Simmetria fatale

Lei opera nell’ebraismo italiano dall’età di 15 anni; si riconosce nel movimento
«Shalom Achshav» (Pace adesso); è segretaria di redazione di «Ha-Keilà»
(La comunità), giornale ebraico, edito a Torino.
Lui, consulente aziendale, è agnostico in seguito alle tragedie
che hanno colpito la sua famiglia durante le «leggi razziali» (fascismo);
è impegnato nel dialogo interculturale.
L’opinione di Alda Segre e Franco Debenedetti, ebrei di Torino.

Signora Alda e signor Franco, voi
contate numerosi parenti in
Israele. Come vivono e come vivete
l’attuale dramma del paese?

Alda: con il terrore che succeda
la tragedia. Quando avviene un attentato,
non telefono più, perché è
inutile… I parenti in Israele divergono
dalle mie idee politiche; quelle
poche volte che ci telefoniamo,
discutiamo. In Israele alcuni conoscenti
(che credevano nella strategia
di «Pace adesso») oggi concordano
con la politica di Ariel Sharon,
perché esasperati dal terrore
quotidiano.
Franco: c’è forte preoccupazione
per i giovani che hanno già fatto il
servizio militare e che, tuttavia, possono
essere richiamati nell’esercito.
Però ammiro le loro famiglie, perché
vivono la precarietà quasi con
normalità, continuando a lavorare.
Gli ebrei hanno patito la «shoa»
(olocausto), che ha coinvolto anche
le vostre famiglie. Esiste oggi
un serio pericolo di un ritorno all’antisemitismo?</b<
Alda: il pericolo esiste, anche se
non nelle dimensioni della «shoa»;
questo perché c’è lo stato di Israele
e le comunità ebraiche nel mondo si
sono rafforzate. È da temere l’antisemitismo
politico-religioso: gli attacchi
contro gli ebrei in Francia
(circa 400 in 20 giorni) sono eloquenti.
Vi sono pericoli anche in
Russia, Polonia, Germania. In Italia
noi ebrei ci sentiamo tutelati dallo
stato; però non siamo tranquilli.
Franco: con la globalizzazione si
possono diffondere, ad enorme velocità,
delle informazioni fittizie sugli
ebrei: informazioni che influenzano
negativamente i comportamenti
di molti «che non sanno».
Esiste anche il pericolo di un antisemitismo
verso persone che non
hanno niente a che fare con lo stato
di Israele. Il privilegiare immagini
virtuali (non fatti) genera sentimenti
ostili con conseguenze imprevedibili.
Ciò serve politicamente a qualsiasi
estremista (nazisti, integralisti
musulmani o di altro credo), per acquisire
un forte ascendente su masse
insoddisfatte, per gestie le frustrazioni
al fine di ottenere potenza
e ricchezza. Servono capri espiatori,
colpiti e criminalizzati indiscriminatamente
senza alcun presupposto
razionale.
Ecco un esempio: «Un signore
cammina nella civilissima Parigi dei
Champs Elisées tra fiumi di turisti;
porta una borsa di plastica con il disegno
del candelabro rituale, presa
in una boutique del Marais. Tre magrebini
sui 15 anni, i capelli rasi, lo
affiancano, sputano per terra e gridano
“sporco ebreo!”, guardando-
lo dritto negli occhi. Poi il più giovane
gli torce la guancia sinistra ridendo
come un matto. I passanti distolgono
lo sguardo. Un plotone di
giapponesi non si accorge di nulla.
La polizia non c’è. Potrebbe ora arrivare
uno che ha votato per Le Pen
e godere dello spettacolo…».
In altri casi e momenti si sono colpiti
i curdi, gli armeni e gli stessi palestinesi…
Il 15 aprile a Roma si è celebrato
l’«Israel day». È stata una marcia
che ha rivendicato il diritto di esistere
per Israele. E che dire della
Palestina?

Franco: la Palestina ha ogni diritto
di essere uno stato.
Quanto all’«Israel day», non sono
stato affatto d’accordo con la marcia.
Marce del genere alimentano l’antisemitismo
e vengono manipolate:
così si confonde, ad esempio, «israeliano
» con «ebreo»; il che è grave.
Gli ebrei che hanno preso parte
all’«Israel day» l’hanno fatto sotto
l’impulso di emozioni; dovrebbero
ragionare di più. Però non sono
estremisti, come è apparso in tivù.
Alda: il diritto dei palestinesi di
avere uno stato è fuori discussione.
Ma sono manovrati dai paesi arabi
vicini e sono vittime dei loro stessi
musulmani.
La risoluzione dell’Onu 181 del
29 novembre 1947 prevedeva la divisione
della Palestina in uno stato
ebraico e uno stato palestinese. Gli
ebrei l’hanno accettata, mentre gli
stati arabi l’hanno rifiutata, convinti
di «poterli buttare in mare» in pochissimo
tempo. Da qui è cominciato
il dramma dei profughi palestinesi.
Poi si sono compiuti errori da par-
te sia degli israeliani che dei palestinesi.
L’«Israel day» è stata una risposta
sbagliata (manipolata da Giuliano
Ferrara) alla manifestazione per la
pace che si era svolta a Roma, aperta
da palestinesi vestiti da «kamikaze
», e con mons. Capucci sul palco;
tanto che i sindacati, DS e Margherita
si sono allontanati dal corteo.
Abbiamo bisogno dell’apporto di
persone, non coinvolte emotivamente,
in grado di dire a ragion veduta
«questo è giusto» e «questo è
sbagliato»: persone che non sfruttino
né Israele né Palestina a loro uso
e consumo.
Pertanto ne consegue un dialogo
fra sordi.

Spesso sì.
In tale contesto come valutate i
«kamikaze» palestinesi e le rappresaglie
di Sharon?

Franco: il binomio kamikaze-rappresaglia
in psicologia si chiamerebbe
«simmetria»: tutti vogliono avere
ragione. Allora c’è una sovrapposizione
continua, che non finisce mai.
Purtroppo in Israele manca un
anti-Sharon, come Yitzhak Rabin.
Egli fu il generale che vinse tutte le
guerre e stava per vincere pure quella
della pace; fu ucciso da un cretino
su commissione di estremisti
israeliani o arabi. Data la «simmetria
», Rabin era scomodo a tutti.
Quanto ai «kamikaze» suicidi che
uccidono innocenti, essi sono manipolati;
la colpa non è loro, ma di chi
li manda al macello. Siamo di fronte
ad un completo lavaggio del cervello
per fini religiosi.
Alda: i «kamikaze» riguardano
un problema politico-religioso. Sono
dei «disgraziati» manovrati: mi
spaventano per la mancanza di rispetto
verso la vita umana, da parte
loro e delle loro famiglie.
Se non c’è rispetto per la vita, dove
si va a finire?
Signora Alda e signor Franco, è
possibile uscire, una volta per sempre,
dal conflitto Israele-Palestina,
che perdura da oltre 50 anni?

Alla domanda, scontatissima, gli
intervistati ammutoliscono abbassando
lo sguardo con un triste sorriso.
Poi…
Franco: secondo la mia formazione
ingegneristica (quindi limitata),
penso che bisogna uscire dalla simmetria.
Ciò dipende dagli Stati Uniti
e dai grandi stati arabi. Però dubito
che ne escano facilmente.
Ma che intende, signor Franco,
per simmetria in questo caso?

Rispondo mostrandole
un disegno: sono
due biciclette unite,
che pedalano
in direzione opposta;
rappresentano
Israele-Palestina
e Stati Uniti-
Stati Arabi.
Tuttavia mi auguro
che sorga un nuovo Rabin,
oppure che entri in scena un
nuovo e forte stato catalizzatore…
Nella simmetria giocano le grandi
forze di potere. Israele e Palestina,
da soli, non possono sciogliere il nodo
che li strangola.
Signora Alda, il nodo israelo-palestinese
non si può proprio sciogliere?

Ne abbiamo parlato anche nella
nostra comunità ebraica di Torino.
E un oratore diceva: «È difficilissimo
uscire dal conflitto, perché si è
di fronte a due individui… che hanno
entrambi ragione».
E si ricade nella simmetria.
Purtroppo!… Ma il ritiro di Israele
dai territori occupati non giova
molto ai palestinesi, perché si trovano
senza lavoro, senza infrastrutture
e con pochissime possibilità di
sviluppo. Questa è stata già una grave
colpa di Yasser Arafat e del suo
entourage: nei loro territori bisognava
per prima cosa creare scuole,
ospedali, posti di lavoro. Si parla dei
profughi di Jenin: da circa 30 anni
sono tali! A Gerico l’autorità palestinese
ha costruito un casinò, frequentato
anche da israeliani danarosi.
Francamente, troppo poco!
I leaders palestinesi non incarnano
l’idea di uno stato democratico,
dove tutti i cittadini possono e devono
esprimersi. I palestinesi hanno
ogni diritto e possibilità di farlo,
senza essere in balia di qualche potente
stato arabo.
D’altro canto, Israele stesso è a sovranità
limitata… E anch’io, come
Franco, sogno un nuovo Rabin per
vincere la battaglia della pace.

La tattica del «souk»
«Mi sia consentito – ha detto ALDA SEGRE al termine dell’incontro rivolgendosi
all’intervistatore – aggiungere tre osservazioni. La prima: mi ha stupito,
positivamente, che lei abbia parlato di Israele e non di “terra santa”. Per
noi, ebrei, questo è l’approccio giusto. Parlare di “terra santa” può portare a speculazioni.
Seconda: non so fino a che punto le nostre idee su Israele possano interessare
gli italiani: stando ai mass media, essi sono più interessati alla chiesa
di Betlemme, alla Madonna che è stata colpita, ai frati che fanno la fame, ecc. E
si dimentica il dramma dei palestinesi che stanno intorno.
Ultima considerazione: dobbiamo guardarci dal voler risolvere il “problema palestinese”
con la mentalità europea, mentre in loco predomina quella araba. L’arabo
si comporta diversamente; usa la tattica del souk (mercato): si annuncia il
prezzo, che poi viene scontato una, due, tre volte… A mio parere, la mentalità
del mercato ha danneggiato anche Arafat nelle sue scelte politiche».

Integralismi alleati
«Anch’io aggiungo qualcosa – ha affermato FRANCO DEBENEDETTI -. Quale
migliore alleato potevano trovare i potenti integralisti islamici se non il piccolo
e miope Sharon?».

Francesco Beardi