Quale economia? (1) Crescita o decrescita?

CON QUESTI CONSUMI NON AVREMO FUTURO

«Chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all’infinito
in un mondo finito è un folle, oppure un economista».

Ha scritto Alex Langer, il compianto ambientalista altornatesino: «Io mi chiedo se è vero che vogliamo stare meglio, quando quotidianamente facciamo di tutto per stare peggio. Cioè, facciamo una cosa sola: obbediamo ciecamente al mercato, al furore tecnico-economico che domina il mondo. Lavoriamo di più, più in fretta, più ansiosamente. Per che cosa? Già chiederselo è un miracolo, perché non c’è più tempo per chiederselo».
Il problema è posto: il bene collettivo e la felicità individuale sono in relazione diretta con la crescita economica? La risposta, almeno in Occidente, è quasi sempre stata «sì». Poi, davanti ai fallimenti del mercato, alle diseguaglianze sempre più forti, al degrado ambientale, alcuni studiosi hanno iniziato a ribaltare i termini del problema e a parlare di «decrescita» come proposta per uscire dal tunnel cieco dell’economicismo.
In tempi di esaltazione della «crescita», è normale che il termine opposto porti con sé una sensazione di negatività.
Scrive Serge Latouche in Obiettivo decrescita: «Pianificare la decrescita significa rinunciare all’immaginario economico, cioè alla credenza che “di più” significhi “meglio”. Il bene e la felicità possono realizzarsi a un minor prezzo. La saggezza afferma generalmente che la felicità si realizza nella soddisfazione di un numero sapientemente limitato di bisogni. La riscoperta della vera ricchezza nella pienezza delle relazioni sociali conviviali in un mondo sano può realizzarsi con serenità nella frugalità, nella sobrietà e addirittura in una certa austerità nei consumi materiali».

Paolo Moiola

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