DOSSIER GIOVANIDa nord a sud

Abbiamo dedicato questo primo dossier del 2005 ai giovani. Avevamo dei dubbi, perché gran parte dei nostri lettori sono di età adulta o avanzata. Poi però ci siamo accorti che i giovani sono oggi una categoria senza precisi confini anagrafici: molti vivono in famiglia oltre i 30 anni, quasi sempre perché il loro lavoro (quando c’è) è precario e mal pagato.
In questo dossier, è bene precisarlo con chiarezza, si parla di giovani occidentali, per i quali i bisogni primari sono, più o meno, quasi sempre soddisfatti. In altre parole, va sottolineato che i giovani del Nord del mondo non hanno le stesse problematiche di quelli del Sud. Per questi ultimi, il problema non è il cellulare di ultima generazione, il brano musicale appena uscito, il videogioco più recente, l’ultimo modello di pantaloni a vita bassa o di scarpe da ginnastica firmate.
Al Sud del mondo la vita colpisce più duro, molto più duro. L’istruzione, ad esempio, è per moltissimi un diritto teorico più che reale. Troppi giovani sono costretti ad iniziare a lavorare in età scolare per aiutare la famiglia a sopravvivere: è la piaga, mai rimarginata, del lavoro minorile, che si riscontra nella maggioranza dei paesi del Sud (dal Bangladesh all’Indonesia al Nicaragua). Senza dimenticare i giovanissimi che si ritrovano con un mitra o una pistola in mano: si pensi ai bambini-soldato (in Sierra Leone come in Colombia) o a quelli organizzati in bande (come le maras in Salvador). O, ancora, a quelli che vivono per le strade, sniffando colla e vivendo di espedienti: dai meninos de rua del Brasile ai gamines della Colombia.
Per le ragazze, poi, l’esistenza è ancora più segnata, siano esse africane, latinoamericane, indiane o filippine: da piccole (a partire dai 4 anni) debbono accudire i fratellini o aiutare la mamma o lavorare (rischiando la schiavitù o l’abuso sessuale: si pensi alle ragazze restavec di Haiti) nelle case dei ricchi; appena diventano donne (dai 13-14 anni), si ritrovano incinte e perdono di colpo quel po’ di spensieratezza che forse era loro rimasta. Giovani sfortunate, certo, ma meno di quelle che finiscono nei bordelli della Thailandia, della Cambogia o delle Filippine, tanto per fare qualche nome.

Ecco, se i giovani del Nord conoscessero meglio i problemi che affliggono i loro coetanei del Sud, forse il mondo sarebbe un luogo migliore e tutti starebbero meglio. Invece, ciò non avviene e non avviene per vari motivi. Ad esempio, perché la scuola non ha tempo da dedicare ad approfondire tematiche politicamente compromettenti e, di conseguenza, pericolose; perché la Tv (che è strumento degli adulti) offre programmi come Il grande fratello (programma globalizzato, in quanto diffuso in molti paesi occidentali) o L’isola dei famosi e gli stessi telegiornali dedicano un tempo francamente imbarazzante al gossip (fatti, misfatti e scempiaggini dei personaggi dello spettacolo).
A fronte di questa dequalificata offerta informativa del mondo adulto, non dobbiamo stupirci, come racconta Maurizio Pagliassotti nel suo articolo, se il professore di religione che chiede ai suoi alunni cosa sappiano del Darfur (la regione del Sudan dove è in corso una guerra di sterminio) si sente rispondere: «Dar… che? Ah! Carrefour!». Carrefour è – per chi non lo ricordasse – la multinazionale francese dei supermercati. Un’ulteriore dimostrazione di quanto il virus del consumo abbia contaminato tutto, tanto che i depliants pubblicitari sono più letti dei quotidiani, i quali – tra l’altro – sono, per più della metà dei giovani, uno strumento informativo inutilizzato. È altrettanto vero che, al giorno d’oggi, i ragazzi (occidentali) hanno a disposizione uno sterminato ventaglio di mezzi di comunicazione (da internet alle televisioni satellitari), ma ciò non ha impedito una diffusa ignoranza. Per citare Ignacio Ramonet: «Per lungo tempo rara e costosa, l’informazione, insieme all’aria e all’acqua, è ormai l’elemento più abbondante del pianeta. Sempre meno costosa via via che il suo gettito aumenta, ma – proprio come l’aria e l’acqua – sempre più inquinata e contaminata».

Nonostante i presunti effetti benefici della globalizzazione, Nord e Sud del mondo rimangono molto distanti (o, meglio, ancora più distanti), come distanti sono i problemi dei loro giovani. Eppure, nessuno può negare che anche in Occidente il cosiddetto «disagio giovanile», ancorché diverso, esista e sia importante perché va ad incidere sulla qualità della vita e sul futuro da costruire.
«Il tempo della gioventù si è dilatato, quello della società si è velocizzato, quello del lavoro si è allontanato» così ha ben sintetizzato la situazione Marco Bertone, pedagogista, il cui articolo apre il dossier. Ha ragione, infine, il nostro biblista Paolo Farinella, quando esorta i ragazzi a «conoscere, conoscere, conoscere… perché troppi padroni sono in agguato».

Paolo Moiola

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