Quell’«insalata mista»

Spettabile redazione,
ho letto su Missioni Consolata
dello scorso dicembre
di quel don Pietro che,
se è vero, ha lasciato fare a
due «bravi ragazzi» un
presepio in cui hanno
completamente falsato la
santa verità dell’anniversario
della nascita di Gesù,
dandogli come genitori
Fatima e Francesco!!!
Per piacere, i sacerdoti
educhino i loro giovani
parrocchiani a rispettare
le verità del Nuovo Testamento,
senza giocarci con
cervellotici arrangiamenti.
E, invece di benedire un
buonismo di dialogo interreligioso
(di cui non compare
traccia negli insegnamenti
del divino maestro),
propongano sì l’affetto
verso i fratelli non cristiani,
ma questo sia volto ad
aprire i loro occhi alla verità
e non a fare «insalate
miste» fra le religioni.
O – lo ripeto – si è persa
per strada la parola di Gesù
«andate e predicate al
mondo la buona novella»?
Non mi pare che il Salvatore
abbia detto di dialogare
coi sacerdoti di Iside
e Osiride!
Inoltre, nella bella pensata
del presepio, c’è pure
un errore storico: come
può Fatima convertirsi al
cristianesimo con Gesù
ancora in culla e Maometto
lontano 622 anni?… O
volevano far nascere Gesù
nel 2001 coi re magi in
jeep?
Non si dica che certi atteggiamenti
sono pieni di
buone intenzioni, perché
si sa che di queste è lastricata
la via dell’inferno. E
se il re Davide danzava davanti
all’arca dell’alleanza,
non è una buona ragione
per cantare al presepio filastrocche
da fiera paesana.
Scherza coi fanti e lascia
stare i santi.

Oggi, non raramente, il
linguaggio è o astruso o
volgare; nel primo caso ci
rimette la comprensibilità
e, nel secondo, la serietà.
Però il problema di una
comunicazione efficace
ed incisiva «oggi» perdura,
specialmente quando
si vuole trasmettere non
solo «un» messaggio, ma
«la» verità che libera,
converte e consola.
La questione coinvolse
lo stesso Gesù. Egli, per
essere convincente, ricorse
alle parabole, cioè ad
esempi, immagini, allegorie,
non sempre riconducibili
a fatti accaduti. Ma
l’ascoltatore gradiva e capiva
le sue allusioni.
Forse anche il presepio,
con i suoi personaggi (talora
di fantasia), è una parabola
per i tempi modei…
Anni fa un bambino,
Mariuccio, colpito da una
statuina del presepio
tradizionale allestito dal
parroco, domandò: «Don
Pietro, che ci fa in montagna
il pifferaio, a piedi
scalzi e in canottiera, nel
buio e freddo della notte?
». Ciò detto, il bambino
fece due passi indie-
tro, temendo forse uno
scapaccione.
Ma il sacerdote rispose:
«Mariuccio, un giorno
capirai che, grazie a Gesù,
tutto è cambiato nella
vita degli uomini. Si può
persino suonare il piffero,
di notte e a torso nudo,
su una montagna coperta
di neve».

dott. Benedetta Rossi




In attesa della legge sull’immigrazione

Caro direttore,
gradirei alcuni chiarimenti
sul vostro editoriale di
marzo e, in modo particolare,
sul secondo punto
dove si parla delle politiche
migratorie.
Certamente gli immigrati
sono prima persone e
poi «forza lavoro», ma intendo
richiamare la sua attenzione
perché sembra
che nel nostro paese debba
entrare chiunque, anche
se non in regola.
Perché la chiesa si batte
solo ed esclusivamente
per difendere i diritti degli
extracomunitari e molto
poco o niente per i giovani
disoccupati italiani? Secondo
voi, il nostro governo
non deve emanare delle
regole precise per regolare
il fenomeno
dell’immigrazione?

L’editoriale di marzo fu
sottoscritto da 150 missionari/
e di 16 istituti.
In aprile, poi, abbiamo
accennato al disegno di
legge sull’immigrazione,
approvato dal senato, che
ha suscitato riserve anche
nel cardinale Camillo
Ruini. «In particolare – ha
dichiarato l’11 marzo
scorso il presidente della
Conferenza episcopale italiana
– risulta discutibile
sia il collegare in modo
troppo stretto e automatico
il permesso di soggiorno
con il contratto di
lavoro, sia il limitare severamente
le possibilità dei
ricongiungimenti familiari
»… fermi restando «la
doverosa tutela della legalità
e il rispetto delle
compatibilità nell’accoglienza
degli immigrati».
Condividiamo questo
giudizio.
Il tema «lavoro giovanile
» è stato affrontato dai
vescovi in almeno due significativi
documenti: «Evangelizzazione
e testimonianza
della carità»
(1990) e «Comunicare il
vangelo in un mondo che
cambia» (2001).

Giorgio Gagliardo




Vincere l’integralismo

Spettabile redazione,
ho letto l’editoriale di gennaio.
Avete ragione: la
guerra porta solo guerra…
Ma, allora, dovremmo farci
invadere e colonizzare
senza reagire? Perché
questo vogliono gli integralisti:
prima immigrare,
poi il rispetto dei loro usi
(il che comporterebbe, ad
esempio, l’infibulazione)
e, infine, imporsi (come
fecero nel Medio Oriente
secoli fa e come già fanno
quelli che sputano sulla
carta d’identità italiana o
uccidono mogli e figlie
perché si vestono come le
nostre ragazze, cioè, secondo
loro, «da puttane»).

L’integralismo non si
combatte né si vince opponendone
un altro, ma
con l’arma della ragione e
«la giustizia dei fatti».

Mauro Mavea




I NERI NEL SANTUARIO DEI BIANCHI

Torino. Accompagnati dal rettore Franco
Peradotto, entriamo nel santuario della
Consolata rinnovato e ripulito. La fantasia
delle decorazioni, lo splendore dei marmi e il tripudio
dei colori sono esaltanti. Lo sguardo si attarda
con una preghiera sulla «nota immagine», che sovrasta
l’altare maggiore.
Giriamo a destra, per salire i pochi gradini che immettono
alla prima cappella laterale. «Guarda in alto!
» quasi ci comanda il rettore puntando il dito.
Sulla volta spicca un dipinto. Sorprendente.
«È un’opera di Luigi Morgari – spiega monsignor
Peradotto -. Ma è stata completamente ignorata da
tutti. Questa pittura è come se non esistesse.
Infatti, fino ad oggi, nessuno s’è accorto».
«Come mai?» chiediamo.
«Bella domanda!».
Il dipinto fu eseguito in occasione dell’ampliamento
del santuario della Consolata, terminato
nel 1904. La pittura ritrae una scena di evangelizzazione:
da un lato due missionarie davanti ad una
capanna e, dall’altro, tre missionari sul fronte di una
cappella con un quadro della Consolata. E uomini,
donne, bambini. In alto campeggia la litania mariana
«Virgo praedicanda» (Vergine da predicare).
Siamo in Kenya fra il popolo dei «kikuyu», raggiunto
dai missionari della Consolata nel 1902, un
anno dopo la fondazione del loro istituto ad opera di
Giuseppe Allamano, rettore pure del santuario
della Consolata. Ciò significa che la pittura fu
voluta certamente da lui.
Una pittura audace: e per il soggetto insolito
e perché ricordava un’impresa ai primi
passi, che poteva sgonfiarsi come una
bolla di sapone. Infatti la casa di formazione
dei missionari della Consolata,
che nel maggio 1902 si era rallegrata
per la partenza dei primi quattro evangelizzatori
per il Kenya, era subito piombata
nella solitudine per l’abbandono
delle reclute restanti. Però fu una pausa
brevissima. L’avventura ripartì subito con
nuovi missionari.
Ma la prudenza non era mai troppa, e il bene era da
compiersi bene. I neri nel santuario dei bianchi ci
stavano, eccome! Ma senza paparazzi. Per questo (ed
altro) l’immagine fu ignorata.
Giuseppe Allamano mise piede al santuario
della Consolata nel 1880. E trovò «il cuore
» religioso di Torino «asfittico» e brutto.
Urgeva dargli aria: e così fu con l’ampliamento
del santuario. Bisognava pure che la Madre lasciasse
le pareti domestiche per incontrare i suoi figli in fabbrica,
al mercato, nelle scuole, sui campi. Tutti i suoi
figli, compresi quelli più «poveri» della savana africana
e della foresta amazzonica, o quelli più «ricchi»
all’ombra di pagode: e così fu, grazie ai missionari
della Consolata oggi in quattro continenti.
Infine occorreva che i figli della Consolata le restituissero
la visita in casa sua, nel santuario…
Ci piace pensare (forse esagerando) che l’Allamano
abbia anticipato la sfida degli emigrati in Italia. Da
profeta, intuì che un giorno il santuario della
Consolata avrebbe pure accolto la «Salve Regina»
degli extracomunitari, essi soprattutto «esuli… piangenti
in questa valle di lacrime»: specie se clandestini
e senza contratto di lavoro.
E volle quella scena, ieri curiosa. Oggi vera.

FRANCESCO BERNARDI