RUSSIA: l’esercito dei senzatetto (2). E’ FREDDA LA NOTTE DI MOSCA

In
prossimità delle feste, a Mosca e Pietroburgo i barboni che bivaccano
nelle vie del centro vengono caricati su camion e portati fuori città.
Perché i russi «normali» trascorrano le festività in pace… In
alternativa a questa soluzione, i senzatetto sono rinchiusi per qualche
settimana in «centri di raccolta». Oggi come ieri lo stato non si occupa
dei «bomzh», se non in modo punitivo. Per fortuna, «Medici senza
frontiere», «Caritas» e altre organizzazioni di volontariato fanno il
possibile per alleviare l’esistenza di chi è caduto nel baratro.

 Di
persone che vivono senza una dimora stabile ce ne sono sempre state. In
tutte le epoche e in tutti i luoghi della terra. La Russia non ha mai
fatto eccezione.

All’inizio
del secolo scorso i senzatetto erano circa 150.000 in tutto il paese e
potevano contare su diverse forme d’assistenza, attuate sia dallo stato e
dalla chiesa sia da organizzazioni benefiche private. A Mosca esistevano
diversi ospedali per i poveri, tra cui il famoso istituto Sklifosovskij.
Con la rivoluzione e l’instaurazione del regime sovietico, il fenomeno non
scomparve (al contrario), però non se ne ammetteva l’esistenza (in un
paese socialista non poteva esistere il disagio sociale!). Con il nuovo
codice penale del 1933, non avere una residenza e un lavoro ufficiali
divenne un reato punibile con una reclusione fino a due anni.

La fine
del regime sovietico ha fatto riaffiorare quelle situazioni di disagio,
che per anni erano rimaste relegate nel sottosuolo.

Adesso
essere senza fissa dimora non è più un reato. Tuttavia, l’atteggiamento
dello stato verso i senzatetto non è molto cambiato rispetto ai tempi in
cui erano considerati delinquenti da isolare dalla società. Il pregiudizio
nei loro confronti, condiviso in generale dall’opinione pubblica e
alimentato dai mass media, fa sì che non ci sia da parte delle istituzioni
il tentativo di comprendere il problema e di trovarvi soluzioni adeguate.
Basti dire che, a tutt’oggi, non c’è una legge sui senzatetto, che per lo
stato in Russia non esistono persone ridotte a vivere senza una casa, ma,
tutt’al più, «individui bomzh», da cui la società si deve difendere.

Del 1992 è
un decreto presidenziale a loro riguardo, che s’intitola: «Sulle misure
per prevenire vagabondaggio e accattonaggio». Dopo quasi 10 anni, il
progetto di legge che il governo del 2001 vuole sottoporre al parlamento
s’intitola: «Sulla riabilitazione sociale degli individui che praticano
vagabondaggio e accattonaggio».

Sembra che
il tempo sia passato invano. D’altra parte, se lo stato riconoscesse
l’esistenza del problema, dovrebbe anche far qualcosa per risolverlo.
Invece, ecco cosa si legge in uno studio del ministero del Lavoro e dello
Sviluppo sociale: «Gli individui bomzh che abbiamo interrogato negli
ospedali, nei centri raccolta-smistamento, alle discariche, non desiderano
cambiare il proprio stile di vita. Sono soddisfatti della propria vita e
apertamente disprezzano e deridono le persone che lavorano».

PER FORTUNA,
CI SONO LORO


Fortunatamente, negli anni Novanta, con l’apertura all’iniziativa privata
e la caduta della cortina di ferro, hanno cominciato ad operare sul
territorio russo organizzazioni umanitarie non governative sia russe che
inteazionali, sia religiose che laiche. Tra i primi ad arrivare sono
stati i Medici senza frontiere (MSF), le suore di Madre Teresa, la Caritas.
A Pietroburgo i pionieri sono stati i fondatori dell’associazione
Nochlezhka (Il rifugio), giustamente famosa in tutto il paese.

Oltre ad
assistere materialmente i senzatetto, queste organizzazioni si sono
trovate costrette a difendee i diritti sistematicamente conculcati.

MSF,
inoltre, si è più volte scontrata con le preoccupazioni «estetiche» delle
autorità. Nel 1992 una loro unità medica cominciò ad operare nelle
stazioni di Mosca, ma nel 1993 furono fermati dall’amministrazione
ferroviaria, preoccupata della visibilità che la cosa stava assumendo.
Infatti, la possibilità di ricevere assistenza medica, altrimenti negata,
richiamava un certo numero di senzatetto. Se durante l’epidemia di
difterite scoppiata a Mosca nel 1994, che costituiva una minaccia per
tutta la popolazione, a MSF fu concesso di riprendere l’attività nelle
stazioni, nel 1998 erano in arrivo nuovi guai. In preparazione alle
Olimpiadi dei giovani, l’amministrazione di Mosca decise di ripulire la
città dai barboni e chiuse anche gli ambulatori di MSF nelle stazioni.
Rimase in funzione quello aperto nel cortile dell’ospedale per malattie
infettive. Il posto è più defilato e non dà nell’occhio.

Non si
deve pensare che Mosca venga ripulita solo in occasioni così
straordinarie, come quella di un’olimpiade internazionale. Tali operazioni
si svolgono con una certa frequenza. Tanto per cominciare, in occasione
delle feste.

LE «PULIZIE»
DELLA FESTA

Arrivata a
Mosca alla vigilia dello scorso capodanno, mi sono stupita nel trovare le
vie del centro e la metropolitana sgombre di barboni.

I miei
sospetti al riguardo hanno trovato conferma parlando con gli operatori di
MSF e della Caritas: nella ricorrenza delle feste di capodanno e Natale
(il Natale ortodosso è il 7 gennaio), la città viene sgomberata dai
poveracci, tanto che in questo periodo le organizzazioni umanitarie
registrano un sensibile calo dell’attività. «Di solito abbiamo una coda di
gente che arriva fino in cortile, ma oggi riusciamo a chiudere addirittura
prima del tempo» mi spiegava Elena della Caritas.


Ovviamente, queste operazioni di sgombero vengono attuate alla
chetichella, sebbene possa capitare che se ne venga per caso a conoscenza
attraverso i mass media. Ad esempio, all’inizio di gennaio si è saputo
dalla radio che i comuni confinanti con Mosca si erano lamentati, perché
dalla capitale camion carichi di bomzh erano stati fatti arrivare e
scaricati nelle loro periferie. Alla base di questi trasferimenti c’è un
disegno primitivo: prima che i barboni riescano a riguadagnare la capitale
passano un po’ di giorni, quanto basta perché i moscoviti trascorrano «in
santa pace» le festività. Ma non sempre questi carichi umani vengono
lasciati all’interno di centri abitati. A Pietroburgo i senzatetto,
periodicamente rastrellati nella stazione ferroviaria vengono portati nei
boschi lontano, dalla città, con tutte le conseguenze che si possono
immaginare. A nulla per il momento sono valse le proteste delle
organizzazioni umanitarie, prima fra tutte Nochlezhka.

Nel 1999,
grazie all’intervento di una Tv privata, ha avuto ampia risonanza un
episodio, che altrimenti sarebbe passato inosservato, come tanti altri
simili. Il comando di polizia di un quartiere della capitale decide di
ripulire la zona dalla presenza dei senzatetto. Raccolti e caricati su un
camion, essi vengono portati a una discarica fuori città. Tra loro si
trova anche un uomo senza le gambe. L’operazione si svolge in una fredda
sera di fine estate. Al mattino alla discarica viene trovato il cadavere
del mutilato, che non aveva potuto, come gli altri, cercare un riparo ai
rigori della notte. Qualcuno ha avvertito l’emittente televisiva NTV, che
è corsa sul posto e ha reso il caso di pubblico dominio. Ciò ha spinto la
polizia ad aprire le indagini per individuare i responsabili. Ebbene, i
responsabili sono stati trovati, i loro nomi trasmessi alla magistratura,
ma quest’ultima dopo tre mesi ha chiuso l’inchiesta come se nulla fosse.
Del caso si sta occupando ora Aleksej Nikiforov, cornordinatore del
programma d’aiuti di MSF, il quale ha ottenuto che l’inchiesta fosse
riaperta.

DIETRO LE
SBARRE

Di
professione medico, Aleksej è da tempo impegnato a difendere i diritti dei
senzatetto. «Mi rivolgo alle istituzioni, chiedendo spiegazioni sul loro
operato. Per il momento, questo diritto lo abbiamo ancora. Chiedo, in
sostanza, che gli organi dello stato agiscano secondo quanto è stabilito
dalla legge».

È dura per
un medico districarsi tra i cavilli e i sotterfugi della burocrazia.
All’inizio lo menavano facilmente per il naso, ma poi si è fatto più
accorto. Il suo non è compito da poco. La legge è sistematicamente
ignorata dalla magistratura, che preferisce attenersi alle indicazioni
delle autorità, piuttosto che rispettare la costituzione.

Un
esempio. Ai tempi dell’Urss, quando essere senza residenza era reato, il
ministero degli Intei aveva istituito i cosiddetti «Centri
raccolta-smistamento», che, al di là di tutte le alchimie verbali, erano
in realtà delle specie di prigioni (con la rivoluzione, le carceri furono
ufficialmente abolite, in quanto istituzioni borghesi; comparvero, invece,
i «luoghi di isolamento» o i «luoghi di privazione della libertà»).

Oggi la
legge proibisce di trattenere un cittadino per più di 48 ore, a meno che
su di lui non gravino pesanti sospetti di reato, che motivino un ordine
scritto del tribunale a riguardo. Ciononostante, ogni anno 400 mila
persone vengono trattenute dai 10 ai 30 giorni in questi «centri», perché
prive di documento e registrazione. Gli ordini vengono firmati da
procuratori disinvolti e motivati con la necessità di rilasciare alla
persona un nuovo documento d’identità, il che accade molto raramente. In
realtà questa pratica tradisce la convinzione che i senzatetto siano dei
potenziali delinquenti, da tenere in gabbia il più possibile.

«Essi_
sono causa d’incendi e dell’aumento della criminalità», leggiamo sempre
nella stessa pubblicazione ministeriale, cui ho già accennato sopra.

I
senzatetto entrano ed escono da questi luoghi di detenzione
silenziosamente. D’altronde, quali concrete possibilità avrebbero di
chiedere giustizia? Ma la primavera scorsa uno di loro, appoggiato da
Novyj dom, ha fatto causa alla procura di Mosca. Un giornalista, amico di
Novyj dom, è riuscito a scriverne sul quotidiano Novye Izvestija: «Quest’uomo
ha trascorso più di un anno e mezzo nei cosiddetti centri
raccolta-smistamento, dove veniva rinchiuso a forza “per identificazione e
rilascio dei documenti”. Ne usciva, tuttavia, non con la carta d’identità,
che non riuscivano a rilasciargli, ma con un certificato della polizia. Al
primo controllo documenti, quel certificato veniva stracciato dai tutori
dell’ordine, e “l’individuo bomzh” si ritrovava di nuovo dietro le
sbarre».

Dopo gli
ennesimi 30 giorni di detenzione, «l’individuo bomzh», il signor Lemekhov
ha denunciato il procuratore che ne aveva sanzionato il fermo. Ma il
giudice non si è lasciato impressionare dai riferimenti alla Costituzione
(1993); ha giudicato molto più autorevole quanto sta scritto in un decreto
del presidente Eltsin (emanato alla vigilia della nuova costituzione) e in
una disposizione del ministero degli interni dell’Urss (1970). D’altra
parte, conclude il giornalista, è noto che il sindaco Luzhkov, di propria
iniziativa, ha assegnato un sostanzioso contributo allo stipendio dei
giudici moscoviti.

L’ARBITRIO
SOSTITUISCE LA LEGGE

«Quando
vengono a trovarci i corrispondenti stranieri, dopo un po’ vediamo che il
loro sguardo si appanna. Quello che raccontiamo è per loro così assurdo,
che a un certo punto smettono di seguirci. Chiudono la saracinesca. Anche
noi spesso non riusciamo a capire, ma siamo abituati a convivere con la
follia» mi dice Elena, durante il nostro incontro presso il centro-aiuto
Caritas.

Stiamo
parlando da due ore e si stupisce che io non abbia ancora voglia di
chiudere la conversazione. «Ecco, ad esempio, adesso è un po’ di tempo che
agli uffici passaporti mancano i moduli per chiedere un nuovo documento.
Così tutto è fermo, non si può fare domanda. E anche se si potesse, le
domande dei senzatetto di regola non vengono accettate. Se uno di loro
chiede il rilascio di un nuovo documento, lo si indirizza all’ufficio
passaporti del luogo dell’ultima registrazione, sebbene la legge non lo
richieda. Anche ritornando all’ultimo luogo di residenza ufficiale, le
cose non sono così semplici, perché tutto il processo può richiedere mesi
(per legge, invece, non più di 15 giorni). E intanto, che si fa? Se poi
l’ultimo luogo di residenza era una repubblica ex-sovietica, è la fine».

Per porre
un freno all’arbitrio che regna negli uffici passaporti, MSF e Caritas
distribuiscono ai loro assistiti un foglio da consegnare al funzionario di
tuo, in cui si ricorda che, per legge, chi non ha una residenza ha
diritto a ottenere il documento d’identità là dove soggioa. «Quel pezzo
di carta col nostro timbro sopra è stato pensato per influenzare il
poliziotto – mi conferma Aleksej di MSF -. Qui accade qualcosa solo se hai
qualcuno alle spalle che ti sostiene. È quello che tentiamo di fare».

«COM’È FACILE
AFFONDARE!»

Il centro
Caritas per i senzatetto è stato aperto 7 anni fa. Qui si può ricevere un
pasto caldo, vestiti e scarpe. Ma l’aiuto materiale non basta. Queste
persone sono così disorientate che hanno bisogno di qualcuno che le
indirizzi, le consigli, o semplicemente ascolti le loro storie. Così sia
Caritas che MSF offrono un servizio di assistenza sociale.

«È facile
perdere l’equilibrio con la vita che fanno» incalza Elena, mentre mi
mostra i dati raccolti durante i colloqui con i senzatetto. «È incredibile
quanto si faccia presto ad andare a fondo e quanto difficile sia
rimettersi in piedi. E pensare che il 16% delle persone che vengono da noi
hanno una laurea universitaria. Abbiamo i barboni più istruiti del
mondo!». È vero che qualcuno si è mosso e si sta muovendo per aiutarli;
pasti caldi vengono distribuiti anche presso alcune parrocchie o da
associazioni come l’Esercito della Salvezza. Le Suore di Madre Teresa
hanno una casa con 30 letti, dove raccolgono i più infelici, i più malati;
ma nessun miglioramento radicale si potrà ottenere se non cambierà
l’atteggiamento delle autorità, dei cittadini, dei mass media nei
confronti di chi è stato sbrigativamente segnato con l’infamante marchio
di bomzh.

Biancamaria Balestra

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