“Il futuro che ci sfida”

Un osservatorio socio-pastorale per leggere
i segni dei tempi in America Latina.
Intervista a Rodrigo Guerra López,
cornordinatore di questa nuova realtà del CELAM (Consiglio episcopale latinoamericano).

Dal 13 al 15 febbraio scorso, si è tenuta nella città di Puebla la riunione dei direttivi e presidenti delle Conferenze episcopali dell’America Latina. Durante l’incontro, ricordando il 25° anniversario di Puebla, sono cominciati i preparativi per la realizzazione di una riunione straordinaria dei vescovi dell’America Latina e del Caribe.
Ecco, allora, un’intervista a Rodrigo Guerra López, cornordinatore dell’appena nato «Osservatorio» socio-pastorale del Celam.

Che significa il documento di Puebla, a 25 anni dalla pubblicazione?
Più che un documento, Puebla è stato un kairós, ossia un momento nella storia, in cui la Provvidenza divina si è manifestata e segna la comunità ecclesiale. Certo, Puebla è un testo. Ma la realtà da cui nasce e alla quale esso si riferisce è la vita concreta della chiesa, di fine anni settanta. Puebla esprime il modo con cui il popolo di Dio cammina nella storia e affronta sfide non sempre facili nel momento di testimoniare che Gesù Cristo è vivo.

Com’è cambiato il contesto della chiesa in America Latina in questi 25 anni?

Da una parte, un insieme di sfide fondamentali si sono acutizzate: povertà, indifferenza, attività di vari gruppi religiosi distinti dalla chiesa cattolica, mancanza di solidità delle nostre democrazie, ecc. Dall’altra parte, esiste un cambiamento culturale sottile, ma profondo: la modeità illuminata abbandona la sua antica egemonia per lasciar posto a una certa postmodeità latinoamericana. Entro queste cornordinate, la chiesa cattolica deve ritornare a leggere i «segni dei tempi», per poter scoprire quanto Dio chiede in questo nuovo scenario di massima pluralità, ibridazione e frammentarietà.

Questa potrebbe essere la «scusa» per pensare a un nuovo evento ecclesiale, come quello di Puebla?

Sì e no. Certamente un nuovo contesto esige uno sforzo di attualizzare la comprensione. Tuttavia, al di là di un certo aggioamento, è la vita della stessa chiesa che esige momenti forti di riflessione e preghiera per riproporre l’essenziale e rinnovare la conversione, comunione e solidarietà. Orbene, il cardinale Errázuriz, arcivescovo di Santiago del Cile e presidente del Celam (cfr. box: ndr) è stato molto chiaro nell’insistere sul fatto che il processo iniziato è appena un primo passo verso il momento formale in cui il papa possa eventualmente convocare, come in altre occasioni, una quinta assemblea generale, un sinodo o qualche altra forma di riunione.

Quali sono stati gli interventi più importanti, durante questi giorni di lavoro?

Da un punto di vista personale, mi hanno molto interessato gli interventi di mons. Jorge Jiménez e del card. Claudio Hummes, nel primo giorno. Ciascuno, con il proprio linguaggio, ha presentato gli elementi che configurano l’attuale momento della chiesa e dell’America Latina. Da una parte, dobbiamo proseguire un cammino. Medellín, Puebla e Santo Domingo non devono restarci indifferenti. Dall’altra, la globalizzazione esige oggi una nuova maniera di comunicare, che renda più evidente l’apporto specifico dei cristiani. L’identità cristiana deve rafforzarsi, tramite un rinnovato processo educativo. Nel momento accademico di commemorazione dei 25 anni di Puebla, la conferenza tenuta dal card. Darío Castrillón Hoyos è stata sommamente chiarificatrice: la dignità umana è una dimensione costitutiva della persona. Questo ingrediente è anche un elemento del vangelo. In tal modo, noi cristiani non possiamo che metterci al servizio della dignità umana perché, di fatto, la gloria di Dio è che l’uomo viva e viva in condizioni che siano all’altezza del suo valore intrinseco.

Non c’è rischio di prestare troppa attenzione al nuovo contesto, alla dignità umana e suoi diritti, ai progetti di azione sociale e perdere di vista la dimensione trascendente del cristianesimo?

In effetti, uno dei pericoli che attraversa la fede, oggi, è quello di perdere la sua specificità in una proposta di azione volontaristica, che pretenda di costruire il regno tramite un semplice programma di azione sociale (di destra o di sinistra). Tale approssimazione risponde essenzialmente all’antica eresia pelagiana.
Ma, nello stesso tempo, esiste anche un altro pericolo: la posizione di quanti ritengono la fede quale convinzione spiritualistica e al margine di una adeguata incidenza storico-sociale. Tale idea si avvicina molto all’eresia docetista: credere che la condizione incarnata del Verbo sia una finzione, una mera metafora. Il mistero dell’incarnazione, nucleo della nostra fede, si propone esattamente come qualcosa di diverso: Dio si è fatto uomo. Tutto ciò che è umano dev’essere assunto e redento in Cristo. Quando non si perde la dimensione d’incarnazione della fede, si vive in una continua tensione tra natura e grazia, in cui, come sottolinea il card. Errázuriz, il primato spetta sempre alla grazia. L’analisi dei contesti, la valorizzazione della dignità umana e dei diritti, l’azione fanno parte dell’itinerario che la chiesa deve compiere, conscia che la proposta del vangelo non si esaurisce certo in essi, ma che li supera senza negarli.

Toerà ad acquistare vigore nella chiesa latinoamericana l’opzione preferenziale per i poveri?

L’opzione preferenziale per i poveri è una dimensione costitutiva della nostra fede. Non ha mai cessato di esistere. Recentemente, Giovanni Paolo ii, nella Novo millennio ineunte, ci ha ribadito che le pagine del vangelo dove Gesù mostra il suo amore preferenziale ai poveri non sono un semplice richiamo alla carità, bensì un aspetto fondamentale della cristologia. Ancora di più: il papa afferma che, nel vivere il contenuto di queste pagine, la chiesa dimostra la sua fedeltà non meno che a livello di ortodossia.

Il nuovo «Osservatorio» del Celam avrà di mira lo studio della povertà nel continente?

Le nuove povertà in America Latina sono talmente estese che sarebbe irresponsabile e antievangelico restare indifferenti, come se non significassero nulla alla luce della fede. L’«Osservatorio» cercherà di offrire ai vescovi del materiale, che permetta loro di ampliare la visione della povertà e di molti altri fenomeni sociali, caratteristici della realtà che stiamo vivendo.

Cosa ha spinto i vescovi a creare un «Osservatorio» in seno al Celam?

Potrebbe sembrare che i vescovi stiano semplicemente costruendo un think tank. Tuttavia, mons. Carlos Aguiar, primo vicepresidente del Celam e vescovo responsabile dell’«Osservatorio», ha posto al centro della prospettiva di tale istituzione di essere un servizio anzitutto ecclesiale, cioè, con piena coscienza della natura della chiesa e delle sue preoccupazioni propriamente pastorali.
In certa qual misura l’«Osservatorio» nasce dalla vita ordinaria del Celam, specialmente dai processi già in atto nel Dipartimento di giustizia e solidarietà, diretto dal card. Oscar Rodríguez Maradiaga. Da tempo, egli ha cercato di conoscere con grande competenza la realtà sociale del continente e del mondo e, con il suo esempio, ci ha indicato l’importanza di riprendere a guardare e servire Cristo in mezzo alle sfide concrete della storia dei nostri popoli.
Zenit

Agenzia Zenit