DOSSIER TRANSIBERIANA (1):”Transiberiana”

La ferrovia più lunga del mondo

TRANSIBERIANA

Pensata fin dal 1857, iniziata nel 1881, terminata dopo una ventina di anni,
essa congiunge l’Europa all’Asia. La sua costruzione è costata lacrime e sangue, segnando profondamente la storia della «Grande Madre Russia».

Cosa sarebbe la Russia, la Grande Madre Russia, senza la Siberia? Nessuno, oggi, potrebbe immaginarsi un paese così monco quanto una Russia privata della sua parte orientale. Tutti i territori meridionali del Caucaso e del Centro Asia si sono staccati da Mosca, senza che questa ne abbia avuto a soffrire culturalmente; la cicatrice generata dalla secessione di Ucraina, Bielorussia, repubbliche baltiche si è oramai rimarginata, ma per la Siberia è un altro discorso.
La Siberia rappresenta per la Russia (e quindi anche per l’Europa), oltre che un forziere economico di inesauribile ricchezza, l’unico collegamento diretto con l’Asia.
Nel 1918 il poeta Alexandr Bloch, riconoscendo il carattere asiatico della rivoluzione d’ottobre per la spontaneità con cui questa si era compiuta, anticipava il movimento scitista, che nel 1921 definiva la cultura russa «non soltanto occidentale, ma anche orientale; non soltanto europea, ma anche asiatica e addirittura non europea, ma eurasiatica».

LA CONQUISTA DELL’EST
Per secoli gli zar hanno cercato il modo per annettersi l’immenso territorio a est degli Urali, ma le steppe desolate, gli acquitrini infestati dalle zanzare, il clima estremo e le numerose tribù ostili a ogni forma di assoggettamento, rappresentavano ostacoli pressoché insormontabili.
Per evitare disastrose e costosissime campagne militari, la casa regnante di San Pietroburgo escogitò un espediente: i servi della gleba che volevano liberarsi dal giogo della servitù, avrebbero potuto farlo trasferendosi nelle terre orientali coltivando tanta terra quanta ne riuscivano a bonificare.
A questi contadini ben presto si aggiunsero prigionieri politici e comuni. Lentamente, chilometro dopo chilometro, la massa umana si spostò sempre più a oriente, seguita a debita distanza dall’amministrazione zarista, che fondava città e centri di posta nelle zone già colonizzate, allargando i confini dell’impero sino a lambire i territori settentrionali della Cina.
Perché il controllo russo fosse efficace e sufficientemente protettivo verso i cittadini che accettavano di trasferirsi a est, c’era bisogno di collettività autosufficienti e militarmente forti. Vennero quindi incoraggiate le comunità di cosacchi, a cui vennero date in concessione terre per invogliarli a emigrare stabilmente sempre più a oriente.
In questo modo il potere centrale otteneva diversi obiettivi, tutti a lui funzionali: diminuendo la pressione demografica a occidente, si permetteva la coltivazione di appezzamenti di terreno sempre più vasti, liberandosi nel contempo della fastidiosa presenza di cosacchi, allergici a ogni forma di potere che fosse troppo presente nella loro vita.
Inoltre, la colonizzazione di terre fino ad allora abitate da popolazioni considerate rozze e incivili, arginava ogni eventuale straripamento cinese verso settentrione e, soprattutto, permetteva di sfruttare le immense ricchezze del sottosuolo siberiano per rimpinguare i forzieri imperiali.

CORSA A OSTACOLI
Ma per omogeneizzare questa immensa fetta di territorio, occorreva che tutti gli avamposti fossero collegati con la capitale: nel 1857 venne commissionato un primo progetto per la costruzione di una ferrovia. I costi proibitivi, le difficoltà naturali da superare, l’alto impiego di mezzi e uomini e, non ultimo, la riottosità dei cosacchi nel temere (a ragione) un controllo dell’amministrazione centrale sui loro villaggi e la conseguente perdita di potere autonomista, accantonarono temporaneamente ogni piano di sviluppo.
Solo nel 1873, con l’inaugurazione della Compagnia ferroviaria degli Urali, che collegava il confine europeo della Russia con Mosca, il progetto di una linea ferrata che continuasse ininterrottamente fino al Pacifico, dove nel 1860 era stata fondata Vladivostok, divenne sempre più pressante e concreto.
Per otto anni si studiò attentamente quale percorso seguire, ostacoli naturali da superare e in quali città la ferrovia avrebbe dovuto passare. Gli invei gelidi delle regioni poste troppo a nord avrebbero sbriciolato l’acciaio dei binari, rendendo la via impraticabile per la maggior parte dell’anno; passare attraverso le foreste siberiane, dove il clima era più mite, era altrettanto impossibile: sarebbero occorsi decenni solo per aprire una strettornia lungo la quale posare le traversine. Alla fine si decise che il treno sarebbe corso lungo la tradizionale via invernale percorsa dalle slitte, lungo i confini meridionali della Siberia.
Il percorso transitava a pochi chilometri dalla frontiera cinese ed era quindi vulnerabile, ma aveva il pregio di essere praticamente già tracciato e percorribile tutto l’anno.
I lavori iniziarono contemporaneamente da Vladivostok e da Mosca nel 1881, sotto il regno di Alessandro iii, salito al trono dopo l’assassinio del padre, lo stesso anno, da parte del movimento liberal-anarchico Narodnaija Volia (volontà popolare).
Il finanziamento concesso agli ingegneri era talmente ridotto che, nonostante il traffico fosse ancora estremamente limitato, i binari non sopportarono a lungo il peso dei convogli e diversi ponti, costruiti interamente in legno per risparmiare, crollarono durante il primo inverno.
Scoraggiato dalle continue interruzioni e dalla voragine finanziaria che si stava creando nel bilancio statale, Alessandro iii decise di fermare i lavori, mantenendo in vita solo quei tratti più facilmente agibili. La via verso il Pacifico era comunque aperta, seppur non nella sua totalità.
Fu lo zar Nicola ii che, volendo creare una Russia forte e egemonica, capì l’importanza nevralgica che le ferrovie stavano assumendo nel mondo economico e politico del tempo. Il Giappone già incombeva minacciando i possedimenti orientali zaristi e una probabile guerra poteva essere vinta solo accelerando la mobilitazione di migliaia di soldati verso il fronte orientale. Dando fondo alle casse della nazione, nel 1904 i vari segmenti della Transiberiana vennero finalmente uniti.
Sebbene il completamento della ferrovia non servì a Nicola ii per vincere la guerra scoppiata nel 1905 contro l’impero giapponese, l’opera fu celebrata come la definitiva vittoria della scienza dell’uomo sulla natura, dei positivisti sui romantici.

RIVOLUZIONE SUI BINARI
La Transiberiana fu anche la chiave di volta per la nascita del movimento marxista russo. La sua progettazione e realizzazione, con il contributo di urbanizzazione e industrializzazione che ne sarebbe seguito, servì nel 1883 a Georgij Plehanov, fondatore, con Vera Zasulic, Lev Dejc e Pavel Aksel’rod, del gruppo marxista Liberazione del Lavoro, a preconizzare la trasformazione socialista della Russia attraverso il capitalismo.
Forti di questa alterazione sociale, i marxisti entrarono nell’arena politica russa negando ai contadini l’esclusività di una possibile rivoluzione, conferita loro dal movimento social-anarchico Narodnaija Volia.
Plehanov, infatti, come del resto i futuri rivoluzionari bolscevichi, non credeva che le campagne potessero rivoltarsi contro il potere zarista a causa del profondo tradizionalismo che caratterizzava lo spirito rurale russo. Il pregiudizio non era infondato: già nel 1874 i narodniki, che avevano molto seguito tra gli studenti, pensando che i tempi fossero maturi, spedirono migliaia di universitari nelle campagne per aizzare i contadini contro lo zar. La rivolta terminò ancor prima di iniziare, perché gli stessi coltivatori non solo ignorarono l’appello rivoltoso, ma denunciarono e consegnarono gli studenti all’Ohrana, la polizia segreta.
A distanza di tanti anni, abbiamo voluto ripercorrere, per tutti i suoi 10 mila chilometri di lunghezza, la Transiberiana per vedere cosa è mutato nella Russia di oggi. Lo zar è stato spodestato, ma anche il comunismo che a lui si era sostituito, ora non c’è più e al suo posto c’è un governo che cerca faticosamente di ristabilire regole infrante dopo il crollo del vecchio regime e un nuovo modello di mercato e di società che non ha certo dato i risultati promessi e attesi dalla popolazione.

Piergiorgio Pescali

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