NONVIOLENZA o, più semplicemente, vangelo…

NON È UTOPIA
Alle radici di una scelta non facile, ma per essere
davvero dalla parte dei più deboli
contro i sotterfugi dei potenti
e l’inganno delle parole.

Per un cristiano le ragioni dell’impegno
nonviolento partono
dalla bibbia. Sennonché i
biblisti presentano enormi differenze
d’interpretazione del testo biblico
circa l’argomento «guerra-pace».
Queste si ripercuotono sul magistero
ecclesiale e sul pensiero cristiano
in genere.

Occorre chiarire i princìpi, per superare
(possibilmente) dubbi e divisioni
che creano scandalo fra cristiani
e anche fra cattolici. Inoltre, è giocoforza
confrontare l’interpretazione
che riteniamo evangelica con
le punte estreme dei pronunciamenti
e comportamenti
cristiani
lungo
la storia, soprattutto
oggi.

MA LA BIBBIA DICE NO
ALLA VIOLENZA?

L’Antico Testamento non offre,
complessivamente, un messaggio di
nonviolenza. Ripetutamente è comminata
la pena di morte ai violatori
della legge; le guerre sono spesso esaltate,
anche se
non mancano esempi
elogiati di
nonviolenza. Lo
stesso futuro messia,
a volte, è presentato
nelle vesti
di un terribile condottiero
di eserciti.
Tuttavia, i profeti maggiori, Isaia e
Geremia, si caratterizzano per la loro
ostilità a soluzioni militari, al punto
da essere perseguitati e minacciati
di morte. In particolare, il messia,
preannunciato
da Isaia come
«servo di
Jahvè», non ha nulla
di militaresco; anzi, è presentato sotto
l’immagine spirituale dell’agnello
che salva, sacrificandosi per amore
dei peccatori: immagine che Gesù
stesso applica esplicitamente a sé,
drasticamente alternativa a quella di
un messia violento (Lc 4,16-21).
In ogni caso, l’Antico Testamento
va interpretato alla luce del Nuovo e
non viceversa. Gesù ha deluso in pieno
le attese del liberatore politico
violento. Non ha formulato la ricetta
antimilitarista: «Soldati di tutto il
mondo, disarmatevi!»; come non ha
dato la ricetta antischiavista: «Schiavi
di tutto il mondo, ribellatevi!». Ha
presentato, tuttavia, una serie di insegnamenti
ed esempi, improntati
all’amore nonviolento, per cui è indubbio
che il vangelo inculca, se non
comanda formalmente, il principio
della nonviolenza.
Nel «discorso della montagna» egli
richiede ai suoi seguaci un amore
straordinario e inedito: «È scritto:
occhio per occhio, dente per dente.
Ma io vi dico: amate i vostri nemici;
pregate per i vostri persecutori» (Mt
5,44).
L’ingiunzione a Pietro, nel giardino
degli ulivi, «metti via la spada, perché
chi di spada ferisce di spada perisce
» (Mt 26,52), è un altro di quei
pronunciamenti messianici che potrebbe
far pensare a una formula
antimilitarista, come l’ha
interpretata Tertulliano, che
scriveva: «Disarmando Pietro,
il Signore ha disarmato ogni
soldato» (De idolatria).
Per lo meno, non c’è alcun dubbio
sul principio evangelico della
nonviolenza.

EVOLUZIONE O DEVIAZIONE?
L’evoluzione storica del cristianesimo
sul problema di «guerra-pace»
è qualcosa di traumatico. Partendo
dal principio biblico della nonviolenza,
la chiesa dei primi tre secoli,
nella sua prevalenza, se non nella totalità,
ha enucleato la formula antimilitarista:
«Il cristiano non può fare
il soldato». Tale è, ad esempio,
l’affermazione martellante di Massimiliano
di Tebessa (Cartagine) nel
processo del 295 d. C., condannato
a morte per il suo rifiuto del servizio
militare: «Sono cristiano, non posso
fare il soldato!».
E non si tratta di una posizione isolata
del Nord Africa, succube dell’influsso
di Tertulliano; la Traditio Apostolica,
attribuita a Ippolito di Roma,
testimonia che tale prassi vigeva
pure nelle chiese dell’area mediterranea
verso il 215-220: «Il soldato
subalterno non deve uccidere nessuno.
Se riceve un ordine del genere,
non deve eseguirlo e non deve prestare
giuramento. Se non accetta tali
condizioni, sia respinto. Chi ha potere
di vita e di morte sugli altri o il magistrato
di una città, che porta la porpora
come emblema della sua autorità
suprema, deve dare le dimissioni,
altrimenti venga respinto. Il catecumeno
o il fedele che vogliono arruolarsi
e fare il soldato vengano respinti,
perché hanno disprezzato Dio».
In seguito, prima con sant’Ambrogio
di Milano, poi, in modo più compiuto,
con sant’Agostino di Ippona,
verrà formulata la «dottrina della
guerra giusta»: è la cosiddetta «svolta
costantiniana», che prende avvio
dall’imperatore Costantino in poi.
Sennonché, per alcuni permane
una riserva radicale contro gli eserciti
e la guerra (uso omicida della forza),
pur ammettendo un servizio, anche
armato, di polizia (uso non omicida
della forza). Tale distinzione tra
esercito e polizia è pure accennata in
un’interessante presa di posizione del
vescovo Gaetano Bonicelli, a suo
tempo ordinario militare. A proposito
dei cristiani dei primi secoli egli
scriveva: «Già allora si intravedeva
una distinzione fra milizia di pace
(ordine pubblico) e servizio di guerra:
un capitolo interessante e, forse,
in buona parte ancora da scrivere».
A conferma di ciò, vi è la dichiarazione
sorprendente del generale
Bruno Loi, comandante delle missioni
di pace in Libano e Somalia:
«Non si possono mandare gli eserciti
a fare azioni di polizia internazionale.
È un’altra struttura; un’altra
formazione. L’esercito va allo sbaraglio
e il soldato è addestrato a uccidere
e uccidere bene. La polizia non
deve uccidere; anzi, dovrebbe essere
dotata di armi intrinsecamente
non letali». Su questo punto è d’accordo
anche la maggior parte dei pacifisti,
che ammettono un corpo di
polizia internazionale alle dipendenze
di una vera Onu.
Con tutto ciò, l’alternativa sostanziale
agli eserciti e alla guerra non è
la polizia internazionale, bensì la «difesa
popolare nonviolenta». Questa
è snobbata dalla quasi totalità dei politici,
compresi molti cristiani e cattolici.
La nonviolenza non è passività
e nemmeno utopia. I grandi nonviolenti
non sono stati per nulla passivi,
ma hanno scritto pagine storiche
magnifiche. Tragico è, invece, il persistere
della mentalità che solo eserciti
e guerra siano adeguati alla soluzione
di controversie inteazionali.

«DELITTO CONTRO DIO»
È indispensabile e urgente tornare
alla nonviolenza evangelica radicale
dei primi secoli della chiesa. La
civiltà dell’amore esige di bandire totalmente
il «sistema militare» (eserciti-
ricerca-industria-commercio-costi-
eventi bellici). Il mondo è un villaggio
planetario, ancora senza
sindaco né consiglio comunale: un
paese di matti, votato al caos. Occorre
una vera Onu, ossia un parlamento
e governo mondiale, che dettino
un minimo di regole, di giustizia
e di pace al mondo dell’economia
(oggi egemone) e le faccia applicare
con metodi nonviolenti e, in caso estremo,
con il ricorso a un corpo di
polizia internazionale.
Il magistero della chiesa è pure
molto chiaro. La «Gaudium et spes»
del concilio Vaticano II dice: «Siamo
obbligati a considerare l’argomento
della guerra con mentalità completamente
nuova. Ogni atto di guerra,
che indiscriminatamente mira a distruggere
intere città o vaste regioni
e i loro abitanti, è delitto contro Dio
e contro la stessa umanità; con fermezza
deve essere condannato. La
corsa agli armamenti è una delle piaghe
più gravi dell’umanità. La provvidenza
divina esige da noi con insistenza
che ci liberiamo dall’antica
schiavitù della guerra; dobbiamo
sforzarci per preparare quel tempo
nel quale, mediante l’accordo delle
nazioni, si potrà interdire del tutto
qualsiasi ricorso alla guerra. Ciò esige
che venga istituita un’autorità
pubblica e universale. L’umanità, che
già si trova in grave pericolo, sarà forse
condotta funestamente a quell’ora
in cui non altra pace potrà sperimentare
se non la pace di una terribile
morte» (nn. 80-82).
Il Catechismo della Conferenza episcopale
italiana dice: «Abolire la
guerra, il mezzo più barbaro e inefficace
per risolvere i conflitti. Il mondo
civile dovrebbe bandirla totalmente.
Si dovrebbe togliere ai singoli
stati il diritto di farsi giustizia da soli
con la forza, come già è stato tolto
ai privati cittadini e comunità intermedie.
Appare urgente promuovere
nell’opinione pubblica il ricorso a
forme di difesa nonviolenta. Ugualmente
meritano sostegno le proposte
tendenti a cambiare struttura e
formazione dell’esercito, per assimilarlo
a un corpo di polizia internazionale.
La pretesa dei singoli stati
sovrani di porsi come vertice della
società organizzata sta diventando anacronistica.
Si va verso forme di
collaborazione sistematica, si moltiplicano
le istituzioni inteazionali,
si auspicano forme di governo sopranazionale
con larga autonomia
delle entità nazionali».

SEGNALI PERICOLOSI…
Le guerre attuali sono ormai fuori
ogni limite di moralità, anche di quelli
stabiliti dalla pur superata dottrina
della guerra giusta. Va anzitutto notata
la scelleratezza del cosiddetto
«nuovo modello di difesa». In Italia,
«i lineamenti di sviluppo delle forze
armate negli anni ’90», presentati in
parlamento nel 1991 dal Ministero
della difesa, parlano di «concetti strategici
di difesa degli interessi vitali, ovunque
minacciati o compromessi»,
anche fuori dai confini nazionali, abbandonando
il «tradizionale parametro
da chi difendersi, a favore di
una polarizzazione su cosa difendere
e come». Interessi vitali da difendere
ovunque sono «le materie prime, necessarie
alle economie dei paesi industrializzati
», presenti nel Sud del
mondo; l’Europa, e in particolare l’Italia,
avrebbe «il ruolo di ponte politico
ed economico tra l’occidente industrializzato
e il terzo mondo». Più
chiari e più cinici di così!
Altro segnale di militarismo montante
è il ritorno e diffusione di «eserciti
mercenari». Su questa strada
sono incamminati gli «eserciti professionali
» oggi di moda; ma faticano
a trovare volontari adatti alla professione
militare, nonostante le alte paghe,
crediti formativi, privilegi occupazionali
e pubblicità di ogni forma.
I corpi mercenari sono un business
già fiorente: scorte armate nei mari
pericolosi, controllo aereo e addestramento
di eserciti e guerriglie. Tim
Spicer, ex ufficiale inglese e precursore
dei nuovi soldati di fortuna, così
si esprime: «I miei uomini possono
intervenire dove l’Onu non riesce.
Costano meno e sono più bravi».
In base all’accordo-quadro, sottoscritto
a Faborough il 27 luglio
2000 dai ministri della difesa dei
principali paesi europei, il governo
Berlusconi ha approntato un disegno
di legge (n. 1927) per favorire
l’esportazione di armi e diminuie
i controlli previsti dalla legge
185/90, la cosiddetta: «Contro i mercanti
di morte». È in corso una grossa
campagna popolare di pressione
sul parlamento italiano in difesa, appunto,
della legge 185/90.
Ma il superamento di ogni limite
etico e religioso è il rilancio degli armamenti
nucleari, chimici e batteriologici,
in collegamento con la dottrina
Nato del «primo colpo nucleare
» e con l’intenzione dichiarata di
ritenere superati gli accordi di disarmo
su tali ordigni: dal momento che
si possiedono, si è pronti a usarli.
Le potenze nucleari hanno fatto di
tutto per costringere gli altri paesi a
sottoscrivere un «patto di non proliferazione
» di tali armi, ma non hanno
mai accettato di attuare un contemporaneo
disarmo, ripetutamente
richiesto in sede Onu dalla stragrande
maggioranza degli stessi paesi.
Anni fa, il parlamento francese ha
approvato una legge che autorizza il
governo all’uso della «force de frappe
», cioè l’atomica, per difendere gli
interessi vitali della nazione in qualsiasi
parte del mondo. Il giornale cattolico
La Croix, nel dae notizia,
non ha accennato a riserve di sorta
circa l’uso di tali ordigni nucleari!
L’attuale politica del governo italiano
mostra tutta la sua incongruenza:
da un lato è entrata in guerra
contro il terrorismo; dall’altro,
vuole abolire la legge 185/90 per incrementare
il commercio delle armi.
Anzi, il ministro della difesa, Martino,
propone la diffusione capillare
delle armi per l’autodifesa dei singoli
cittadini. Non si agevola, in tal modo,
pure il riarmo del terrorismo?
Anche le formule apparentemente
innovative, come «legittima difesa,
ingerenza umanitaria, ecc.», senza
i suddetti chiarimenti vengono
strumentalizzate per giustificare
qualsiasi guerra, come afferma il moralista
Enrico Chiavacci: «In pratica,
qualunque causa, giusta o ingiusta, è
potuta entrare in questo schema e il
clero ha sempre pregato per la vittoria
del proprio glorioso esercito».
È ora di voltare pagina e tornare,
senza compromessi, alla
nonviolenza evangelica
dei primi secoli della chiesa.

Angelo Cavagna

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