a costruire un mondo migliore, fatto di tante diversità, ma realizzato con giustizia, libertà, pace e democrazia.

Boa Vista, 21 settembre (sera)

In città circolano voci su una spedizione punitiva nei tuoi confronti… con l’accusa di ingerenza, già sbandierata dai media nei giorni precedenti: hai avuto paura?

L’atteggiamento di intimidazione nei nostri confronti, a mezzo stampa, aveva già avuto un precedente, nell’agosto di questo anno, quando il senatore Pianetta, presidente della Commissione dei diritti umani, si era recato in visita a Roraima. Forse siamo stati fraintesi: il nostro intervenire non era finalizzato all’ingerenza, ma alla cooperazione con questo popolo e le istituzioni brasiliane.
Non nego che tali intimidazioni mi abbiano spaventata, però non potevano impedire la mia visita, in quanto ero profondamente convinta del valore del mio compito.
Non posso nemmeno negare il conforto morale datomi dai missionari della Consolata che, attraverso la disponibilità e l’autornironia per quanto stava accadendo, mi hanno dato la forza per non abbattermi e hanno fatto in modo che anche questa esperienza mi rimanesse impressa come positiva.

Brasilia, 22 settembre

Incontri con deputati e senatori dello stato federale del Brasile: quali sono i suggerimenti dati e ricevuti riguardo al futuro dei popoli indigeni di Roraima?

Fra Brasilia e lo stato di Roraima è come se ci fosse una dissociazione. Ciò che sembra possibile nelle aule del Parlamento federale è vissuto come difficile o impossibile a Maturuca e a Surumú. Le ragioni sono molte e non sta a noi giudicare le scelte politiche degli uni o degli altri. Credo sia importante capire, per individuare la via da percorrere, continuare il nostro aiuto e il sostegno internazionale a una causa non solo giusta, ma essenziale per il futuro dell’umanità.
Come ci ha detto il vescovo di Boa Vista: il diritto alla terra è un diritto inviolabile dell’uomo. Anche alcuni parlamentari federali lo affermano. Ci hanno ripetuto che questa è una competenza dello stato federale. Peccato che il governatore di Roraima, quando il presidente Lula, il 15 aprile 2005, ha firmato il decreto di omologazione, abbia dichiarato sette giorni di lutto per Roraima!
Il nostro compito in Brasile è quello di creare un ponte tra due sponde che hanno gli stessi obiettivi: se da una parte ci sono i parlamentari brasiliani impegnati per gli interessi del popolo indio, dall’altra compaiono missionari, associazioni e cittadini che ambiscono alla serenità e al benessere; le due sponde fronteggiano lo stesso fiume, ma non hanno lo stesso materiale per costruire un collegamento, le stesse parole per comunicare.
Stiamo seguendo questa prima delicata fase, ascoltando entrambe le motivazioni, traducendo gesti incompresi in un messaggio reciproco di solidarietà. La prima impressione è, infatti, quella che i fazendeiros non siano convinti a lasciare le terre, nonostante lo stato federale abbia assegnato loro altre proprietà.
I colleghi brasiliani ci hanno chiesto l’impegno a continuare a sostenerli dall’Italia; ma anche di non rinunciare a raggiungerli, evitando interferenze, e aiutando il processo di autodeterminazione del popolo.
Noi, invece, abbiamo chiesto di far sentire la loro presenza in quello stato del nord brasiliano. Ci hanno assicurato che non abbandoneranno il loro popolo: parola di brasiliani. Io, di certo, non lascerò questa esperienza come mero ricordo, ma per me sarà un obiettivo quotidiano: parola di italiana!

(di Emanuela Baio Dossi con Giordano Rigamonti)

Emanuela Baio Dossi




LETTERE – Io da che parte sto?

Caro direttore,
condivido in toto le riflessioni da lei espresse nell’editoriale «Ai lettori» pubblicato su Missioni Consolata del giugno 2005, dal titolo: «Io da che parte sto?».
Ritengo sia motivo di libertà e di profonda gioia, per un cristiano, schierarsi a fianco di Cristo Gesù Signore crocifisso, ieri e oggi, da quanti vogliamo mantenere l’ordine e la legge del sinedrio e dell’impero e da quanti lo tradiamo per umana paura o per sconsiderato attaccamento al nostro «io».
Mi rimane solo un desiderio: che lei mi aiuti ad entrare nel mistero dell’incontro decisivo-vitale con Cristo Salvatore; che lei spezzi con me il «pane» dell’esperienza che l’ha proiettata fuori di sé, per diventare missionario, annunciatore del vangelo.
Ancora, vorrei che lei mi contagiasse un poco con la sua «novità», la sua scoperta. Vorrei che lei mi facesse intravvedere almeno un bagliore della perla, per acquistare la quale ha venduto tutto. Vorrei ancora che mi prendesse per mano e mi accompagnasse verso la mensa della Vita e mi insegnasse, come a un bimbo, a nutrirmi del «Pane», della Parola e del Perdono, per crescere forte e convinto operatore di giustizia nel mondo.
Ho bisogno che lei mi porti alla fonte di questa «acqua viva»; quell’altra, quella che non disseta, scorre a fiumi su giornali, tivù e riviste.
Un augurio di buon apostolato.
Diego Gottardi
via e-mail

Caro Diego, ho l’impressione che mi chiedi un po’ troppo. Non sono un guru né un grande «maestro di spirito». Anch’io mi arrangio come posso.
Per ora ti auguro di continuare con gioia la tua ricerca. «Noi cerchiamo per trovare, ma troveremo solo la possibilità di cercare ancora» (Agostino).

Signor B. Bellesi,
sulla facciata della cattedrale di Cueavaca in Messico, tempo fa, fu appeso uno striscione che diceva: «Il mondo è diviso in oppressi e oppressori: tu da che parte stai?» (cfr. editoriale di Missioni Consolata, giugno 2005). Io credo che neanche in un pollaio si possa operare una distinzione così netta, figurarsi nel mondo. Certo, usare una cattedrale come un gazebo non mi sembra una grande idea; ma forse in Messico si usa così.
Lei, signor Bellesi, parla poi di legge del sinedrio e dell’impero e di orpello (?) religioso e qui vorrei fare una precisazione. Il fatto che dittatori cristiani (tra virgolette) per difendere la cosiddetta civiltà cristiana (sempre tra virgolette) abbiano ucciso ecc. ecc., non assolve sic et simpliciter i loro avversari. Allora, un po’ meno adesso, in quei paesi si stava e si sta svolgendo una guerra non fra buoni e cattivi, bensì tra pessimi. Condannare l’operato di Pinochet e Videla senza considerare che i loro avversari agivano con gli stessi sistemi e avevano lo stesso disprezzo per la vita umana è poco onesto.
Inseguire il paradiso terrestre prossimo venturo e confidare per la sua realizzazione in assassini è una chimera. Costoro non porteranno ai loro popoli la libertà, il benessere e la giustizia (sempre relativa perché umana), ma miseria, violenza, oppressione.
Perché ve la prendete tanto a cuore? A volte sembrate, più che uomini di Dio, dei tifosi di una squadra di calcio. Tutti questi vostri slogan forse sono suggestivi, ma sono estranei al vangelo. Gesù Cristo ha fatto la rivoluzione dell’amore, si è fatto uccidere e ha perdonato i suoi nemici pur potendo sterminarli. Come pensate di conciliare il suo insegnamento con l’operato dei Castro, Guevara, Chavez e compagnia?
Già al tempo del fascismo molti missionari erano praticamente filo-fascisti e questo fu una cosa pessima. La chiesa cattolica è eterna: lo ha detto Gesù Cristo; gli uomini politici passano gli imperi cadono. Eppure era quella gente eccellente, pronta a dare la vita per annunziare il vangelo. Fedeli ai superiori e al papa. Adesso i numeri sono quelli che sono e per il resto è meglio non fare paragoni che sono sempre antipatici…
Signor Bellesi, lei ci invita a porci la domanda: io da che parte sto? E lei da che parte sta? Non dica dalla parte degli ultimi, perché dietro i vostri ultimi ci sono altri ultimi dei quali nessuno si cura.
A. Luigi Di Nicola
Milano

Sarebbe troppo lungo rispondere a tutte le «cattiverie» espresse in questa lettera (abbiamo omesso quella in cui si attaccano le persone e la loro coscienza). Rispondo solo a quella finale, che mi riguarda personalmente.
Per ragioni di spazio, nell’editoriale da lei «incriminato» non ho aggiunto che quella domanda la ponevo, prima di tutto, a me stesso. Ebbene, devo confessare che non ho ancora trovato la risposta, neppure quella da lei suggerita; ma continuo a interrogarmi: «Io da che parte sto?». Solo Gesù Cristo, che, come lei stesso afferma giustamente, «ha fatto la rivoluzione dell’amore», può dire di essersi schierato dalla parte degli ultimi, contro l’ipocrisia del sinedrio e dell’impero. E per questo è stato ucciso… come tanti vescovi, preti, suore e fedeli cristiani, a cui accenno nell’editoriale.
Ma lei, signor Di Nicola, si è mai posta la domanda, onestamente, se sta dalla parte degli oppressi, oppure da quella degli oppressori?

Diego Gottardi e A. Luigi Nicola




LETTERE – Le scoperte di Odorico

Cari missionari,
ho sempre saputo che gli europei conobbero cacao, tabacco, patata, peperone, ecc. grazie ai viaggi e alle scoperte di Colombo nelle Americhe. Invece l’autore dell’interessantissimo dossier dedicato a Odorico da Pordenone (M.C. sett. 1999) scrive, citando ciò che lo stesso Odorico annotò dopo aver visitato l’isola di Giava, che in quella terra lontana c’erano «grandi quantità di frutta selvatica come pure tabacco, kapok e cacao».
Ora, siccome Odorico è di circa due secoli prima di Colombo, desidererei avere un chiarimento su come andarono effettivamente le cose.
Grazie per l’attenzione e auguri per tutte le vostre attività.
Ludovico Torregiani
Fano (PU)

Non sono esperto in materia. Ecco quanto ho trovato da una superficiale ricerca: il kapok è detto volgarmente «cotone di Giava»; del cacao, così scriveva (inizio ‘800) il georgofilo Filippo Gallizioli: «Né solo l’America possiede questo vegetabile, ma l’Asia ancora, poiché nasce nelle isole Filippine…»; il termine tabacco è più vecchio della scoperta dell’America, essendo di origine araba.
Si può supporre che tali piante abbiano il loro habitat naturale pure nelle regioni tropicali dell’Asia, anche se in Europa hanno avuto più fortuna le specie americane.

Ludovico Torregiani




LETTERE – La missioni allunga la giovinezza

Cari missionari,
la vostra rivista mi ha aumentato la giovinezza: ora ho 93 anni. Godo leggerla e appassionarmi spiritualmente. Sono pagine profondamente cristiane.
Vi mando gli indirizzi di alcune persone, perché la mandiate anche a loro, se ritenete opportuno: chissà che non susciti qualche vocazione missionaria? Io non posso fare più molto: per età e salute. La vostra rivista è stata una predica sacerdotale autentica, che aiuta al grande passo dell’eternità.
Siamo due sorelle ammalate. La prof.ssa Luigia ha 80 anni ed è in casa di riposo. Siamo rimaste sole in mano alla società, che poco fa per l’eternità. Per fortuna la Provvidenza veglia su di noi giorno e notte, così si tira avanti alla meno peggio, in attesa della volontà di Dio, che non ci lascia fino all’ultimo.
Non mi sento depressa. Oggi offro la mia giornata per le vocazioni missionarie. Chiedo una preghiera per me e per mia sorella, perché avvenga come la Madonna e Gesù vogliono. Ci accompagni la vostra benedizione.
Gioconda Rimoldi
Busto Arsizio (VA)

Cara signora Gioconda, continui a mantenersi giovane nello spirito, ad appassionarsi alla missione e a offrire le sue giornate per le vocazioni.
Da parte nostra continueremo a fare del nostro meglio, con la preghiera e con la rivista, per allungare la sua giovinezza.
Abbiamo provveduto a inviare la nostra rivista agli indirizzi indicati. Grazie di cuore.

Gioconda Rimoldi




LETTERE – A proposito di ambientalisti

Caro direttore,
un conto è dire che da parte di certi ambientalisti c’è una forte ostilità verso la religione e la morale cattolica, un conto è negare che i fiumi sono sempre più inquinati, i laghi sempre più poveri di acqua, i ghiacciai sempre più contratti, le foreste sempre più depredate e degradate, le popolazioni indigene sempre più minacciate dal rischio di estinzione totale.
Per questo, al libro di Gaspari e Cascioli, Le bugie degli ambientalisti, edito da Piemme, preferisco di granlunga le critiche che Missioni Consolata di marzo 2005, ha rivolto ai suoi autori.
Assolutamente non intendo dire che gli scritti di Gaspari, Cascioli e di parecchi altri giornalisti cattolici allineati sulle loro posizioni non siano utili: sono tanti, infatti, i sedicenti filosofi della natura, le cui teorie sono in contraddizione con l’insegnamento di Cristo e con il magistero della chiesa; per cui è giusto invitare il credente a guardarsi bene dalle loro banalizzazioni, dai loro trabocchetti, inganni e infamie.
Tuttavia conformarsi a Cristo e operare in sintonia con il magistero della chiesa significa anche respingere quelle nuove ideologie e correnti di pensiero in cui non pochi cattolici si riconoscono. Neoliberismo, neoconservatorismo, ottimismo giulivo, antiecologismo, anticatastrofismo, antiallarmismo, antianimalismo… sono visioni del mondo senz’altro più vicine all’illuminismo ateo che alla dottrina sociale della chiesa; più vicine al materialismo antropocentrista che all’idea della solidarietà tra uomo e natura; più vicine allo scientismo e al suo delirio di onnipotenza che alla vera antropologia cristiana, quella basata sul «coltivare e custodire» di Genesi 2,15, sull’«ora et labora» di san Benedetto, sul Cantico delle creature di san Francesco.
Secondo me, Cascioli, Gaspari & C. commettono un gravissimo errore quando appiccicano l’etichetta di «cassandre» a coloro che lamentano la distruzione delle foreste (specie quelle della fascia tropicale), la perdita della biodiversità, l’assurda caccia ad animali che si trovano a un passo dall’estinzione, perché alcune grandi reti criminali non ne vogliono sapere di mollare il business del corno di rinoceronte, carcasse e parti anatomiche di tigre, avorio di elefante e ippopotamo, carne di scimmia…
Complessivamente il commercio illegale di animali selvatici, vivi o morti, ha un volume paragonabile a quello del mercato di droga, armi, materiale poografico…
Sbagliano anche quando cercano di coprire di ridicolo coloro che si oppongono all’uso sconsiderato degli insetticidi e pesticidi (la lotta biologica, correttamente intesa, è molto più efficace contro i parassiti, oltre che meno nociva all’ambiente), coloro che contestano i progetti per la realizzazione di altre grandi dighe o di altre centrali nucleari, coloro che suggeriscono le strade del riciclaggio, delle energie alternative (solare, eolico, geotermico, biogas) e dell’uso più limitato e responsabile di certi mezzi di trasporto.
Ricordino, Gaspari e Cascioli, che, rifiutando di dare ascolto a Cassandra, i Troiani firmarono la propria condanna a morte; ricordino che le argomentazioni che il magistero della chiesa ha usato e continua a usare contro aborto, sterilizzazione e politiche demografiche coercitive non hanno nulla a che vedere con la sdrammatizzazione dei problemi ambientali.
Bistrattando senza ritegno i dati sulla deforestazione, pesca di frodo, bracconaggio, stragi provocate dai disastri ecologici, soprattutto nei paesi del Sud del mondo, mettendo in secondo piano gli sfaceli causati dalla guerra e dalle industrie belliche, presentando i leaders dell’eco-pacifismo come degli imbroglioni e i loro seguaci come degli ingenui, enfatizzando i difetti di Ong come il Wwf e Greenpeace tacendone i pregi, Gaspari e Cascioli diventano alleati di quella antilife mentality che dicono di considerare come la piaga più peiciosa del mondo moderno e sostenitori di quelle nuove forme di colonialismo dalle quali tante volte hanno invitato i loro lettori a non lasciarsi fagocitare.
Cordialissimi saluti.
Francesco Rondina
Fano (PU)

Francesco Rondina




LETTERE – Ricordando un amico

Caro direttore,
i tanti amici che in questi anni si sono recati a Paulo Afonso per visitare i nostri missionari che lavorano in quell’arida regione brasiliana, hanno avuto modo di incontrare molti dei loro collaboratori, tra i quali un simpatico e accattivante laico italiano: Giampiero Canossi. Era approdato nel giro di mons. Mario Zanetta da una quindicina d’anni.
Esperto conoscitore di mille segreti tipografici e redazionali, tanto che il vescovo gli affidò subito la precaria e modesta tipografia della diocesi, tenuta in piedi con mille materiali di recupero. Giampiero la trasformò in una operosa attività tipografica, capace di dar lavoro a decine di persone.
La vecchia tipografia fu rinnovata con macchinari più aggioati e per certi versi all’avanguardia per la zona dove operava. Successivamente la vetusta costruzione iniziale venne trasformata in una modea casa editrice che prese il nome di «Fonte Viva», una iniziativa che riempiva d’orgoglio sia l’ideatore, il vescovo missionario mons. Zanetta, sia Giampiero, che si faceva carico di tutte le incombenze gestionali, pratiche e amministrative.
Grazie al loro impulso, «Fonte Viva» divenne un punto di riferimento per molte altre diocesi della regione, prive di supporti mass-mediali come quelli creati dalla passione e competenza di mons. Mario e di Giampiero.
Dopo la morte di mons. Zanetta, il nuovo vescovo di Paulo Afonso, mons. Esmeraldo affidò a Giampiero la responsabilità di tutto quanto era stato creato; con acume e intelligenza, Canossi riuscì a creare anche un istituto tecnologico per formare i futuri tecnici delle comunicazioni. Un piccolo giorniello di produzione diversificata, che spazia dalla preparazione di video, dvd, programmi radio, audizioni, pubblicazioni e riviste che hanno qualificato l’attività editoriale della diocesi di Paulo Afonso, tanto da arrivare a pubblicare molti testi della Conferenza nazionale dei vescovi brasiliani.
Purtroppo questo amico è stato stroncato da un infarto fulminante pochi mesi fa all’età di 52 anni, lasciando moglie e due figli e un profondo rammarico tra coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerlo.
Per molti novaresi che hanno apprezzato la sua giovialità, il suo carattere e la sua competenza professionale, resterà un caro amico da conservare nel cuore dei ricordi e da affidare alla misericordia del Padre.

Mario Bandera
Novara

Mi unisco al ricordo e alla preghiera per Giampiero Canossi, che ho sempre stimato, fin da quando lo ebbi come alunno della scuola media.

Mario Bandera




LETTERE – Il Supermercato delle religioni

Egregio direttore,
finalmente la rivista da lei diretta abbraccia temi che i cattolici veri sentono in maniera profonda. Mi riferisco alla rubrica «Al supermercato delle religioni». Ottimo titolo per questa rubrica, alcuni culti non possono essere definiti in maniera diversa… e mi perdonino i buonisti di sinistra.
L’attuale relativismo religioso, traducibile in «è tutto uguale, va tutto bene», è un grave pericolo per la comunità cattolica in quanto sminuisce la potenza unica del vangelo. In questo contesto è ovvio che vi sia una proliferazione delle sette religiose.
Con queste parole non voglio criminalizzare nessun nuovo culto, come ama dire Massimo Introvigne da voi più volte citato, ma non posso che rallegrarmi se una rivista missionaria esalta finalmente il proprio credo e «contrasta» quello degli altri, mettendone in luce gli aspetti più oscuri.
Talvolta mi sembra che i cattolici, presi dallo spasmo di andare d’accordo con tutte le religioni del mondo, dimentichino o sminuiscano molto del proprio credo. Mentre noi andiamo incontro a tutti, nessuno fa lo stesso con noi. Anzi, veniamo perseguitati senza pietà in paesi come la Cina, l’Arabia Saudita, la Birmania, ecc.
Con queste righe non voglio dire che esiste un mercato delle religioni nel quale noi cattolici dobbiamo difendere il nostro territorio. Assolutamente no.
Penso che la fuga verso le sette sia un grave indicatore di malessere sociale cui la chiesa deve saper rispondere in maniera chiara. Anche in maniera coraggiosa e, magari, poco gentile.
Cordiali saluti.
Roberto
via e-mail

La risposta più efficace al proliferare di nuovi culti è la testimonianza del vangelo con la propria vita. Da parte nostra continueremo a mettere in guardia dai pericoli del relativismo religioso, in «maniera coraggiosa», ma «gentile» perché «la verità senza la carità è crudeltà» (Lutero).

Roberto




Generò, generò, generò…

A bramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe… Aram generò Aminadàd, Aminadàd generò Naassòn e Naassòn generò Salmòn. Salmòn generò… «Ah, don Marcello! E che è tutto ’sto casino de nomi?» sbottò Valentino interrompendo la lettura del vangelo (cfr. Mt 1,2ss).
Marcello, già missionario in Congo e ora parroco nella periferia di Roma, sorrise alla provocazione di Valentino, animatore della comunità. «Sì, è un casino, ma un bel casino!» pensò il sacerdote, dall’alto dei suoi 74 anni.
D’improvviso si rivide giovane prete alle prese con la messa in latino, curvo su un messale istoriato, mentre sillabava faticosamente quei nomi astrusi anche per lui. Poi, con l’eucaristia in italiano, la filastrocca del «generò, generò, generò» rimase solo sulla carta, perché i preti la dribblavano seduta stante. Ma, in preparazione al Natale, don Marcello la rispolverò, perché era straordinaria.

G enerò, generò, generò… È la sequela degli antenati di Gesù di Nazaret, tra i quali spiccano anche quattro donne: Tamar, Raab, Betsabea e Rut, protagoniste di storie incredibili. Tamar adesca l’ignaro suocero Giuda, che la rende incinta; Raab è una prostituta di Gerico; Betsabea diventa moglie del re Davide e madre del saggio Salomone in una scandalosa vicenda di adulterio e omicidio. E Rut? Appartiene al popolo pagano di Moab. Per anni moabiti e israeliti si guardano in cagnesco. Tuttavia Rut, per affetto verso la suocera Noemi, emigra proprio nella infida Betlemme…
Valentino ascoltò queste spiegazioni del «don», stralunando gli occhi increduli. Alla fine esclamò:
– E mo’, er Cristo è pure un…».
– È pure figlio di Dio! – tagliò corto il sacerdote.
– Come no! Però, voio dì: Gesù è pure un gaiardo… meticcio!
Allora: perché tanta strizza per gli stranieri?

M eticciato culturale-religioso. Al riguardo, don Marcello citò Joseph Ratzinger, alias papa Benedetto xvi.
Secondo l’ex professore tedesco, nei cinque secoli che separarono l’esilio degli israeliti a Babilonia dalla comparsa di Gesù, nell’ebraismo si sviluppò il fenomeno della «Sapienza». Così, accanto a «Legge» e «Profeti», sorse un terzo pilastro: la Sapienza appunto. Essa subì l’influsso religioso dell’Egitto e poi manifestò il rapporto con la filosofia greca, in particolare quella platonica e stornica. A partire dal 3° secolo a. C., si tradusse persino in greco la bibbia dell’Antico Testamento, nota come «Settanta» (cfr. J. Ratzinger, Verità, fede, tolleranza, Cantagalli, Siena 2005, pp. 157-160)…
Valentino capì poco del dotto riferimento del parroco. Ma un punto era lampante: anche la bibbia è meticcia! E ritornava il quesito: perché in Italia stracciarsi le vesti di fronte al reciproco influsso religioso-culturale, causato dall’impatto islam-cristianesimo? Perché temere di diventare «diversi» vivendo con «diversi»?
Valentino, fresco laureato in scienze politiche, tentò una risposta con un riferimento alla nostra storia.
Francesco Crispi, mangiapreti, aveva sempre osteggiato la chiesa cattolica, con un codazzo di liberali e massoni. Però, verso la fine del 1800, i nemici da temere apparivano soprattutto i socialisti, meno i cattolici. A Napoli, il 10 settembre 1894, il baffuto Crispi tuonò: «Dalle più nere profondità della terra è sbucata una setta infame, la quale scrisse sulla sua bandiera: né Dio né capo… Stringiamoci insieme per combattere codesto mostro e scriviamo sul nostro vessillo: con Dio, col re e per la patria!».
Quando ci sentiamo minacciati – ragionò Valentino -, i nemici di ieri diventano gli amici di oggi. Al presente, anche per gli agnostici, la minaccia è rappresentata dai musulmani. E certi laici ritengono che i cattolici non facciano il loro dovere di occidentali se non li combattono.
– Don Marcé, tu che dici?
– A me «combattere» non piace in alcun modo. Io sono orfano di guerra. In Congo, poi, di «battaglie» ne ho viste troppe, con milioni e milioni di amazzati.

T amar generò, Raab generò, Betsabea generò… Anche Maria generò. Diede alla luce Gesù, chiamato Cristo (cfr. Mt 1,16).
Per la consolazione di tutti.
Francesco Beardi

Francesco Beardi




TAV – inchiesta Riflessioni attorno al Creato

TAV – Dalla Cina all’India, dal Brasile alla Val di Susa

DIFENDERE IL TERRITORIO, DIFENDERE IL CREATO

Il Creato è sotto assedio della speculazione cieca e criminale
delle multinazionali e delle mafie locali. Ma la gente sta imparando a ribellarsi ai soprusi, come dimostra il popolo valsusino.

di Paola Rando (*)

 

Valsusini: popolo schivo, mite, pacifico. Per l’onorevole Martinat addirittura «razza in via di estinzione». Martinat, e gli altri, si devono però rassegnare a una evidenza: i valsusini sono «in via di espansione».

Non solo perché fanno ancora bambini (che cresceranno a «pane-e-notav», come già è successo per le attuali generazioni di 25/30enni) ma soprattutto perché in questa santa guerra al TAV stanno espandendo molte cose. La coscienza di sé, la rete dell’amicizia e della fratellanza, la consapevolezza di far parte di un popolo molto più grande: il popolo della Terra che, ovunque, resiste e si oppone ai mille tentativi di devastazione messi in atto dall’universale partito degli affari (altri Terrestri che, però, sembrano Alieni).

Magari i valsusini non lo sanno, ma in questa difesa della prole, della specie e del territorio sono in buona compagnia. Popoli abituati a subire, a chinare la testa di fronte a un nemico dotato dei super-poteri del denaro e dell’arroganza oggi si ribellano.

Nei villaggi cinesi, dove il terreno non è più coltivabile e l’acqua del fiume non più bevibile a causa dell’avvelenamento provocato dalla capitalizzazione e speculazione selvagge, i contadini resistono. Osano ribellarsi. Lo pagano con la prigione e, a volte, con la morte, Ma vanno avanti.

In India, una anziana donna coraggiosa, Krishnammal e il suo altrettanto coraggioso e infaticabile marito, Jagannatanh, sono in lotta contro le multinazionali dell’allevamento intensivo dei gamberetti, uno dei tanti effetti perversi della globalizzazione.

L’acqua delle vasche di «coltura», zeppa di antibiotici, viene regolarmente versata in mare. Lungo le coste, i pesci muoiono a causa di questo inquinamento chimico. I pescatori dovrebbero spingersi più al largo ma non possono permettersi barche adatte. In più, l’acqua avvelenata delle vasche penetra nelle falde acquifere e molte persone dei villaggi hanno seri problemi agli occhi e alla pelle.

Questa coppia di guerrieri non-violenti resiste. Ha girato l’India a piedi, quando si batteva per la terra ai contadini, un’altra delle loro epiche battaglie. Dice Krishnammal: «Abbiamo coperto molti distretti solo camminando e camminando. Questa è la tecnica, non puoi andare in macchina a chiedere la terra in dono. Ci vuole un po’ di sacrificio e un approccio di tipo spirituale. Questo era un movimento di natura divina e per poter sciogliere il cuore della gente dovevamo camminare come si cammina per andare in pellegrinaggio in un luogo sacro. Era un approccio spirituale al problema che partiva dal principio che la terra è un dono di Dio. Come il sole, l’acqua, l’aria». Recentemente lei e il marito sono stati nel magentino, altra zona in via di devastazione a causa della tratta ad Alta velocità Novara-Milano.

I valsusini non l’hanno saputo. Perché la rete vera, quella che terrà uniti tutti i «giusti« della terra, è ancora in costruzione. Ce ne sono solo alcuni tratti: la rete di Lilliput, di padre Zanotelli, i Comuni per la pace, i Social forum… Eppure, presto, sarà diverso. Dovrà essere diverso. La rete di internet, unica democrazia rimasta, ne sarà il supporto essenziale.

Novecento anni fa, una donna girava, a piedi o a dorso di mulo, per la Germania invitando a seguire le vie del Signore. L’ha fatto fino alla sua morte, a quasi 80 anni. Si chiamava Ildegarda di Bingen. Cento anni dopo, un piccolo uomo di Assisi, con un grande cuore e un grande carisma, girava a piedi il vecchio continente e arrivava fino nei Luoghi Santi. Senza mezzi di comunicazione se non il passa parola dei mercanti e dei pellegrini lungo le affollate vie del sale, della lana, e delle reliquie, dopo un anno aveva mille «frati e suore», dopo due anni…

È stato come un contagio. Un virus benefico che assaliva le anime non contaminate dalla sete di beni terreni. Francesco si trovò con un bel problema: «Il Signore mi diede dei frati, ma io non sapevo cosa fae». Oggi i francescani sono migliaia, in tutto il mondo, anche se la loro regola non è più quella austera e pura del fondatore.

Ma oggi, c’è un francescano, Luìs Flavio Cappio, vescovo di Barra, nel Brasile progressista di Lula. L’amatissimo Frei Luìs ha fatto un durissimo sciopero della fame contro un’opera colossale, lo spostamento di un intero fiume, il San Francisco. Un progetto da 1,7 miliardi di dollari, appaltato dal ministero dell’ambiente: una Grande opera che renderà più ricchi i ricchi latifondisti e porterà alla fame i già poveri contadini.

Frei Luìs è fratello dei valsusini. Lui difende i contadini, come Krishnammal difende i pescatori. E tutti difendono, in questo modo, il nostro bene più grande: il Creato.

 

Il Creato è sotto assedio della speculazione cieca e criminale delle multinazionali, delle mafie locali. Dal business dello smaltimento illegale di rifiuti tossici, da quello della deforestazione per l’allevamento intensivo di mucche e hamburger, dalla costruzione di opere faraoniche tanto devastanti quanto inutili.

E anche dal business dello smantellamento delle stesse. È recente la notizia che la pista olimpica di bob nella Alta Valle di Susa, sarà smantellata a fine Olimpiadi. I costi per la sua manutenzione sarebbero esorbitanti. Quello che non si dice, è che anche distruggerla sarà un business per la ditta che ne appalterà i lavori. Per realizzarla è stato sterminato (in pochi giorni) un immenso lariceto che Madre Natura aveva «costruito» in alcune centinaia d’anni. Sono state ricoperte dal catrame di un parcheggio alcune tombe celtiche.

La pista di bob verrà smantellata. Ma chi ci ridarà quei larici? Verranno riaperte le tombe chiuse nel nuovo sepolcro di asfalto?

Quegli antichi popoli avevano qualcosa di meraviglioso che noi abbiamo perduto: il contatto intimo, profondo, religioso, con la natura. La nostra Madre Terra che le «talpe» dell’ingegner Lunardi (ministro delle infrastrutture in Italia e trapanatore di montagne in Francia in modo da dribblare l’ostacolo del conflitto d’interessi) si apprestano a stuprare.

Come non ribellarsi? Il Creato che avremmo dovuto custodire. Il Creato fatto dalla voce/luce di Dio. Il Creato di cui siamo parte e che è parte di noi… massacrato.

La sua fine è la nostra. Forse i suoi distruttori sono davvero alieni. E i paladini che lo difendono, i soli veri terrestri. Le devastazioni di un pezzo di Creato operate dalla Torino-Lione non sono immaginabile: 15/20 anni di cantieri in funzione giorno e notte; cantieri a stretto contatto con i centri abitati; cantieri nelle montagne, nelle vigne, nei pascoli, nei boschi. Che non saranno più montagne, pascoli, boschi. Ma solo cantieri. In un inferno di rumore e polvere continui.

E il contatto con la natura, quello che i valsusini hanno ereditato dai loro antenati galli, liguri e celti, impedito. I valsusini vengono privati non solo del silenzio, del sonno, dell’aria da respirare (inquinata dalle fibre di amianto), dell’acqua (falde prosciugate dai tunnel) della terra da coltivare, ma anche della possibilità di vivere e contemplare la natura. Forse per qualcuno questo è un danno secondario, magari neanche ci hanno pensato. Eppure le Grandi opere devastanti privano l’uomo di un suo diritto fondamentale: il rapporto con il Creato.

 

C’è anche chi preferisce guardare le cime degli alberi mosse dal vento, piuttosto che la televisione. Preferisce seguire il volo di un gheppio piuttosto che una telenovela. Queste persone saranno rese orfane del piacere di contemplare. Gli si taglia quel filo sottile e invisibile che li tiene legati al Padre. Che li fa sentire figli amati. Circondati dalla bellezza che è riflesso del Principio. Questo è un danno che non ha compensazione.

Un danno gravissimo e irreversibile. Nelle città, l’inquinamento luminoso ci ha privati delle stelle. Nelle campagne, gli immensi cantieri ci toglieranno le stelle, il volo degli uccelli, il rumore dei ruscelli, le voci degli animali.

Staremo chiusi in casa (chi potrà fuggirà) a guardare la televisione. A guardare il Creato nei documentari. Non è un futuro da fantascienza. Succede domani. In val di Susa succede con la prima trivella.

E succede nell’assordante silenzio dei media. Perché un movimento popolare come quello dei valsusini, non-catalogabile, non-etichettabile politicamente, fa paura. I Resistenti della valle di Susa conoscono da anni la frustrazione di non riuscire a far arrivare la loro voce fuori dal territorio.

La Torino-Lione è fortemente voluta dalla destra e dalla sinistra. È una torta da 20 miliardi di euro. E le menzogne riportate dai mezzi d’informazione (disinformazione) sono continue. La «guerra» contro la Torino-Lione è una guerra anche contro la menzogna. Eppure la forza della verità è grande. Più grande degli affari.

 

In ogni specie animale, e persino vegetale, quando c’è in gioco la sopravvivenza, scattano meccanismi di auto-difesa. Ai valsusini è successo tutto questo, con in più un’altra bella sorpresa, la voglia di divertirsi un po’ alla faccia di chi gli vuole male.

E sono nate le «Truppe speciali Anti-TAV». In dotazione… scola-pasta di ogni tipo, senso dell’umorismo e ironia. Prima apparizione a Bruzolo, il giorno del previsto arrivo delle trivelle. E poi grande festa nottua, con falò, al presidio di Borgone. È bello far parte di questo popolo tranquillo. E guerriero.

 

(*) Paola Rando è nata in Val di Susa. Dopo 40 anni passati in diverse città, è tornata nel suo paese natale, Villar Focchiardo, dove vive con tre gatti.

Paola Rando




TAV – inchiesta Parola di medico

TAV – approfondimento medico

L’AMIANTO CONTINUERÀ AD UCCIDERE

Si chiamano "mesotelioma pleurico", "asbestosi", "cancro polmonare".
Sono i fatali regali che l’amianto fa a chi si trova esposto,
anche indirettamente, alle sue fibre.
Un problema che in troppi fingono di non vedere.


di Roberto Topino (*)

L’amianto ha mietuto e mieterà decine di migliaia di vite umane (in massima parte lavoratori). Le stime dell’Ispesl parlano di altri 15 mila morti, solo per il mesotelioma pleurico, per i prossimi 15 anni ed il picco è atteso intorno al 2017. Dati più recenti parlano di 20 mila morti nel 2020; se si aggiungono i casi di cancro polmonare e l’altrettanto mortale asbestosi, si arriva a numeri da ecatombe.
Com’è noto, l’amianto (o asbesto) è un materiale causa o concausa di asbestosi, di cancro ai polmoni e di mesoteliomi (pleurico e peritoneale), per le caratteristiche immunodepressive legate alla struttura fisica delle sue fibre. Queste sono come una sorta di sottilissimi spilli che, una volta respirati, si fissano negli alveoli polmonari.
Non esiste una "soglia" di sicurezza al di sotto della quale il rischio di cancro sia nullo: ogni esposizione all’amianto produce un rischio di cancro. "L’esposizione a qualunque tipo di fibra e a qualunque grado di concentrazione in aria va pertanto evitata" (Organizzazione mondiale della sanità, 1986).
Nel nostro paese, che è stato un grande produttore di amianto, l’uso di questo materiale è stato bandito dalla Legge 257/’92. Un uso rilevante e di grande impatto sanitario dell’amianto, è stato nella produzione di cemento-amianto (Eteit) per la coibentazione di edifici e per le tettornie. L’amianto è stato anche usato per la coibentazione delle carrozze ferroviarie, delle navi, delle caldaie e per gli impianti di distribuzione del vapore.

I mesoteliomi rappresentano il 15% dei tumori che colpiscono persone affette da asbestosi: l’individuazione di un mesotelioma deve pertanto sempre far sospettare un’esposizione ad asbesto.
Il mesotelioma pleurico è una neoplasia maligna, estremamente invasiva, generalmente fatale in breve tempo (12-24 mesi dalla diagnosi) e specificamente legata all’esposizione ad asbesto. La sua insorgenza non è dose-correlata, potendosi manifestare anche a seguito di esposizioni molto basse, dopo un lungo periodo di latenza (da 10 a 40 anni).
Il periodo di latenza è il tempo che intercorre tra l’esposizione ad amianto e la comparsa della malattia.
Il mesotelioma può colpire le membrane sierose di rivestimento dei polmoni (pleura) e degli organi addominali (peritoneo). Nonostante l’impiego dell’amianto sia cessato, a seguito della legge 257/1992, i dati recenti documentano un progressivo incremento delle neoplasie da asbesto, con un’incidenza maggiore dei mesoteliomi rispetto alle altre forme tumorali.
Sono stati descritti casi di mesotelioma in persone residenti intorno a miniere di asbesto o nelle città sede di insediamenti industriali con lavorazioni dell’amianto, in familiari venuti in contatto con le polveri accumulatesi sulle tute di lavoratori direttamente esposti. Nel 1991, l’Accademia delle Scienze di New York ha pubblicato uno studio sulle malattie da amianto, in cui vengono evidenziati i mesoteliomi degli insegnanti di alcune scuole americane, inquinate da amianto. Sempre nel 1991, è stato segnalato, su una rivista oncologica italiana, un caso di mesotelioma pleurico in un barbiere, per esposizione indiretta ad amianto, proveniente dai capelli degli operai impiegati in una vicina azienda di cemento-amianto in Emilia.
L’esistenza di mesoteliomi anche in persone non esposte professionalmente conferma che possono essere pericolose anche esposizioni a basse concentrazioni di asbesto.
I sintomi del mesotelioma sono legati ad una compressione dei visceri che sono a contatto con la massa tumorale; in genere il primo segno nelle forme toraciche è costituito da un versamento pleurico, spesso emorragico, con rapide recidive, con affanno, tosse stizzosa e comparsa insistente di alcune linee di febbre.
Il decorso dei mesoteliomi è quasi sempre molto rapido, accompagnato da un progressivo deterioramento delle condizioni generali. La sopravvivenza è in genere inferiore a due anni dalla scoperta del tumore e, specialmente in soggetti giovani, può limitarsi a soli sei mesi. Non sono ancora state individuate terapie efficaci.

La presenza di amianto in un ambiente è un problema serio che non deve essere sottovalutato. Sicuramente non è un problema che si risolve evitando di parlarne.
Recentemente anche io ho riscontrato un caso di mesotelioma peritoneale in una signora che ha lavorato per 5 anni alla Sia (Società italiana amianto), il fatto sconvolgente è che la figlia, di quaranta anni, ha un mesotelioma pleurico dovuto all’amianto "portato a casa" dalla madre negli indumenti da lavoro.
I mesoteliomi pleurico e peritoneale sono tumori altamente maligni legati sicuramente all’esposizione ad amianto, se questa sostanza killer non ci fosse i mesoteliomi sarebbero patologie praticamente sconosciute.
Purtroppo con l’amianto la storia è quasi sempre la stessa, c’è chi conta i morti e chi dice che non è un problema. In genere i primi sono medici e i secondi sono politici, che dovrebbero tener presente che l’amianto lo respirano pure loro.
L’amianto è ancora presente in gran quantità negli ambienti di vita e di lavoro, preoccupante è la sua presenza negli ospedali e nelle scuole.
I tecnici del comune di Torino dicono che non bisogna preoccuparsi perché valori di almeno una fibra di amianto ogni due litri d’aria sono presenti dappertutto (sic!). Un soggetto normale respira 18 mila litri d’aria in un giorno. Fate voi i conti! o

P.S.: I cinesi utilizzano ancora l’amianto e lo fanno lavorare ai detenuti. Gli statunitensi non lo utilizzano più perché i risarcimenti per le vittime dell’amianto hanno messo in ginocchio diverse grandi aziende, che hanno dovuto sborsare cifre paragonabili a quelle per la realizzazione dell’alta velocità ferroviaria.

(*) Roberto Topino, medico, specialista in medicina del lavoro, lavora presso il Centro diagnostico polispecialistico regionale Inail di Torino.

Roberto Topino