Cattolici e ortodossi in Russia

Cari missionari,
c’è forte tensione in Russia
fra i pochi cattolici e i
tanti ortodossi. Come ha
ricordato anche Missioni
Consolata, il 15 aprile a
don Stefano Caprio, parroco
delle comunità cattoliche
di Vladimir e Ivanoso,
è stato tolto il visto
russo senza alcuna spiegazione.
Un caso personale?
«Molto probabilmente no
– ha risposto la rivista La
nuova Europa, maggio
2002 -, se qualche giorno
dopo, il 19 aprile, addirittura
il vescovo di Irkutsk,
monsignor Masur, si è visto
sbarrare la strada per
la Russia (stava rientrando
dalla Polonia)»…
Insomma il fuoco anticattolico
(mai sopito) è
nuovamente esploso.
Detto questo, ho trovato
davvero «strana» la richiesta
di rettifica rivolta
alla vostra rivista, colpevole
di mancare di rispetto
alla situazione ecclesiale
e sociale del grande
paese di Putin e Alessio II
(cfr. Missioni Consolata,
gennaio 2002).
Quale conclusione trarre?
Che in Russia la stagione
dell’ecumenismo è
finita?
Grazia Micheli
Bologna

Ci ostiniamo a credere
che «la stagione dell’ecumenismo
» non sia finita
in Russia, pur tra gravi
difficoltà.
Quanto al nostro reportage
dalla Russia, esso
conteneva un errore geografico
e un’imprecisione
circa una diocesi italiana.
Per il resto, l’articolo era
suffragato da fatti e testimonianze
personali inoppugnabili.

Grazia Micheli




Bisogno di profezia

Cari missionari,
da diversi mesi leggo Missioni
Consolata. Non posso
che condividere la sua
linea, che chiamo di «profezia
», se profezia significa,
qui e ora, prendere sul
serio il proprio tempo con
atteggiamenti chiari e coraggiosi.
Mi sto convincendo che,
nella chiesa d’oggi, i migliori
cattolici italiani sono
i missionari. I missionari
«danno fastidio» e
trovano poco spazio nelle
tivù e sui giornali.
Il mio auspicio è che
continuiate in questa direzione,
con un orecchio teso
anche alla situazione italiana.
Il Concilio ecumenico
Vaticano II, 37 anni
fa, non ha fatto una dichiarazione
puramente
teorica o diplomatica
quando ha dichiarato: «Le
giornie e le speranze, le tristezze
e le angosce degli
uomini d’oggi, dei poveri
soprattutto e di tutti coloro
che soffrono, sono pure
le giornie e le speranze, le
tristezze e le angosce dei
discepoli di Cristo, e nulla
vi è di genuinamente umano
che non trovi eco nel
loro cuore» (Gaudium et
spes 1). Soprattutto voi,
missionari, in questi anni
testimoniate questo, pagando
di persona (nonostante
critiche e dissensi).
Su Missioni Consolata di
maggio ho apprezzato
molto gli articoli:
– «Sempre bugie, ancora
bugie» («La guerra afghana
è stata una grande,
drammatica terribile cortina
fumogena per nascondere
le responsabilità degli
Stati Uniti»);
– «Mutilazioni genitali
femminili / Ferite per
sempre» (un servizio che
scandaglia una brutale tematica,
scritto con completezza
e precisione);
– «L’ultimo volo di Maria
Marta» (come sopra);
– «Che il vino non diventi
acqua» (mi ha colpito la
frase: «Sono finiti i tempi
in cui bastava raccontare
la storia del moretto. Oggi
la gente vuole conoscere i
perché delle tragedie che
assillano il sud del mondo;
vuole sapere quali e di chi
sono le responsabilità dei
disastri umanitari»)…
Ambrogio Vismara
Cuggiono (MI)

Profezia è pure cogliere
«i segni dei tempi», anticipando
il futuro. E, date
le tristezze e angosce (di
cui parla il Concilio ecumenico),
profezia è ancora
consolazione. «Consolate,
consolate il mio popolo
– dice Dio -. Parlate
al cuore (della gente) e
gridatele che la sua schiavitù
è finita» (Is 40, 1-2).

Ambrogio Vismara




Condiscendenti verso la prostituzione?

Cari missionari,
rieccomi per l’ennesima
puntualizzazione. Sicuramente
la vista della mia
grafia non vi entusiasma.
Scusatemi… Ma l’articolo
«Quasi mai ragazze, quasi
sempre vittime» di Missioni
Consolata (aprile
2002) mi ha lasciata perplessa.
D’accordo nel non criminalizzare
la tenutaria
peruviana della casa di
prostituzione, vittima prima
di essere colpevole. Se
ne parla, però, come di una
persona che svolge la
sua attività con professionalità,
rigore, attenzione
ai «diritti» delle «dipendenti
»: sembra quasi che
sia una benemerita.
Poi non è affatto chiaro
nell’articolo che la prostituzione,
per quanto garantita
e protetta, sia
quanto di più degradante
possa fare una donna, oltre
ad essere un grave peccato,
sempre. Pare invece
che l’attività, esercitata
così, sia accettabile. E
non si dice che è un male
evitabile, non ineluttabile;
non si dice che la ragione
e la volontà possono controllare
le pulsioni.
D’accordo: quelle persone
vivono in ambienti moralmente
degradati. Ma
non sarebbe meglio fare opera
di educazione e prevenzione?
O siamo nell’ottica
delle «case di tolleranza
», inevitabili come le
catastrofi naturali? Crediamo
o non crediamo che
l’uomo, redento da Gesù
Cristo, non è una bestia?
Occorre solo educarlo.
Mi sembra, infine, che
nell’articolo pubblicato ci
sia una velata condiscendenza
verso «un’attività
ben regolamentata». Mi
auguro di aver frainteso.
Giulia Guerci
Castellazzo (AL)

Signora Giulia, lei è tra
le poche persone che ancora
scrivono ricorrendo
alla penna. La sua è una
grafia chiara, elegante,
che desta ammirazione.
Il tema «prostituzione»
non ci vede affatto condiscendenti.
Non lo siamo
neppure considerando le
«attenuanti sociali» presenti
nei paesi del sud del
mondo. «La denuncia del
fenomeno – scriviamo nel
sommario dell’articolo citato
– è scontata quanto
necessaria».
È il «mestiere» più vecchio
del mondo, perché
non sono mai mancati i
«clienti». Tutti lo dicono,
ma non tutti ne tirano le
debite conseguenze.

Giulia Guerci




RACCONTARE TUTTO PER FILO E PER SEGNO?

Sono una studentessa di Scienze
politiche della facoltà di Torino.
Leggo la vostra rivista da
tempo; mia madre è abbonata da
anni e abbiamo avuto missionari
anche nella nostra famiglia.
Ogni volta rimango sorpresa
dalla chiarezza, dalla cura, dalla
oggettività, dalla profondità con
cui componete il giornale. Purtroppo
siete fra i pochi in questa
realtà italiana e anche mondiale a
dire veramente in quale misero
stato versa il mondo.
Ho in mente soprattutto il dossier
«Ferite per sempre» di ANGELA
LANO. Non ho mai, mai letto da nessuna
parte una pubblicazione così
cruda, reale e obiettiva del problema
dell’ infibulazione.
Allora complimenti a tutti voi!
E grazie.
PAOLA BIZZARRI – TORINO

PAOLA BIZZARRI




RACCONTARE TUTTO PER FILO E PER SEGNO?

Reverendo padre, ho 72 anni.
Ricevo la rivista Missioni Consolata,
ne sono affezionata e
vi ringrazio per il bene che fate all’umanità.
Vi amo da una vita. Parlo
così, perché ho anche trascorso
parte della mia gioventù accanto
al vostro istituto.
Ma veniamo al «dunque» della
mia lettera. Sono piuttosto istintiva:
quello che mi colpisce devo estearlo.
Il mio pensiero va a ciò
che ho letto sul dossier di maggio:
«Mutilazioni genitali femminili.
Ferite per sempre». Era proprio necessario
raccontare ogni particolare
per filo e per segno?
Gente mia, occorre prudenza, su
tutto! Ciò che si scrive rimane, sì,
sulla carta per sensibilizzare… ma
noi (che forse non siamo all’altezza
di interpretare giustamente le
notizie) possiamo restare scioccati,
specialmente di fronte ai problemi
descritti in modo troppo specifico.
Una volta gli scandali non si dovevano
palesare a nessuno, eppure
c’erano… Oggi le cose sono cambiate
e si può dire tutto: pedofilia,
omosessualità… Anche il Vaticano
non è da meno nel mettere in evidenza
certi scandali.
Caro padre, vuole il mio parere?
Se sì, eccolo. Forse il tema delle
«mutilazioni genitali femminili»
si presta per un documentario,
ben preparato e con storie raccontate
dalle interessate, presentato
sui canali televisivi (magari ad
un’ora tarda della notte), con la
possibilità di intervenire in diretta
e aprire un dialogo. Sarà forse
possibile ascoltare anche i modi adatti
per capire come certi usi e
costumi potranno scomparire nel
tempo.
Più che uno sfogo, caro padre,
vorrei che lo prendesse come un
consiglio. Dello stesso parere sono
pure alcune mie conoscenti, in
quanto faccio girare Missioni Consolata.
Risentiamo di un ambiente
troppo chiuso e riservato? Forse.
Tuttavia ritengo che non si devono
sbandierare apertamente
certi comportamenti della natura.
Sono cose delicate. Purtroppo sono
una realtà per chi vive in alcuni
paesi. Noi, direttamente, non
possiamo farci niente. Non credo
che basti sensibilizzare: anche
perché non penso che, facendo girare
sui giornali tutti i particolari
di alcuni usi e costumi, faccia piacere
a quei popoli.
Parlae in generale è giusto.
Ma è bene usare riservatezza, pudore,
modestia. E il fatto lo si capisce
ugualmente; inoltre è meglio
accettato, perché presentato con
«leggerezza».
Se io le dicessi: «Mia madre
morì di parto a soli 25 anni e mi
lasciò orfana a due anni, lei rimarrebbe
indifferente». Tutt’al più direbbe:
«Poverina!». È una notizia
qualsiasi. Se le raccontassi che fu
una fine tremenda (che nessuno
ha mai saputo), la cosa cambierebbe?
No. Siccome solo io so la
verità, ho pensato di vivere il fatto
rifuggendo dallo sbandierare
tutto in pubblico in termini scabrosi.
Mi scuso di queste righe, padre.
Ne faccia quello che vuole, liberamente.
Però tenga conto dell’essenziale…
Vi faccio i complimenti
per la vostra perseveranza. Anch’io
cerco di fare il bene, senza vergognarmi,
in mezzo a quelli che non
lo fanno.
CHERUBINA LORUSSO – MILANO

Grazie, signora Cherubina, dell’affettuoso
invito alla prudenza,
specie quando si affrontano temi
scabrosi e drammatici. Le mutilazioni
genitali femminili lo sono.
La rivista accennò al tema nel
1996. Allora la «persecuzione» infieriva
su 80 milioni di donne: una
cifra enorme. Oggi sono 130 milioni.
Che fare?
La collaboratrice Angela Lano ci
ha consegnato un dossier, solo con
testimonianze dirette. «L’ho scritto
con l’angoscia nel cuore» ci ha
confidato. Poi abbiamo sottoposto
lo scritto a diverse signore (non
giovani), rimaste inorridite. Però
hanno aggiunto: «È un tabù che bisogna
infrangere!»… Per «alleggerire
il peso», abbiamo scelto dei disegni
come foto.
Certamente la sola informazione
non basta a superare un costume
atavico, discutibile. Ma giova
il silenzio?… Un tempo i portatori
di handicap venivano nascosti,
perché ritenuti un disonore. Oggi
vanno a scuola e in chiesa, salgono
sui treni e gareggiano alle olimpiadi.
Qualcosa è mutato, dopo
avee parlato.
Fino a ieri, fra le pareti domestiche,
si sono consumati incesti e
atti di pedofilia con… «guai a te se
parli!». Al presente qualcuno parla.
Speriamo che lo faccia con spirito
costruttivo, e non per incuriosire
in modo morboso.
È in tale ottica che va letto «Ferite
per sempre». Una grave violazione
dei diritti della persona.

CHERUBINA LORUSSO




I MUSULMANI? CHE TORNINO A CASA LORO!

Leggo su Missioni Consolata la corrispondenza dei
lettori e trovo, in generale, odio per la globalizzazione
e odio verso i nordamericani. La lingua è
marchiata e si parla a vanvera!… Però, quando succedono
terremoti e distruzioni, è molto comodo ricevere
coperte, medicine e alimenti. E se non ci fosse
chi li produce? Inoltre è troppo complicato ciò che
tanti scrivono: si capisce poco! Benedetto Padre Pio
che scriveva semplice e chiaro! Ed era di una intelligenza
straordinaria. Trovo che anche i preti e i missionari
siano complicati, anche se non tutti. Per favore,
scrivete più semplice! Ritengo, inoltre, che tante
lettere contengano delle contraddizioni.
Riguardo alla lettera, intitolata «I “puntini” sui
musulmani» (Missioni Consolata, aprile 2002), dico:
lasciamoli stare i musulmani. Rispettiamoli, e non
facciamo confronti con i cattolici (cattolici veri e non
quelli solo di nome).
I musulmani sono superbi e ignoranti, trattano
malissimo le donne e sono falsi. Penso che Dio abbia
voluto far nascere Gesù da Maria, proprio per fare
rispettare le donne, mentre i musulmani le sfregiano…
E quelle maestre che levano il crocifisso dalle
scuole… sono state soggiogate dai musulmani;
oppure li hanno sposati e, quindi, devono obbedire.
Che tornino a casa loro! Fuori del loro ambiente,
rovinano solo il mondo. Sono crudeli, tagliano le mani
ai ladri, e chi le taglia chi sa quanto egli stesso ha
rubato! Se si può, aiutiamo i musulmani a capire; altrimenti,
che vadano a farsi benedire! Pregano più
di noi? Non vale nulla, se non diventano più umani.
Anni fa un musulmano, vicino di casa, cercò di insegnarmi
la sua religione e convincermi delle sue idee.
Tra l’altro mi domandò: «Come può Gesù essere
figlio di Dio… se questi non ha moglie?». Risposi:
«Dio ha creato il mondo e tutti noi, e può certo
aver fatto nascere Gesù Cristo da Maria».
Grazie a Dio, se n’è andato via!
MARIA C

Odio verso la globalizzazione e i nordamericani? No,
bensì «critica costruttiva», anche verso i sistemi politico-
culturali degli africani, dei sudamericani, degli asiatici,
degli australiani.
A proposito di contraddizioni… Come si possono rispettare
i musulmani se si giudicano superbi, ignoranti,
falsi, crudeli?
Che restino a casa loro! Impossibile. Nessun popolo
l’ha fatto. Quanti emigrati italiani vivono in Canada?
Maestre soggiogate? Forse. L’intimidazione psicoreligiosa
lede la dignità della persona.
Articoli e lettere con un linguaggio più comprensibile?
D’accordo al 100 per cento. I nostri lettori e collaboratori
sono avvisati. A tutti grazie!
Sulla globalizzazione e sul rapporto cristiani-musulmani
(e non solo), è significativo quanto ci ha
scritto il vescovo di Treviso PAOLO MAGNANI.
«È nata la proposta di sensibilizzare la nostra chiesa
diocesana anche attorno alle nuove sfide della
globalizzazione, compresa quella del dialogo interreligioso
e dell’annuncio di Cristo ai musulmani…
Abbiamo maturato una nuova consapevolezza delle
relazioni tra musulmani e cristiani e sul significato
del terrorismo e di ogni violenza. Abbiamo fatto un
incontro con loro, confrontandoci soprattutto nel
dialogo e nella preghiera.
L’arrivo tra noi di immigrati da diverse parti del
mondo ci avvia a nuove relazioni umane e religiose,
da coltivare e da tradurre nello stile della prossimità
verso gli emarginati e gli esclusi».

MARIA C. – MONTREAL (CANADA)




NON DI SOLO CALCIO

Giugno 2002 passerà alla storia per i
goals di Ronaldo, che hanno laureato il
Brasile pentacampione mondiale di futebol.
Nell’euforia si è esclamato: «Ora anche
Dio è brasileiro!».
A noi, tuttavia, preme ricordare due altri eventi:
il Vertice mondiale sull’alimentazione, svoltosi
a Roma il 10-13 giugno presso la Fao, e il
Summit dei G 8 sulle Montagne Rocciose del
Canada dal 26 al 28 giugno. Incontri apertisi tra
perplessità e conclusisi nella delusione.
Idubbi sul vertice di Roma avevano un fondamento:
primo, perché la Fao è un’agenzia delle
Nazioni Unite che, mentre lotta contro la
povertà nel mondo, spende ogni anno 500 milioni
di euro per mantenere i propri apparati burocratici;
secondo, perché promette di sanare la
piaga di 800 milioni di affamati… a parole,
esattamente come nel vertice del 1996.
Accanto (o in contrapposizione) al vertice
Fao, se n’è svolto un altro con 2.000 delegati
di Organizzazioni non governative
(Ong), impegnate nel Sud del mondo. Nel
documento finale hanno osservato che il
piano della Fao del 1996 «è fallito… perché
si è basato su politiche che incentivavano
la fame nel mondo e la liberalizzazione
economica». L’errore è stato di «avere
forzato i mercati al dumping [con prezzi
stracciati, inferiori persino al costo
di produzione, per vincere la concorrenza],
alla privatizzazione di terreni
e risorse pubbliche: acqua, foreste,
aree di pesca». Inoltre c’è stata la
repressione di movimenti sociali.
Per le Ong la via di uscita è la
«sovranità alimentare»: ossia il
diritto dei popoli ad autodefinire
le proprie politiche produttive,
abbattendo la concentrazione di
proprietà, riconoscendo il ruolo
delle donne, investendo a favore
di piccoli produttori. Ma, per questo,
urgono riforme agrarie, l’esclusione
dell’Organizzazione mondiale
del commercio dalle politiche agricole, la moratoria
sugli organismi geneticamente modificati
(omg).
Il Summit in Canada è stato definito da Silvio
Berlusconi «un vertice concreto» con un piano
di azione per l’Africa povera. Ma, secondo
Sergio Marelli (direttore di 56 movimenti di volontariato
internazionale di ispirazione cristiana),
si tratta di un piano di inazione. Per dimezzare la
povertà entro il 2025, servono ogni anno 54 miliardi
di dollari: lo sostiene la Banca Mondiale,
mentre i G 8 si sono impegnati con 12 miliardi di
dollari: troppo poco rispetto ai 300 miliardi di debito
estero dell’Africa. Né si profila un piano di
aiuti, pari allo 0,7% del prodotto interno lordo,
da parte dei paesi ricchi a favore di quelli poveri.
Questi, nell’ultimo decennio, hanno aumentato
le esportazioni del 40%, vedendone però diminuire
il valore del 30%.
I leaders africani chiedono una collaborazione
collettiva, forte e responsabile, mentre i G 8
sembrano selezionare i paesi da soccorrere,
senza investirvi risorse. Il presidente del
Sudafrica, Thabo Mbeki, ha fatto buon viso a
cattiva sorte, affermando: «Il piano dei G
8 per l’Africa non è che il punto di partenza.
Però la forza non sta nelle risposte
che essi daranno, bensì nella convinzione
con cui gli africani si assumeranno la responsabilità
diretta di fare decollare
il continente».
E che dire dei milioni e milioni
di morti, uccisi da guerre? Al
riguardo, Berlusconi ha ricordato
che l’Africa è arretrata
anche per i conflitti armati.
Verissimo.
Ma, allora, come si può accettare
che, alla Camera dei
deputati italiani, la maggioranza
abbia approvato la
riforma della legge 185/94,
che allarga le maglie del traffico
di armi in Africa?

FRANCESCO BERNARDI