POCHI DOLLARI PER TANTI DIRITTI

Torino / Incontro con Beatrice A. de Carrillo (El Salvador)
Italiana e salvadoregna, è procuratore per la difesa
dei diritti umani: una figura istituzionale con un
compito delicato. L’intervistata affronta pure altri
temi cruciali: globalizzazione economica e azione
della chiesa, i «casi» Argentina e Venezuela,
guerriglie, «campagne» di pressione in Italia…

Dottoressa Carrillo, lei è procuratore
per i diritti umani in El
Salvador. Come è avvenuta la
nomina?
Ho avuto la soddisfazione di essere
eletta con 85 voti su 86. C’è stata
una sola astensione. Per la mia nomina
a procuratore si è dovuta modificare
la costituzione nazionale.

Come procuratore, che cosa può
dire sui diritti umani in El Salvador?
L’ufficio di procuratore è importante
e delicato; è previsto dalla costituzione
ed è sorto in seguito agli accordi
di pace del 1992. Il procuratore è il
simbolo del nuovo corso nel paese. Negli
ultimi 10 anni si sono avuti tre procuratori;
l’ultimo è stato destituito dal
parlamento.

Illustri meglio il suo compito.
Il compito è simile a quello, in Europa,
del presidente della corte costituzionale
e del procuratore della repubblica.
Controlla lo stato circa eventuali
violazioni dei diritti umani ad
ogni livello: parlamento, magistratura,
finanza, fisco. Il procuratore ha il
potere di sanzionare lo stesso presidente
della repubblica (mi è già toccato
di emettere sentenze di questo
genere); gode di immunità e solo il
parlamento lo può destituire, dopo un
severo esame. Il procuratore esercita
un superpotere, con 14 funzioni sul
«pubblico» e sul «privato».
In nessun paese dell’America Latina
il procuratore per i diritti umani ha
un potere così vasto come in El Salvador.

Certamente lei si avvale di collaboratori.
Il suo potere è delegabile
a qualcuno di loro?
I collaboratori sono 400. Però la
mia responsabilità non è delegabile:
ogni atto deve essere firmato dalla
sottoscritta. Oggi, mentre sono in Italia,
un collaboratore mi rappresenta
nel campo amministrativo per gli atti
di routine; ma non può firmare alcuna
sentenza senza il mio permesso.

Lei, italiana, come ha potuto
accedere ad una carica così rilevante?
Io sono anche cittadina salvadoregna
e opero nel paese da circa 30 anni.
El Salvador è la mia seconda patria.

El Salvador, dopo gli accordi di
pace del 1992, si è lasciato alle
spalle drammi terribili, che riguardano
proprio la violazione
dei diritti umani. Oggi quali
sono gli ambiti cruciali in cui
lei interviene?
Gli ambiti si riferiscono ai diritti violati
durante l’ultima generazione: i diritti
dei lavoratori, il diritto alla salute,
all’educazione. Recentemente si sono
registrati 8 mila licenziamenti nel
settore pubblico. E non parliamo dell’impresa
privata! Dal 1999 si sono
avuti 15 mila licenziamenti. La gente
ricorre al procuratore perché la difenda
e l’aiuti a riavere il lavoro. Lo scontro
con lo stato è duro e inevitabile,
quando viola i diritti. Le sentenze vengono
inviate alle Nazioni Unite e sono
conosciute in tutto il mondo.
Per il governo io sono una figura
scomoda, perché mostro l’altra faccia
della medaglia.

Lei è autonoma dal governo,
ma non dal parlamento. E chi
le paga il salario?
Il procuratore prescinde dal governo
anche per la retribuzione economica,
che, secondo la costituzione,
dovrebbe essere stabilita dal parlamento.
Ebbene finora non è stato così.
Allora il ministro dell’economia mi
concede uno stipendio di mille dollari
al mese.
Non è molto per un procuratore
della repubblica!
Forse è più esatto dire che è… poco!
Però ci si consola con il «mal comune
mezzo gaudio». Infatti anche i
miei collaboratori non percepiscono
lauti stipendi: una segretaria guadagna
300-400 dollari al mese, mentre
un avvocato, addetto alle denunce,
deve accontentarsi di 500. Con un simile
trattamento, si può ipotizzare
una persecuzione verso la procura.
La mancanza di fondi ci impedisce
di fare delle pubblicazioni, di emettere
comunicati-stampa; e siamo quasi
costretti a misurare con il contagocce
la benzina delle auto a disposizione.
Se c’è un guasto meccanico, i guai sono
seri. Tuttavia, pur nelle difficoltà,
si lavora. Mi sono imposta di risolvere
alcuni casi gravissimi del passato, che
i miei predecessori non hanno avuto il
coraggio di affrontare.

Per esempio?
Per esempio, il caso che risale al 24
marzo 1982, quando fu ucciso l’arcivescovo
Oscar Romero durante la celebrazione
della messa. Ho emesso la
sentenza, che è stata diffusa in tutto
il mondo. Abbiamo avuto l’appoggio e
la stima di molti, ma anche minacce.

Minacce di vita? E da chi?
Sì, minacce di vita. Le più forti le ho
avute nel dicembre scorso: due individui
sono venuti nel mio ufficio per raccontare
«i dettagli di una eventuale
procedura»… Si fa di tutto per destabilizzare
la procura dello stato; poi, se
non si riesce ad intimorire, si giunge
alla diffamazione personale; infine alle persecuzioni fisiche con incidenti
d’auto provocati, sequestri di persona.
In questi giorni, mentre sono fuori
del paese, sono avvenute cose gravi,
che i collaboratori mi hanno segnalato.
Al ritorno in El Salvador mi aspettano
fatti preoccupanti.

Passata la guerra civile degli
anni ’80, quale posto occupa
oggi El Salvador nel campo dei
diritti umani?
Il paese è senz’altro molto migliorato
rispetto agli anni ‘70-80. Forse…
la guerra è servita. Il sacrificio di tanti
è valso la pena, perché ha accelerato
i tempi della rinascita. Oggi in El
Salvador esiste una democrazia stabile;
opera una polizia che, pur con i limiti,
non è la guardia nazionale di un
tempo. Non esistono torture, né desaparecidos.

E il problema dei ricchi sempre
più ricchi, a scapito dei poveri
sempre più poveri?
Questo è un problema aperto. Tuttavia
la causa non è solo dell’élite locale,
quanto di una politica mondiale
che influisce in termini negativi. In
una nazione piccola come El Salvador
l’impatto è molto grave: le politiche
dettate dalla Banca Mondiale e da altri
organismi inteazionali obbligano
il paese a certe politiche piuttosto
che ad altre. Inoltre nel partito al potere
operano uomini d’affari e banchieri
che cercano i propri interessi.

Impera la globalizzazione economica,
rispetto alla quale non
ci sarebbe alternativa. O c’è?
Ci sarebbe: basterebbe attuare politiche
che si avvicinino maggiormente
al modello di uno «sviluppo sostenibile
», che è il punto chiave delle Nazioni
Unite. Oggi però questo discorso
non è più di «moda». Si è imposto un
capitalismo selvaggio, secondo il quale
lo sviluppo del terzo mondo si raggiunge
quando il primo mondo gode
di una sovrabbondanza di ricchezza.
Il che è assurdo.
Di fronte alla sfida della globalizzazione,
il Centro America è svantaggiato,
perché diviso. I singoli piccoli
paesi non riescono a negoziare con i
grandi attori della mondializzazione.
Invece, se nascesse un’area centroamericana
simile all’Unione Europea,
con capacità autonoma di decisione
politica, i vari paesi sarebbero più in
grado di difendersi.

In America Latina l’opposizione
politica è espressa anche da
guerriglie: è il caso della Colombia
o del Perù. È avvenuto
in El Salvador. Ma i guerriglieri
hanno fatto il loro tempo?
Credo di sì. Però la guerriglia salvadoregna
non è da paragonarsi a quella
colombiana o peruviana; queste manifestano
elementi che le rendono più
discutibili, anche eticamente. La nostra
guerriglia è stata un vero esercito
di liberazione, forse il meglio costituito,
il più etico in America Latina. La
guerriglia in Colombia o Perù è più controversa.
Ciò che avviene oggi in America Latina
è preoccupante: si distrugge il sistema
statale democratico; lo si vede
in Venezuela, Argentina e Colombia.
Così si favorisce la politica di «sicurezza nazionale» degli Stati
Uniti, che sono diventati
molto più aggressivi
dopo l’«11 settembre».
Le violazioni del diritto
delle persone avvengono
con sistemi persecutori
e controlli che allontanano
i progressi
raggiunti.

Signora Carillo, lei
ha accennato al Venezuela
e all’Argentina,
due paesi «esplosi
». Esplosi per ragioni
economiche o sociali?
Circa il Venezuela, sono
contenta che si sia ristabilito il
governo costituzionale di Hugo
Chavez: come procuratore per i diritti
umani gli ho dato l’appoggio totale,
anche se il presidente di El Salvador ha
commesso l’errore diplomatico di sostenere
il governo del colpo di stato,
subito fallito. Chavez è «un presidente
dei poveri»; quindi il colpo è stato
fatto dalla finanza, dall’industria, dai
mezzi di comunicazione… Sono però
contenta di vedere che il sistema dei
colpi di stato di un tempo non funziona
più, e mi fa piacere che la OEA (Organizzazione
degli stati americani,
che comprende anche gli Stati Uniti)
si è subito schierata con Chavez.
Quanto alla crisi argentina, essa è
frutto delle pessime politiche
dei governanti: si pensi
alla corruzione, al debito
estero… È stata
una grave violazione
dei diritti umani l’avere
congelato
nelle banche i risparmi
degli argentini.
La Federazione
in-
teazionale delle procure l’ha denunciato.

Di fronte agli abusi dei diritti
umani in America Latina (verso
gli indios del Brasile, ad esempio),
che senso hanno le campagne
di mobilitazione in Italia?
Non credo che il governo del Brasile
si impressioni molto. Bisogna lavorare
in modo più serio, denunciando gli
abusi ai procuratori del Brasile. Ci si
può rivolgere alla OEA, alla Corte interamericana
per i diritti umani (è il Tribunale
del continente americano, molto
potente). C’è la Commissione dei diritti
umani, che è il primo scalino per
accedere al Tribunale con sede in Costa
Rica e a Washington. Le «campagne
» in Italia per i diritti umani in
America Latina lasciano il tempo che
trovano, se non coinvolgono gli organismi
giusti.
Ricordo in El Salvador cinque senatori
italiani, in viaggio verso Cuba per
perorare la causa di due salvadoregni
condannati a morte quali autori di un
attentato a Fidel Castro, durante il
quale morirono pure due italiani. I senatori
speravano nel sostegno del governo
di El Salvador. Fu un fiasco.
Però oggi a El Salvador conviene dimostrare
al mondo che Castro viola i
diritti umani; quindi mi ha incaricata
di fare qualcosa in favore dei due salvadoregni
tuttora in carcere a Cuba.
E lei può fare qualcosa?
Sì, perché il mio compito è internazionale.
Il bello dei diritti è che non
hanno frontiere. Io mi occupo di tutti
i salvadoregni nel mondo.

Qual è la situazione dei salvadoregni
in Italia?
Sono numerosi: oltre 15 mila a Torino
e 50 mila a Milano… Fra i latinoamericani,
i salvadoregni sono i più
stimati: ottimi lavoratori, non coinvolti
in problemi di droga o altro. Fanno
veramente onore alla loro patria.

Chi è?Beatrice A. Carrillo
– Avvocato, docente universitario e procuratore
per la difesa dei diritti umani, Beatrice Alamanni
de Carrillo è nata a Torino.
Dal 1968 vive in El Salvador. È sposata con il salvadoregno
Juan Antonio Carrillo Estrada, ingegnere
elettronico, laureatosi al Politecnico di Torino.
La coppia ha tre figli.
– Ha insegnato diritto pubblico, filosofico e costituzionale
in vari atenei: Universidad de El Salvador,
Universidad Centroamericana, Universidad Tecnologica.
Ha fondato e diretto la facoltà di scienze giuridiche
dell’Universidad Centroamericana.
– Esperta nell’elaborare progetti legislativi riguardanti
i diritti umani in genere, quelli degli emigrati,
della famiglia, della donna, affrontando anche la
violenza fra le pareti domestiche. Consulente nell’Organizzazione
internazionale dell’emigrazione.
È autrice di numerosi saggi sui temi suddetti. Fondatrice
della rivista IDHI-Realidad, rivista di carattere
sociale, politico e giuridico.
– 1975-1978: opera a Monaco (Germania) quale
consulente e investigatrice sulla condizione degli
emigrati latinoamericani, in particolare delle donne.
– 1979-1998: svolge attività accademica e sociale
in El Salvador con frequenti viaggi all’estero.
– 1999 ad oggi: è procuratrice per la difesa dei diritti
umani.

DAVANTI AL LA STATUA
DEL MARTIRE ROMERO

Signora Carrillo, lei è cattolica praticante e insegna pure all’università
dell’America Centrale (Uca), dove è stata amica e collega dei
sei gesuiti uccisi nel 1989 dagli «squadroni della morte». La chiesa cattolica,
ieri all’avanguardia nella difesa dei diritti umani (specialmente
in favore dei poveri), lo è tutt’oggi?
In America Latina la teologia della liberazione è passata di moda
a livello di informazione, diffusione e pratica. Credo che questo
dipenda dalla Santa Sede. Ci sono ancora comunità di base e
non mancano vescovi impegnati, però con meno grinta rispetto agli
anni ’70-80. L’attuale arcivescovo di San Salvador, Saenz Lacalle,
appartiene ad una corrente moderata.
Lei, come procuratore, ha chiesto allo stato di El Salvador di riaprire
il caso dell’assassinio di monsignor Romero. La chiesa come ha
accolto il suo intervento?
Bene. Ho partecipato con monsignor Lacalle alla celebrazione
durante la quale ha scoperto una statua di Romero in una piazza:
ero l’unica persona laica invitata, anche come autorità dello stato.
L’arcivescovo l’ha fatto anche per proteggermi dalle minacce
che ricevo… Stimo molto monsignor Lacalle: è corretto e sa mettere,
con prudenza e abilità, il dito sulle piaghe sociali. Per esempio:
quando ho notificato la lesione dei diritti umani in vari licenziamenti
di lavoratori, mi ha sostenuto nella denuncia.
Quale aria si respira oggi all’università cattolica «Uca»?
Si avverte la mancanza dei professori uccisi nel 1989: padre
Ignazio Ellacuria e i suoi compagni. C’è un vuoto anche teologico.
D’altro canto, le chiese storiche protestanti (in modo particolare
quella luterana) sono molto attive, anche perché ricevono molti
aiuti dagli Stati Uniti e dalla Germania. Hanno assunto una posizione
coraggiosa in termini socio-politici.

Scheda
Superficie: 21.041 kmq.
Popolazione: circa 6 milioni.
Capitale: San Salvador.
Lingua: spagnolo e lingue amerinde.

Gruppi etnici: meticci (89%), amerindi (10%).
Religione: cattolici (74%), protestanti (7,4%), altre fedi
(18%).
Indicatori economici: reddito pro capite annuo $ 1.850;
disoccupazione 7,8%; esportazioni $ 2.738 milioni; importazioni
$ 4.239 milioni; debito estero $ 3.633 milioni;
servizio del debito 10,4% delle esportazioni; aiuti
dall’estero $ 294 milioni; inflazione 8,9%.
Il 48% della popolazione soffre di povertà assoluta.
(I dati si riferiscono al 1998).
Colonia spagnola, El Salvador diviene indipendente nel
1841. Nel 1979 scoppia la guerra civile, che si conclude
il 16 gennaio 1992 con gli Accordi di pace tra il governo
e i guerriglieri del Fronte Farabundo Martí. Costo
del conflitto: 75 mila morti, 8 mila desaparecidos, 1 milione
di profughi.

Alcuni eventi significativi:
– 24 marzo 1980: assassinio dell’arcivescovo Oscar A.
Romero; mandante del delitto è Roberto d’Aubuisson,
esponente militare dell’estrema destra (Arena).
– 25 marzo 1984: è eletto presidente Napoleón Duarte;
le elezioni sono boicottate dai movimenti di sinistra
con un’astensione del 51%.
– 16 novembre 1989: uccisione di sei gesuiti all’università
«Uca». Secondo la Commissione dei diritti umani
(non governativa), tante donne (specie studentesse e
sindacaliste) sono colpite dalla repressione politica.
– 15 febbraio 1993: dopo gli Accordi di pace del 1992,
gli ultimi guerriglieri consegnano le armi; secondo gli osservatori
dell’Onu, la violenza non cessa con gli Accordi.
– 1997: sorge la Commissione per la «memoria storica»,
che indaga sulla scomparsa di oltre 8 mila persone nel
1975-91; sono implicati numerosi militari.
– 7 marzo 1999: Francisco Flores, del partito Arena, è
eletto presidente e capo del governo (è tuttora in carica).
In parlamento, dopo le elezioni del 2000, prevalgono
il Fronte Farabundo Martí con 31 seggi e l’Arena
con 29.
– gennaio 2001: un terremoto provoca 700 morti, 4 mila
feriti e oltre 1 milione di senzatetto;
– maggio 2002: il governo si impegna a fornire più di
1 milione di libri alle 2.500 biblioteche del paese, per
promuovere la lettura tra i bambini e gli adolescenti.

Francesco Beardi

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