DOSSIER TRAPIANTI La legislazione italiana (2)

Il silenzio-assenso

UNA QUESTIONE DI VOLONTÀ

In Italia, la legislazione in tema di trapianti parte dall’articolo 32 della Costituzione. Su una materia tanto delicata la normativa deve essere chiara. Anche per evitare che incomprensioni ed incertezze frenino la cultura della donazione e la crescita della medicina dei trapianti.

Nei paesi in cui la pratica dei trapianti ha raggiunto un notevole grado di sviluppo, si è percepita la necessità di una appropriata regolamentazione giuridica, che cerchi di dipanare le molteplici questioni nodali che tale attività comporta e crea.
Per quanto riguarda l’Italia, la legislazione in materia ha conosciuto, ovviamente, una notevole evoluzione lungo un arco di tempo di circa mezzo secolo.
L’articolo 32 della Costituzione afferma che «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività», ma allo scopo di rispettare la volontà del singolo, ha stabilito che «Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge». Partendo anche da questi presupposti nasce la legislazione italiana in materia di trapianti.

La prima legge ad hoc (n.235 del 3 aprile 1957), Trapianti con l’uso di parti di cadavere, consentiva solamente riscontri diagnostici ed autopsie. Il prelievo da cadavere delle coee e del bulbo oculare era consentito quando il soggetto aveva dato in vita l’autorizzazione, e poteva comunque effettuarsi solo dopo aver accertato la morte, trascorse 24 ore dal decesso.
Il Dpr n.300 del 20 gennaio 1961 (ed i successivi Dpr n.1156/1965 e n.78/1970) arricchì l’elenco delle parti prelevabili da cadavere, rendendo anche possibile il prelievo di ossa, muscoli, tendini e vasi sanguigni.
Una legge particolarmente innovativa fu quella del giugno 1967 nella quale si estese la possibilità di prelievo da vivente a scopo terapeutico, limitando però tale possibilità al solo rene e sancendo rigidamente la gratuità dell’atto.
La materia, a fronte anche dell’evolvere di una crescente sensibilità sociale, sempre più attenta alle esigenze della collettività, è stata riordinata con la legge n.644 del 1975. Tale legge ha aperto la strada al trapianto di quasi tutte le parti del corpo, escludendo encefalo e gonadi, e rendendo ammissibile il prelievo «qualora l’estinto non abbia disposto contrariamente in vita, in maniera non equivoca e per iscritto». Nonostante questa modifica, analogamente a quanto avveniva in molti paesi europei, permaneva purtroppo un duplice criterio di accertamento della morte: il «criterio cardiaco» e quello «cerebrale», facendo sorgere spesso incomprensioni con i parenti del defunto e rendendo le opposizioni al prelievo molto frequenti.
Per ovviare a questi dilemmi, venne istituita una Commissione di tre medici, cioè un medico legale, un anestesista-rianimatore ed un neurologo, con il compito di accertare l’exitus secondo questi nuovi parametri.
La successiva legge n.198 del 1990 semplifica le indicazioni sul luogo del prelievo per agevolare il reperimento degli organi da destinare al trapianto terapeutico. Tali operazioni possono ora verificarsi presso le strutture pubbliche ospedaliere anche senza preventiva autorizzazione, ferme restando le licenze del ministero della sanità. I medici autorizzati ad effettuare il prelievo delle parti di cadavere ed il successivo trapianto devono essere diversi da quelli della commissione che accerta la morte.
Le difficoltà e le questioni correlate alla duplice definizione di accertamento della morte sono state invece superate con la legge n.578 del dicembre 1993. Viene ammessa un’unica definizione di morte, quella cerebrale, che si identifica con la «cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo».

La legge del 1° aprile 1999, n.91 appare la conclusione logica di questo lungo iter legislativo. Stato, regioni e territorio collaborano in sinergia per rimuovere gli ostacoli che, in vari modi, frenano la cultura della donazione e la crescita della medicina dei trapianti.
La costituzione di strutture tra loro cornordinate come il Centro nazionale trapianti (Cnt), la Consulta tecnica, i Centri regionali e locali sono necessari per evitare, come finora troppo spesso è accaduto, che sterili complicazioni e interminabili iter burocratici determinino la perdita di organi idonei all’espianto.
Gli obiettivi dell’atto normativo sono contenuti nell’articolo 1: «La presente legge disciplina il prelievo di organi e tessuti da soggetti di cui sia stata accertata la morte ai sensi della legge 29 dicembre 1993, n.578, e regolamenta le attività di prelievo e trapianto di tessuti e di espianto e trapianto di organi». Una disciplina, quindi, che si occupa del prelievo di organi da cadavere a scopo solo terapeutico (art. 6) ed esclude la materia della donazione da vivente. Altri elementi qualificanti della legge sono: la regolamentazione di ogni aspetto giuridico correlato al prelievo e al trapianto e la necessità di accrescere l’informazione a tutti i livelli, non solo tra gli addetti ai lavori.

Il punto, comunque più dibattuto e oggetto di un lungo e tortuoso cammino parlamentare, è stato l’articolo 4 che regolamenta la dichiarazione di volontà in ordine alla donazione: «I cittadini sono tenuti a dichiarare la propria libera volontà in ordine alla donazione di organi e di tessuti del proprio corpo successivamente alla morte, e sono informati che la mancata dichiarazione di volontà è considerata quale assenso alla donazione».
È la formula del cosiddetto «silenzio-assenso» scelta dal legislatore come forma di manifestazione della volontà dei cittadini di donare o meno gli organi, e si pone quale elemento qualificante della legge stessa. Il prelievo, cioè, non è possibile nel caso vi sia un esplicito dissenso del defunto in vita o il rifiuto dei parenti fino al secondo grado; altrimenti vige la formula del consenso presunto.
Scrive Ignazio Marino: «Attualmente il principio del silenzio-assenso non è ancora in vigore e fino all’emanazione dei decreti attuativi previsti, valgono delle norme transitorie per cui si possono verificare i seguenti casi: il soggetto ha espresso in vita la volontà positiva di donare gli organi, in questo caso i familiari non possono opporsi alla donazione; il soggetto ha espresso volontà negativa alla donazione, in questo caso non c’è prelievo d’organi; il soggetto non si è espresso, in questo caso il prelievo è consentito solo se i familiari non si oppongono» (1).
Una materia così complessa non ha potuto trovare, purtroppo, una risoluzione esauriente e definitiva in questa, seppur ricca, normativa. Alcuni dei problemi sollevati necessitano di ulteriori approfondimenti, altre questioni devono ancora essere affrontate, quali, ad esempio, il trapianto di rene da donatore vivente (già oggetto della legge n.458 del 1967) e della legge n.2483 del 16 dicembre 1999, che ammette il prelievo, sempre da donatore vivente, di parte di fegato a scopo di trapianto.
Una tematica così delicata ed in continuo divenire necessita di un’appropriata e attenta legislazione che si proponga di risolvere i quesiti sempre nuovi e incalzanti di ordine medico, politico-sociale, economico ed etico.

Enrico Larghero

(1) S. Privitera e coll., La donazione di organi. Storia etica legge, Città Nuova, Roma 2004, p. 40

Enrico Larghero

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