DOSSIER NUOVI ITALIANI”Mi fermano… solo perché sono nero…”

L’Italia è il suo paese. Fin dalla nascita.
Tutto bene, quindi? Quasi…

John è un adolescente italo-africano. Non vuole raccontare esattamente da che paese proviene. Anzi, diciamo che gli dà fastidio che gli si domandi l’origine, quasi si mettesse in dubbio la sua attuale «italianità».
Parla in fretta, in un italiano perfetto e senza particolari inflessioni. Ha i capelli legati in una cascata di piccole treccine tenute ferme da elastici colorati, e un bel viso scuro con grandi occhi neri.
Orecchini piccoli al naso e ai lobi delle orecchie, jeans, maglietta e scarpe all’ultima moda, cammina in mezzo a un gruppetto di compagne di scuola, in un istituto per il turismo di Torino. Più che delle amiche sembrano le sue fan: per tutta la chiacchierata non smettono di girargli attorno.

Sei nato in Italia o ci sei arrivato da bambino?
«Qui, sono nato qui».
Quando?
«Sedici anni fa».
I tuoi di dove sono?
«Africa».
È un continente…
«Già, e grande anche… I miei fratelli, no».
No, cosa?
«Non sono nati qui: sono più grandi. Ma è la stessa cosa: quando cresci, vai a scuola in un paese, vai in oratorio, hai gli amici, esci, sei come tutti gli altri».
Uguale.
«Eh sì, è un nonsense parlarne, perché non mi sono mai nemmeno posto il problema, a dir il vero».
Mai avuto questioni con i compagni?
«Perché avrei dovuto? Sono nato in Italia e non riesco a immaginarmi, per il momento, in un altro posto. Magari un giorno mi piacerebbe andare all’estero a fare nuove esperienze, a lavorare. I miei studi sono rivolti a quello: a viaggiare. Almeno spero. Però l’Italia è il mio paese».
Quindi, tutto ok?
«Sì… il casino è quando mi fermano per i controlli».
Ti fermano?
«La polizia, per routine… magari bazzico ai Murazzi (lungo Po torinese, dove, oltre ai tanti locali alla moda e di divertimento giovanile, circolano droghe, ndr), ma non per farmi, no, quello non mi garba, ma per incontrare amici, andare a ballare… Insomma, mi fermano solo perché sono nero e dò l’impressione dell’immigrato».
Ti dà noia?
Si rabbuia un po’. «E come no? Certo. Mi sento mortificato. È come se mi si dicesse che non faccio parte di questo paese, che invece è il mio».
I tuoi che lavoro fanno?
«Papà è laureato in ingegneria ma ha messo su una ditta di import-export, ed è spesso giù».
Giù…
«In Africa».
Già, il continente senza stati…
Ride e prosegue. «La mamma una volta era maestra, ma ha aperto un negozio».
Vai d’accordo con loro?
«Li amo e li rispetto, ma litighiamo spesso: non vogliono che esca la sera, che vada in giro in certi quartieri. Hanno paura della droga, della delinquenza. Dicono che al loro paese non ce n’è come qua. Ma che ci posso fare? Rimanere bloccato in casa?».
Musulmani?
«Cristiani e praticanti, i miei. Beh, io sono andato in oratorio e negli scout fino alle medie».
Sei bravo a scuola?
«Media del sette e mezzo – otto. Mi piace studiare, leggere di tutto. E guardare Mtv».
Quali sono i tuoi sogni futuri? Viaggiare?
«Sì. Mettere su un’agenzia di viaggi, magari».
La propensione familiare per il business c’è, non dovrebbe esserti difficile. Mi sembri molto in gamba e simpatico.
«Grazie. I giornalisti invece fanno un sacco di domande…».
È una carriera che ti attira?
«Uhm, leggendo cosa scrivono degli immigrati in Italia, preferirei evitare». •

Angela Lano

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