Radici culturali dell’Europa: per una democrazia dei popoli

CRISTIANI ADULTI PER LA NUOVA EUROPA

La rottura del sottile equilibrio tra Est e Ovest europeo ha provocato un terremoto politico planetario e posto la premessa per un nuovo ordine mondiale. Il prossimo equilibrio sarà pluripolare. Oltre agli Usa, già si delineano nuove potenze emergenti (Cina, India, Brasile), con cui dovrà confrontarsi il «Vecchio continente».
Di qui l’importanza, per i cittadini europei e cristiani, che la nuova Europa nasca bene sin dalla sua costituzione.

Parlando di Europa, istintivamente pensiamo alla «moneta unica» e problemi economici: contenimento della spesa pubblica e inflazione, stabilità di mercati finanziari, parametri di Maastricht, quasi che la costruzione europea si riduca ai conti economici.
Certamente l’euro è una meta importante. Bisognava raggiungerla, anche in vista dei nuovi equilibri che si stanno delineando a livello planetario. Tuttavia, neppure tali equilibri saranno di natura meramente economica. Per cui, mentre costruiamo l’Unione, occorre non perdere mai di vista il ruolo morale, oltre che economico, che l’Europa è destinata ad avere nel mondo.
L’allargamento a 25 stati membri ha aperto una fase nuova, non solo all’interno del cammino comunitario, ma anche nella sua proiezione estea: i valori culturali e spirituali basilari comuni trascendono i confini del vecchio continente e ci impegnano tutti a renderli universali.

Le tre europe

La storia dimostra che l’Europa non è nata come un mercato, ma con radici cristiane, i cui valori umani e umanistici non sono mai venuti meno. Nella sua storia possiamo distinguere tre fasi.
La prima Europa è quella medioevale, nata sulle rovine dell’impero romano e formatasi sotto il regno di Carlo Magno (771-814), caratterizzata dall’unione tra trono e altare. Fin dall’inizio essa fu soprattutto una unità culturale, fondata sui valori spirituali cristiani. Tanto che chi non condivideva la cultura della «cristianità» (ebrei, arabi, musulmani, «barbari» del nord), era visto come straniero spiritualmente e politicamente, pur abitando il medesimo spazio geografico.
La fusione tra valori cristiani e vita storico-politica era capace di produrre effetti straordinari: cattedrali, università, ospedali, ospizi per i poveri… Tale unità tra spiritualità cristiana e cultura ha lasciato impronte indelebili nel pensiero, costume giuridico e civile, letteratura e arte, formando una coscienza più forte e resistente di ogni altro vincolo geografico, mercantile o politico.
Come ogni storia, anche quella europea è piena di luci e di ombre: l’identificazione di croce e spada produceva ferite tuttora non sanate: crociate, guerre di religione, colonialismi, roghi, torture e massacri perpetrati spesso in nome della fede. Eccessi negativi di cui il papa ha chiesto perdono, ma che sono stati motivo della scristianizzazione nei secoli seguenti.
Infatti, la seconda Europa, quella modea, è caratterizzata dalla rottura dell’unità politica, culturale e religiosa del continente, ed è segnata da profonde trasformazioni, seguite all’esplosione dell’umanesimo e alle grandi scoperte geografiche del 15° secolo. Con l’avvento della riforma, si formarono nel vecchio continente due blocchi: da un lato, l’Europa centro-settentrionale protestante, staccatasi da Roma; dall’altro i cattolici rimasti fedeli al papa.
Ora, mentre la fine dell’unità fra trono e altare segna la fine della «cristianità» e lascia il posto agli stati nazionali assoluti, una nuova coscienza dei diritti dell’uomo e nuove correnti di pensiero frazionano anche culturalmente il vecchio continente. Con la rivoluzione francese (1789), al centro della vita sociale e politica ormai non ci sarà più il «cristiano», ma il «cittadino».
Avanza e si diffonde così quel processo di «secolarizzazione» che, attraverso l’illuminismo, razionalismo, liberalismo, scientismo, positivismo e le grandi ideologie dei secoli 17° e 18°, sarebbe sfociato nel «secolarismo» dei nostri giorni.
Così, un processo di per sé positivo come la «secolarizzazione», intesa come distinzione tra chiesa e stato, è approdato al «secolarismo» che esclude Dio dall’orizzonte umano.
Tuttavia, nonostante la fine della «cristianità», il confronto-scontro tra la cultura cristiana e le nuove correnti del pensiero «liberale» e «laico» non riuscì ad affossare in Europa la tradizione umanistica, fondata sul primato dei valori. Essa manterrà a lungo la supremazia anche nei confronti della nascente cultura scientifica.
La terza Europa è quella postmodea, dopo la smentita storica delle grandi ideologie del 18° e 20° secolo. Se queste non sono riuscite a scalzare la plurisecolare tradizione umanistica nel vecchio continente, ne hanno però laicizzato la cultura e il costume, rendendolo per molti aspetti «postcristiano».
Il secolarismo (degenerazione del processo di secolarizzazione) ha gettato la cultura contemporanea in preda a forme di nichilismo, relativismo etico e neoliberismo selvaggio. Tanto che negli ultimi decenni del 20° secolo, anche come reazione a tali processi degenerativi, è tornato di attualità il dibattito sui fondamenti spirituali e culturali dell’Europa.
Un tema da approfondire, senza rimpianti per la «cristianità» perduta, guardando avanti, verso la «casa comune» da costruire in continuità con i valori della civiltà europea, nel rispetto della laicità della politica e del pluralismo culturale degli stati membri.

«La casa comune»

Lo sviluppo delle scienze e della tecnica, le correnti di pensiero laico e il progresso economico hanno cambiato il modo di pensare e di vivere degli europei; ma l’identità che rende «uno» il continente europeo rimane all’interno della sua storia e cultura, nel patrimonio spirituale e morale comune ai popoli che lo compongono.
Ovviamente la concezione dell’uomo e della società e la comprensione dei diritti dell’uomo, oggi, non sono più quelle della primitiva «cristianità». Lungo i secoli, la civiltà europea è stata alimentata anche da tradizioni culturali diverse (ebraica, islamica, illuministica). Ciò non è stato un male, ma un arricchimento: «La storia dell’Europa – secondo la bella immagine di Giovanni Paolo ii – è un grande fiume, nel quale sboccano numerosi affluenti, e la varietà delle tradizioni e culture che la formano è la sua ricchezza». Ma la corrente che prevale è l’onda cristiana.
Non deve stupire, perciò, il risveglio e bisogno di spiritualità che si riscontra in tutta l’Europa. Altrettanto significativo è il fatto che i paesi dell’Est si sentano uniti all’Europa occidentale in virtù dei vincoli spirituali e culturali che essi hanno conservato con il cristianesimo, nonostante il tentativo di spezzarli compiuto dal comunismo.
Lo riconosceva Mikhail Gorbaciov, alla vigilia della caduta del muro di Berlino: l’Europa, scriveva, è una «casa comune», dove geografia e storia hanno strettamente intrecciato i destini dei popoli e nazioni che la compongono. Poi esclamava: anche «noi (i sovietici) siamo europei: la vecchia Rus’ era unita all’Europa dal cristianesimo».
In realtà a Mosca, la «terza Roma», va il merito di aver salvato l’eredità bizantina, consentendo così alla «cristianità» di continuare a respirare con i suoi due polmoni: quello occidentale e quello orientale.
Perciò, oggi, per costruire l’Europa come una «casa comune», culturalmente pluralistica, plurietnica e multireligiosa, non si può fare a meno di porre a fondamento dell’unione politica del continente anche quei valori spirituali e culturali, ovviamente ripensati e approfonditi, che sono parte inseparabile della sua storia.

I 4 pilastri del Trattato

L’importanza di tali valori, è stata riconosciuta, benché indirettamente, dal Trattato costituzionale europeo, approvato il 18 giugno 2004 a Bruxelles e firmato a Roma il 29 ottobre 2004. Così recita l’articolo 2: «L’Unione si fonda sui valori della dignità umana, libertà, democrazia, uguaglianza, stato di diritto e rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a una minoranza. Questi valori sono comuni agli stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, tolleranza, giustizia, solidarietà e parità tra donne e uomini».
In sostanza, sono 4 i pilastri su cui si basa la nuova Europa: dignità umana, libertà solidale, uguaglianza, diritti umani. Oggi sono tutti valori considerati «laici» e non si pensa più alla loro radice religiosa. Se insistiamo sul rapporto originario che essi conservano con la visione cristiana dell’uomo e della società, non è per mettere un cappello «clericale» o «confessionale» alla Costituzione europea, la quale è laica e laica deve restare; ma per stimolare soprattutto i cristiani a un impegno coraggioso per dare alla costruzione dell’Europa un’anima etica il più coerente possibile con i valori enunciati dalla Costituzione, nel rispetto del pluralismo e regole democratiche.

1° pilastro: la dignità della persona umana è inviolabile.
L’uomo, cioè, vale per quello che è, più che per quello che ha o che fa. Perciò il Trattato europeo pone al centro del sistema politico la persona umana e ne tutela i diritti: dal diritto alla vita a quello dell’integrità fisica e psichica.
Società e stato possono disporre (in una legislazione democratica) dell’attività dei singoli, per il raggiungimento dei fini comunitari, ma non della persona e della sua vita. «L’Unione offre ai suoi cittadini uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere intee e un mercato unico nel quale la concorrenza è libera e non falsata».
Chi può negare che questo primo principio «laico» abbia «radici cristiane»? Infatti, considerare l’uomo come «autore, centro e fine di tutta la vita economico-sociale» (Gaudium et spes 65) è il caposaldo della dottrina sociale cristiana. La ragione di tale primato è essenzialmente religiosa e risiede nel fatto «che l’uomo è stato creato “a immagine di Dio”, capace di conoscere e amare il proprio Creatore, costituito da lui sopra tutte le creature terrene quale signore di esse, per governarle e servirsene a gloria di Dio» (GS 12 ).

2° pilastro: libertà solidale.
La ii parte della Costituzione tratta della libertà. Essa non è intesa come individualismo, ma legata ai rapporti tra persone. Su tale concezione solidale si fondano il rispetto della dignità della persona, parità tra uomo e donna, «diritto di ogni individuo alla libertà di pensiero, coscienza, religione» (ii,10), espressione e informazione (ii,11), riunione e associazione (ii,12), di sposarsi e costituire una famiglia (ii,9), primo nucleo della società umana.
Anche il secondo nucleo, la società civile, si radica nel principio di libertà solidale, poiché né la persona, né la famiglia possono esistere al di fuori della società. Sullo stesso principio l’Unione «combatte l’esclusione sociale e discriminazione e promuove la giustizia e protezione sociali, parità tra donne e uomini, solidarietà tra le generazioni e tutela dei diritti del minore. Promuove la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli stati membri» (i,3,3).
Tale solidarietà è garantita anche in situazioni di emergenza: «L’Unione e gli stati membri agiscono congiuntamente in uno spirito di solidarietà, qualora uno stato membro sia oggetto di un attacco terroristico o sia vittima di una calamità naturale o provocata dall’uomo» (i,43).
Anche questa tutela «laica» della libertà e solidarietà si radica nella visione antropologica di ispirazione cristiana. «Dall’indole sociale dell’uomo – spiega il Concilio – è evidente come il perfezionamento della persona umana e lo sviluppo della stessa società siano tra loro interdipendenti. Infatti, principio, soggetto e fine di tutte le istituzioni sociali è e deve essere la persona umana, come quella che di sua natura ha sommamente bisogno di socialità… L’uomo cresce in tutte le sue doti e può rispondere alla sua vocazione attraverso i rapporti con gli altri, i mutui doveri, il colloquio con i fratelli» (GS 25).
Per questo la coscienza cristiana considera la solidarietà non come «un sentimento di vaga compassione o superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti» (Sollicitudo rei socialis 38).

3° pilastro: l’uguaglianza.
Su di essa si basa lo stato di diritto. «L’Unione rispetta, in tutte le attività, il principio dell’uguaglianza dei cittadini, che beneficiano di uguale attenzione da parte delle sue istituzioni, organi e organismi» (i,45).
In altre parole: i cittadini dovranno partecipare alle scelte e alla vita dell’Unione, secondo regole che assicurino la corresponsabilità di tutti, nel rispetto delle prerogative peculiari di ciascuno. Non è ammessa alcuna discriminazione «fondata su sesso, razza, colore, origine etnica o sociale, caratteristiche genetiche, lingua, religione o convinzioni personali» (ii,21).
Da qui la preoccupazione di evitare gli eccessi della burocrazia e di un centralismo soffocante e di valorizzare l’apporto dei gruppi sociali, classi, autonomie locali (i,5). Quasi non bastasse, si specifica ulteriormente: «In virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva, l’Unione interviene soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente raggiunti dagli stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell’azione in questione, essere meglio raggiunti a livello di Unione» (i,11).
Anche qui, non è difficile scorgere il rapporto tra questa concezione «laica» dello stato di diritto e i concetti di uguaglianza e di partecipazione responsabile (o sussidiarietà) sviluppati dal pensiero sociale cristiano. Già Pio xi scriveva nel 1931: «Come è illecito sottrarre agli individui ciò che essi possono compiere con le proprie forze e di loro iniziativa per trasferirlo alla comunità, così è ingiusto affidare a una maggiore e più alta società quello che le minori e inferiori comunità possono fare. È questo, insieme, un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società; perché l’oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già di distruggerle o assorbirle» (Quadragesimo anno 86).
Più vicino a noi, il Vaticano ii ribadisce la necessità di vegliare «affinché i cittadini non siano indotti ad assumere di fronte alla società un atteggiamento di passività o irresponsabilità» (GS 69); occorre invece concepire e attuare soprattutto le politiche sociali, attraverso l’intervento creativo delle diverse istanze della società civile, riconoscendone il ruolo insostituibile accanto a quello del mercato e delle istituzioni.

4° pilastro: diritti umani.
Il Trattato riprende integralmente la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione approvata a Nizza nel dicembre del 2000 (i,9). Oltre a garantire a singoli e gruppi tutti i diritti civili e le condizioni materiali necessarie all’esistenza, viene tutelata la libera fruizione dei beni di natura superiore: arte, cultura, dimensione spirituale e religiosa della vita.
Anche questa impostazione, ancora una volta «laica», è in chiara continuità con la concezione cristiana della società. Questa, come specifica il Concilio, prevede che «siano rese accessibili all’uomo tutte quelle cose che sono necessarie a condurre una vita veramente umana, come vitto, vestito, abitazione, diritto a scegliersi liberamente lo stato di vita e a fondare una famiglia, educazione, lavoro, buon nome, rispetto, diritto alla necessaria informazione, alla possibilità di agire secondo il retto dettato della coscienza, alla salvaguardia della vita privata e alla giusta libertà anche in campo religioso» (GS 26).

Impegno per i cristiani

La continuità dei valori «laici» con l’ispirazione religiosa originaria risalta maggiormente la responsabilità dei cristiani nella costruzione dell’Europa. Lavorando insieme a tutti i cittadini del continente, sono chiamati a far sì che i valori «laici» comuni su cui poggia l’Unione non solo siano rispettati, ma vengano applicati, evitandone interpretazioni riduttive o errate, ricuperandone il significato originario.
Tale continuità con i valori cristiani, infatti, non significa che la Costituzione europea sia pienamente conforme a essi. Ne è un esempio l’ambigua posizione assunta nei confronti della famiglia: non affermare esplicitamente che essa si fonda sul matrimonio tra un uomo e una donna, lascia in pratica la porta aperta alle unioni di fatto, anche tra omosessuali.
Parimenti, come molti hanno rilevato, nonostante l’evidente impegno nel promuovere la pace e tutelare l’autorità dell’Onu, nella Costituzione manca un rifiuto esplicito della guerra come strumento per risolvere le controversie tra gli stati.
È auspicabile che su questi e altri punti importanti, quali l’applicazione delle nuove tecnologie alla vita umana, istruzione, giustizia sociale, relazioni inteazionali, il testo del Trattato possa in futuro essere ulteriormente perfezionato.
Al tempo stesso i cristiani devono evitare di cadere nella trappola della cosiddetta «religione civile».

Religione civile

Da qualche tempo, nella cultura occidentale, secolarizzata e laicizzata, si assiste a una rinnovata attenzione verso la religione in genere e verso quella cristiana in particolare. Dopo l’ostracismo decretato dall’illuminismo, che riduceva il fenomeno religioso a mero fatto privato, senza alcuna rilevanza sociale, e dopo la guerra contro la religione da parte delle dittature di diversa ispirazione ideologica, oggi ci si rende conto, invece, che la religione ha una sua rilevanza sociale.
La religione è ritenuta necessaria sia sul piano culturale (per plasmare e custodire l’identità nazionale all’interno della società pluralistica e plurietnica), sia sul piano politico (come fattore di stabilità civile di pacificazione contro la violenza), sia sul piano etico (per dare senso al lavoro umano, responsabilizzare i cittadini verso il bene comune).
In quest’ottica si spiega perché l’articolo 52 della Costituzione europea riconosca in modo esplicito il valore sociale della religione e l’utilità, anzi la necessità, che si instaurino rapporti stabili di collaborazione tra istituzioni democratiche e comunità religiose: «L’Unione rispetta e non pregiudica lo status di cui godono negli stati membri, in virtù del diritto nazionale, le chiese e le associazioni o comunità religiose. L’Unione rispetta ugualmente lo status di cui godono, in virtù del diritto nazionale, le organizzazioni filosofiche e non confessionali. Riconoscendone l’identità e il contributo specifico, l’Unione mantiene un dialogo aperto, trasparente e regolare con tali chiese e organizzazioni».
Senza negare l’importanza del clima di rispetto e dialogo che si sta instaurando nei rapporti tra istituzioni politiche e comunità religiose, è chiaro che la «religione civile» può trasformarsi in una trappola per la chiesa e la sua missione.
Da una parte lo stato riconosce l’importanza della religione e ricerca l’appoggio della chiesa per gli utilizzi sociali che essa offre (oratori, ospedali, scuole…). Dall’altro, la chiesa vede con favore tale riconoscimento pubblico e tende a scorgervi un aiuto alla sua missione evangelizzatrice, se non già un effetto della evangelizzazione.
Sotto le apparenze più sofisticate della «religione civile» sta tornando una forma modea di «cristianità», in cui lo stato strumentalizza la religione come mero collante di convivenza sociale e civilizzazione, senza alcun riferimento al suo valore trascendente e soprannaturale.
Da parte della chiesa, può tornare la vecchia tentazione della «cristianità», cioè di «battezzare» il potere, col pericolo di subordinare la profezia alla diplomazia, di tacere di fronte a disuguaglianze e ingiustizie stridenti, di fingere di non vedere le illegalità e prevaricazioni della classe politica al potere. Non meno grave, poi, è la tentazione di ridurre l’annunzio evangelico alla sua dimensione sociale. La promozione umana è certamente parte integrante della evangelizzazione; questa però non potrà mai prescindere, senza rinnegarsi, dall’annunzio integrale della salvezza e del regno di Dio.
Bisogna dunque stare attenti a non tornare indietro verso forme pur rinnovate di «cristianità»; ma, mentre ci si apre al dialogo e al confronto con la storia e i problemi del tempo, occorre ritrovare il coraggio della testimonianza profetica della risurrezione e del regno e il coraggio dell’annunzio della parola di Dio, sine glossa.

Cristiani maturi cercansi

Questa sintesi tra servizio all’uomo e testimonianza viva della fede è la sfida che la costruzione dell’Europa oggi pone sia alle chiese che ai singoli cristiani, chiamati a operare «laicamente» con tutti gli altri cittadini del continente.
In particolare i cristiani impegnati a costruire l’Europa, in posti di responsabilità o anche come semplici cittadini, dovranno sforzarsi di ricuperare il significato integrale dei valori e principi fondamentali fissati dal Trattato costituzionale. Infatti, quando si passa dall’enunciazione teorica alla loro applicazione pratica, le interpretazioni divergono e spesso contrastano, come avviene specialmente in alcuni ambiti delicati, come quello della vita e della salute o del matrimonio e della famiglia. Toccherà ai cristiani servirsi della loro competenza professionale e degli strumenti democratici disponibili per dare ai valori fondamentali della Costituzione europea il necessario «supplemento d’anima», cioè per interpretarli e applicarli in senso plenario pur nel rispetto della loro laicità.
Accanto a questo sforzo, non meno efficace e urgente è il dovere della testimonianza di una vita cristiana autentica. Di fronte al multiculturalismo e «laicismo» odierno, occorrono veri cristiani che abbiano fatto personalmente la scoperta del vangelo, che aderiscano a Cristo, non in virtù della nativa tradizione sociologica o culturale, ma per avere incontrato personalmente il Risorto nella fede.

In conclusione, che giudizio dare del dibattito, non ancora sopito, sulla opportunità o meno di un richiamo esplicito alle «radici cristiane» nella Costituzione europea?
In primo luogo, è ovvio che nell’Europa di oggi, secolarizzata, pluralistica, multietnica e multireligiosa, non si può pensare di parlare di «radici cristiane» in senso confessionale, come avveniva al tempo della «cristianità» della prima Europa. Oggi, nel contesto europeo, accanto ai circa 560 milioni di cristiani (269 cattolici, 170 ortodossi, 80 protestanti, 30 anglicani), vivono 32 milioni di musulmani, 3,4 di ebrei, 1,6 di induisti, 1,5 di buddisti, 500 mila sikh. È ovvio che non si può definire l’Europa come un continente esclusivamente cristiano dal punto di vista confessionale. Dal canto suo, il Concilio Vaticano ii ha definitivamente chiarito che il cristianesimo non si identifica con nessuna civiltà, neppure con quella europea.
Dunque era prevedibile che la menzione delle «radici cristiane» non sarebbe entrata nell’articolato della Costituzione, anche perché essa avrebbe potuto causare delicati conflitti interpretativi, nel caso, per esempio, dell’ammissione in Europa di stati di cultura e religione diversa (come la Turchia).
Il Preambolo invece sembrava a molti il luogo adatto per ricordare l’influsso storico esercitato dal cristianesimo sulla nascita e sulla crescita dell’Europa e sulla sua civiltà, senza con ciò negare l’apporto di altre culture, come quella ebraica, greco-romana, islamica e illuministica.
Ma il Preambolo parla solo genericamente di «eredità culturali, religiose e umanistiche dell’Europa». Tuttavia, nonostante il mancato richiamo esplicito, in realtà le «radici cristiane», come abbiamo visto, sono sostanzialmente ben presenti nella Costituzione europea. E ciò vale molto di più di un mero riconoscimento formale.
Pertanto, ora la cosa che più importa è impegnarsi a interpretare in coerenza con la loro origine cristiana i valori e i principi enunciati dall’articolo 2 della Costituzione europea, rispettandone la laicità. Infatti, la fecondità del servizio cristiano non dipende dal suo riconoscimento formale o meno. Lo afferma anche il Concilio: la chiesa «non pone la sua speranza nei privilegi offertile dall’autorità civile; anzi essa rinuncerà all’esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso potesse far dubitare della sincerità della sua testimonianza o nuove circostanze esigessero altre disposizioni» (GS 76).
In altre parole, la forza del cristianesimo sta nel suo stesso messaggio, nella potenza disarmata della parola di Dio e nella testimonianza coerente dei cristiani. Se alla costruzione della nuova Europa dovesse mancare il contributo effettivo di cristiani adulti e forti, a nulla servirebbe la menzione formale delle «radici cristiane» nel Preambolo del Trattato costituzionale.

Bartolomeo Sorge