Viaggio nella società dell’AIDS. LA NUOVA PESTE (e la vecchia fame)


«Vediamo arrivare nei nostri reparti pazienti africani che
hanno risparmiato soldo su soldo per venire qui a farsi curare. Li
rimettiamo in piedi, pur sapendo che la maggior parte di loro non avrà i
mezzi per continuare la cura, quando toerà a casa»


(Martine Bulard,

“Le Monde
Diplomatique“)


Il
punto della situazione


Correva l’anno 1981

Conosciuta
soltanto dal 1981, la sindrome da immunodeficienza acquisita nota con
l’acronimo inglese «Aids» ha già fatto 22 milioni di morti, per tre quarti
africani. Nei paesi del Sud del mondo l’epidemia si espande senza
controllo. Le azioni di educazione e informazione producono risultati
deludenti. Nel frattempo, i paesi più poveri hanno intrapreso una dura
lotta contro le multinazionali farmaceutiche. Perché oggi i medicinali
contro l’Aids sono acquistabili da un’esigua minoranza.

di Guido Sattin (*)

IL
PEGGIORE DISASTRO
DELL’ERA MODERNA

«Il peggiore
disastro dell’era modea, che Stati Uniti, Europa e Giappone avrebbero
potuto evitare con relativamente poco sforzo, ma che finora hanno
totalmente ignorato. Non abbiamo fatto niente per evitare i 17 milioni di
morti di AIDS in Africa, per impedire che quest’anno ne muoiano altri 3
milioni. In tutto, dal 1996 al ’98, abbiamo dato all’Africa solo 75
milioni di dollari. Niente, appunto».

A fare questa
dichiarazione non è stato un qualche esperto dell’Organizzazione mondiale
della sanità (Oms) o un esponente terzomondista di qualche Organizzazione
non governativa. Il giudizio e l’accusa pesantissimi sono di Jeffrey D.
Sachs, direttore del Center for Inteational Development di Harvard,
consulente di governi ed organismi multinazionali, uno dei più noti
economisti a livello mondiale.

Pochi mesi fa, la
dottoressa peruviana Elisabeth Sanchez, professore dell’Università
Cayetano Heredia di Lima, esperta in malattie infettive, in una lunga
conversazione mi diceva con estrema crudezza: «È chiaro che l’AIDS sta
aumentando in Perù. Cinque anni fa erano 2.000 i pazienti con AIDS
conclamato e ora sono circa 20 mila. Direte che non sono poi tanti, ma
questo numero va moltiplicato per il dato probabilistico di 100 infettati
per ogni malato. Questa è una proporzione che è accettata in molti paesi
come il nostro. In Perù con l’AIDS succederà quello che sta succedendo in
Africa; se in questo momento in certe zone dell’Africa si arriva al 40% di
sieropositivi nella popolazione, gran parte di questi nel giro di 5/10
anni saranno morti ed il continente si spopolerà. Nel Perù sarà uguale».

E l’economista Sachs,
con altrettanta crudezza, continua: «Eppure, al di là degli effetti
devastanti che l’epidemia di AIDS e le altre malattie stanno avendo
sull’Africa, anche nel mondo occidentale vi saranno contraccolpi molto
negativi che in parte già si avvertono. La malattia non conosce confini ed
infatti nuovi ceppi dell’AIDS, che erano esclusivi dell’Africa, si stanno
già diffondendo in Occidente. Il peggiorare della situazione nel
continente nero porterà a maggiore instabilità politica, governi ancor
meno capaci di controllare le situazioni locali, guerre, migrazioni di
massa, crescita della povertà ovunque. Più aspettiamo a intervenire e più,
quando saremo costretti a farlo, sarà costoso e complicato rimediare ai
danni».

È interessante e,
allo stesso tempo, preoccupante che un professore di economia affronti
queste tematiche. Probabilmente l’AIDS ha già smesso di essere solo un
problema sanitario per trasformarsi in un problema economico e politico.

UN
PROBLEMA SANITARIO

L’AIDS (Acquired
Immuno-Deficiency Syndrome = sindrome da immunodeficienza acquisita) è una
malattia abbastanza recente e, tuttavia, essa si è diffusa rapidamente in
pressoché tutte le nazioni, assumendo le caratteristiche di una vera e
propria pandemia.

I primi casi sono
stati descritti negli USA, alla fine del 1981, tra omosessuali maschi,
colpiti da infezioni opportuniste o da tumori particolari quali, ad
esempio, il sarcoma di Kaposi, e affetti da una forma di immunodeficienza
da causa allora non conosciuta. Studi retrospettivi su sieri congelati
hanno mostrato la presenza di anticorpi contro il virus HIV (Human
Immunodeficiency Virus = virus dell’immunodeficienza umana),
successivamente riconosciuto responsabile della malattia, in un soggetto
morto in Africa nel 1959.

Da dove è venuta
questa malattia? Sono state formulate numerose ipotesi; la più accreditata
indicherebbe come progenitore dell’HIV un virus, l’STLVIII (Simian T Cell
Leukemia Virus III), che nella scimmia provoca una sindrome riconducibile
all’AIDS dell’uomo. L’infezione, dunque, avrebbe colpito le zone rurali
dell’Africa dove sarebbe rimasta confinata per lunghi anni e,
successivamente, si sarebbe diffusa alle aree urbane del Centro Africa. Di
là, attraverso i rapporti commerciali con altri stati, l’infezione avrebbe
raggiunto Haiti e l’America Centrale, si sarebbe diffusa negli USA, in
Europa e in tutto il mondo.

Per ciò che concee
le modalità di diffusione e presentazione dell’epidemia da HIV, sono
descritti tre differenti quadri (pattes) epidemiologici.

Il I patte
comprende gli USA, il Canada, l’Europa dell’Ovest, l’Australasia, il Nord
Africa e parti del Sud America; qui l’epidemia si è diffusa soprattutto
tra omosessuali, bisessuali e tossicodipendenti. Coloro che hanno
contratto l’infezione per via eterosessuale, costituiscono una piccola
percentuale.

Nel II patte,
comprendente il resto dell’Africa e del Sud America, la maggioranza dei
soggetti ha acquisito l’infezione per via eterosessuale, con un rapporto
uomo-donna di circa uno ad uno.

Il III patte (Asia-Pacifico,
Europa dell’Est e Medio Oriente), dove il virus HIV è stato introdotto
probabilmente più tardi rispetto ai paesi appartenenti agli altri pattes,
si caratterizza per un numero modesto di casi notificati di AIDS. In
questi ultimi anni, tuttavia, si è riscontrato un forte incremento dei
casi di infezione da HIV, al punto che l’epidemia dell’Asia può far
scomparire tutte le altre sia come impatto che come portata.


UN PROBLEMA POLITICO
ED ECONOMICO

La pandemia sta
distruggendo intere popolazioni del Sud del mondo. Il perché lo capiamo
dalle parole della dott.ssa Sanchez.

«In Perù, se vuoi
entrare nel programma statale di lotta all’AIDS, devi prima dimostrare di
essere sieropositivo e per questo devi fare la prova sierologica Elisa. A
pagamento: ti costerà circa 20 soles (12 mila lire, ndr). Una volta
dimostrata la sieropositività, entri nel programma. E cosa ti offre il
programma? Ti dà consigli, ti obbliga ad eseguire la prova (sempre a
pagamento) per tua moglie, per le persone con le quali hai avuto rapporti
sessuali. Solo consigli e niente farmaci. I farmaci il sieropositivo o
l’ammalato deve comprarli. Quanti sono gli infettati che potranno curarsi?
Immàginati che devi investire in farmaci circa 500 dollari al mese (più di
quello che guadagna un medico statale in Perù). Onestamente non credo che
qualcuno possa farlo, se non fa parte della ristretta, minoritaria e
potente borghesia. Il governo non può farsi carico di tale spesa, le
Organizzazioni inteazionali di aiuto neanche e i pazienti… stanno
morendo».

Semplicemente e con
poche parole, la dott.ssa Sanchez ci ha spiegato il perché in Africa,
Asia, America Latina l’AIDS è simile e forse peggiore all’epidemia di
peste vissuta in Europa nel corso del 1300.

L’impossibilità di
curare i pazienti e di trattare gli infettati fa sì che l’epidemia si
diffonda senza nemmeno conoscee le reali dimensioni, se non nel momento
in cui il paziente muore o si ammala (ad esempio di tubercolosi). Quindi
l’epidemia si estende senza controllo e i programmi di educazione e
prevenzione hanno scarso impatto su una popolazione molto giovane per
l’alto indice di natalità.

Quanto detto sopra è
chiarito dai dati della pandemia che, nei paesi ricchi, ha coinvolto
fondamentalmente persone con «comportamenti a rischio», sui quali però con
un’importante azione di educazione/informazione oggi si riesce ad
influire. Nei paesi poveri la percentuale di donne infettate (che
raggiunge il 55% di tutti i casi nell’Africa Sub-sahariana) e i quasi
1.500.000 bambini infettati dimostrano che la malattia interessa la vita
quotidiana della gente, e non più i comportamenti a rischio.

Anche il semplice
preservativo, unica ed efficace barriera all’infezione, può essere un
lusso, senza parlare degli alti livelli di prostituzione, fenomeno
tristemente «normale» in una popolazione povera e con indici di
disoccupazione inimmaginabili da noi.

CHE
FARE DAVANTI A
UN’EMERGENZA MONDIALE?

Cosa ha detto il
segretario generale delle Nazioni Unite a New York il 20 febbraio del
2001?

«Nei suoi due
decenni di esistenza – spiega il documento firmato da Kofi Annan -,
l’epidemia dell’AIDS ha continuato a propagarsi senza fine in tutti i
continenti e, anche se è più grave in alcuni paesi piuttosto che in altri,
nessun paese è fuori rischio. In questi due decenni essa si è convertita
in una vera emergenza mondiale».

«Nella dichiarazione
del Millennio, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite
(settembre 2000), si afferma chiaramente che il mondo ha finalmente
riconosciuto la reale grandezza della crisi. Nel documento i leaders si
impegnano a invertire la tendenza della propagazione del virus
dell’immunodeficienza umana per l’anno 2015; a dare aiuti speciali ai
bambini rimasti orfani a causa della malattia; ad aiutare l’Africa ad
acquisire la capacità per affrontare il problema della propagazione della
pandemia e di altre malattie infettive».

Più avanti Kofi
Annan afferma: «Si sono ottenuti buoni risultati nel tentativo di far
fronte all’epidemia in molte parti del mondo. La discesa dei tassi di
infezione con HIV in molte comunità e, in alcuni casi, in molti paesi,
specialmente fra i giovani, ha dimostrato che le strategie di prevenzione
servono. La discesa dei tassi di mortalità per AIDS nei paesi
industrializzati e in alcuni paesi in via di sviluppo ha dimostrato anche
che la prevenzione e il trattamento dell’AIDS sono efficaci».

Quindi il segretario
generale delle Nazione Unite può concludere: «L’HIV/AIDS costituisce
l’ostacolo più formidabile per lo sviluppo nei nostri tempi».

Il lungo documento,
dopo l’introduzione, inizia con un’analisi simile a quella dell’economista
Sachs: «L’AIDS si è convertito in una grave crisi di sviluppo. Uccide
milioni di adulti nel fiore della loro vita, distrugge ed impoverisce
famiglie, debilita la forza lavoro, lascia orfani milioni di bambini e
minaccia il tessuto economico e sociale delle comunità e la stabilità
politica delle nazioni».

«Gli effetti
negativi del virus dell’immunodeficienza e l’AIDS si fanno sentire in
tutto il mondo, ma soprattutto in Africa, Caraibi, Asia meridionale e
sudorientale. Il morbo si propaga con rapidità e si ripercuote sulla forza
lavoro, la produttività, le esportazioni, gli investimenti; in una parola,
su tutta l’economia nazionale. Se l’epidemia continuasse al ritmo attuale,
le nazioni più colpite perderanno nei prossimi 20 anni fino il 25% della
crescita economica prevista».

SFIDA
ALLA SICUREZZA

La mia vicina di
casa, a Villa el Salvador (Perù), mi raccontava di una ragazza del
quartiere morta per AIDS e dei suoi figli orfani.

La dott.ssa Sanchez
ribadiva che non voleva aiuti per fare le prove sierologiche in assenza
dei farmaci e che in queste condizioni l’unico aiuto possibile doveva
essere concentrato sull’informazione/educazione.

Nella mia città,
Venezia, le vestigia storiche della peste sono innumerevoli, come pure le
testimonianze dell’impari lotta per bloccarla. La società di allora si era
munita di una legislazione, di strumenti e metodi per lottare e vincere la
peste, e anche grazie a questa lungimiranza fu una società opulenta.

La nostra società
invece, nonostante la mole di dati disponibile, non riesce a comprendere
che i problemi dell’Africa Sub-sahariana o del Perù sono problemi pure
nostri, e questo indipendentemente dal fenomeno migratorio.

In un passo del suo
discorso, il segretario generale delle Nazioni Unite ha affermato: «Nelle
regioni più colpite, l’AIDS sta invertendo la tendenza di decenni di
sviluppo. Cambia la composizione delle famiglie e la forma di
funzionamento delle comunità, colpisce la sicurezza alimentare e
destabilizza i tradizionali sistemi di appoggio. Distrugge il capitale
sociale, al punto da far sparire la base delle conoscenze della società e
debilitare i settori di produzione. Inibendo lo sviluppo dei settori
pubblici e privati e grazie alle ripercussioni sull’intera società,
debilita le istituzioni nazionali. Ostacolando nel tempo la crescita
dell’economia, colpisce gli investimenti, il commercio e la sicurezza
nazionale, facendo sì che la povertà sia ancora più generalizzata ed
estrema. In poche parole, l’AIDS si è convertito in una sfida alla
sicurezza dell’umanità».

La sfida all’AIDS
deve essere una lotta alla povertà, vera peste del secolo che si è appena
aperto.


DISEGUAGLIANZA
SOCIALE

Oggi è l’AIDS,
domani sarà Ebola, dopo domani la «mucca pazza» e così via. Allora anch’io
sono d’accordo con Kofi Annan, Sachs e la dott.ssa Sanchez: il problema
non è solo sanitario, ma anche economico e politico.

Dobbiamo impegnarci
a eliminare le fondamenta sulle quali le malattie si sviluppano: la
diseguaglianza sociale.

(*) Guido Sattin,
medico-igienista di Venezia, cura per la nostra rivista la rubrica medica
«Come sta Fatou?».

Le
parole dell’Aids


GLOSSARIO ESSENZIALE


Aids
:
«Sindrome da immunodeficienza acquisita» (Acquired immunodeficiency
syndrome), una grave malattia causata dal virus HIV, che distrugge le
difese immunitarie dell’organismo, soggetto di conseguenza a gravi
infezioni «opportunistiche» e a talune forme di cancro.

Anticorpi:
sostanze secrete dai linfociti B in risposta all’aggressione
sull’organismo di sostanze conosciute come antigeni. Ogni anticorpo è
specifico per un particolare antigene. Nel caso del virus HIV, non tutti
gli anticorpi prodotti sono neutralizzanti. Nonostante la loro presenza,
il virus conserva la sua potenza distruttiva.

DNA:
acido desossiribonucleico, una molecola di grandi dimensioni che conserva
le informazioni genetiche e costituisce il fondamento dell’ereditarietà.

Elisa:
abbreviazione di «Enzyme Linked Immuno-Sorbent Assay» (saggio di
assorbimento legato a enzima o metodo immuno-enzimatico). Si tratta
dell’esame sierologico (del sangue) più usato per stabilire se il corpo
abbia reagito alla presenza del virus HIV.

Epidemia:
l’insorgere di una malattia, temporaneamente ad elevato rischio di
diffusione. L’insorgenza e l’estinzione di un’epidemia dipendono da
fattori quali la gravità della malattia, le modalità di trasmissione
dell’agente infettivo, le condizioni ambientali, la durata
dell’incubazione e l’esistenza di portatori sani (asintomatici). È
indispensabile elaborare le strategie per combattere un’epidemia sulla
base di questi fattori. L’infezione da HIV può essere trasmessa, ma non è
a elevato rischio di contagio. Il periodo di incubazione è lungo.

Epidemiologia:
studio delle cause di insorgenza, scomparsa o diffusione delle malattie.

Eziologia:
studio delle cause delle malattie.

HIV:
il virus dell’immunodeficienza umana, che causa l’Aids. Di questo virus
esistono due tipi principali: HIV-1, responsabile della pandemia mondiale
dell’Aids, e HIV-2, anch’esso causa dell’Aids e diffuso principalmente in
Africa occidentale.

Immunosoppressione:
riduzione dei meccanismi di difesa immunitaria dell’organismo.

Incubazione:
intervallo tra il momento in cui il corpo viene in contatto con il
microrganismo e il momento della comparsa dei primi sintomi della
malattia. Nel caso dell’Aids, il periodo di incubazione è molto variabile;
può durare da alcune settimane a mesi o persino ad alcuni anni.


Infezione opportunistica: infezione
indotta da un microrganismo di solito ben tollerato dall’organismo, che
può diventare patogeno quando le difese del corpo son depresse. Le
manifestazioni più gravi di Aids sono causate da infezioni
opportunistiche.

Leucociti:
cellule del sangue responsabili della difesa dell’organismo da agenti
estei.

Preservativo:
protezione in lattice da applicare sul pene in erezione, quando l’uomo è
sessualmente eccitato. Può essere usato come metodo di contraccezione e di
prevenzione di malattie veneree.

Prevenzione:
misure individuali o collettive finalizzate a limitare o a evitare il
rischio di un incidente o malattia, riducendone le conseguenze e curandone
gli effetti. Nell’ambito sanitario, la prevenzione comprende provvedimenti
sociali nonché strettamente medici.

Retrovirus:
virus il cui materiale genetico è composto da RNA, ma che è trasformato
nella cellula in DNA da uno speciale enzima, la transcriptasi inversa. Il
virus HIV è un retrovirus.

RNA:
acido ribonucleico. Trasmette le informazioni genetiche conservate dal DNA
nella cellula. Tutto il materiale genetico del virus dell’immunodeficienza
umana è costituito da molecole di RNA.

Sieropositivo
o HIV-positivo
: soggetto che risulta positivo al test per la
ricerca di anticorpi anti-HIV. Egli è venuto in contatto con il virus HIV
e dovrebbe essere considerato potenzialmente contagioso tramite il suo
sangue e i rapporti sessuali. Quando il test non individua anticorpi, il
soggetto è detto «sieronegativo» o «HIV-negativo».

Sindrome:
un insieme di sintomi e segni che possono costituire il comune
denominatore di certe malattie. La sindrome da immunodeficienza
costituisce la caratteristica essenziale dell’Aids, ma può verificarsi
anche in altre patologie, come nelle malattie congenite o tumorali
(leucemia), o può essere indotta da farmaci (terapia immunosoppressiva nei
pazienti sottoposti a trapianto).

Sistema
immunitario:
tutti i meccanismi che intervengono a difendere
l’organismo contro i cosiddetti antigeni, cioè agenti estei (batteri,
virus, parassiti) o sostanze tossiche. Il sistema immunitario riesce a
distinguere gli aggressori presenti nell’organismo stesso da quelli
estei. Può riconoscere i nemici aggressivi, quelli contro i quali è già
in possesso di difese (naturali o acquisite). Sa organizzare il giusto
attacco agli antigeni. A questo scopo usa: gli anticorpi (o
immunoglobuline) presenti nel flusso circolatorio (risposta «umorale»);
cellule specifiche chiamate linfociti B e T, capaci di riconoscere gli
antigeni, organizzare la risposta e produrre nuovi anticorpi (risposta
cellulare); i macrofagi che intervengono dopo i linfociti e gli anticorpi.
I linfociti T4, che cornordinano le difese immunitarie, sono cellule
strategiche che costituiscono il bersaglio del virus HIV, che le paralizza
e le distrugge.

STD:
sexually transmitted disease (malattia venerea trasmessa), cioè qualsiasi
malattia che può essere contratta attraverso i rapporti sessuali. L’Aids è
essenzialmente una malattia venerea trasmessa.

Virus:
agenti infettivi responsabili di numerose patologie in tutti gli esseri
viventi. Si tratta di particelle piccolissime (visibili soltanto al
microscopio elettronico) che, diversamente dai batteri, possono
sopravvivere e moltiplicarsi solamente all’interno di una cellula vivente
a spese della cellula stessa.

In
sintesi


22 MILIONI DI MORTI

Il 70% degli adulti
e l’80% dei bambini sieropositivi vivono in Africa, così come sono
africani i 3/4 dei quasi 22 milioni di morti dall’inizio della pandemia.

Si stima che
nell’anno 2000, 3,8 milioni di persone si siano infettate nell’Africa a
sud del Sahara e che 2,4 milioni di persone siano morte per AIDS.

Si stima che circa
25,3 milioni di africani siano sieropositivi o ammalati di AIDS conclamato
ed in 16 paesi più di un adulto su dieci (dai 15 ai 49 anni d’età) sia
infettato.

Attualmente l’AIDS
è la principale causa di morte in Africa. Nel mondo ci sono 13,2 milioni
di bambini orfani per AIDS e fra questi 12,1 milioni vivono in Africa.

In alcune zone
dell’Africa Sub-sahariana nel 2000 il numero di nuovi infettati, per la
prima volta, non è stato maggiore dell’anno anteriore; ma si pensa che ciò
sia dovuto al fatto che la lunghezza dell’epidemia ha già coinvolto un
numero tale di adulti sessualmente attivi, che sono sempre meno quelli
ancora non infetti e quindi suscettibili di nuova infezione.

Nei paesi dell’ex
Unione Sovietica si registrano alcune delle tendenze più drammatiche
dell’epidemia. Solo nel 2000 ci sono state nella Federazione Russa più
nuove infezioni che la somma di tutti gli anni anteriori; ciò sarebbe
dovuto ad una complessa combinazione di crisi economica, rapidi
cambiamenti sociali, aumento della povertà e della disoccupazione, aumento
della prostituzione e a cambiamenti nelle abitudini sessuali della
popolazione.

La mortalità a
conseguenza dell’AIDS è discesa considerevolmente nei paesi ricchi nel
decennio del 1990 grazie fondamentalmente all’efficace terapia retrovirale
nei sieropositivi, che allunga la vita degli stessi. È però calato il
lavoro di prevenzione: 30.000 persone si sono infettate in Europa
occidentale e 45.000 nell’America del Nord nell’anno 2000.

Con una prevalenza
del 15% che duri nel corso della vita, moriranno più della metà di coloro
che oggi hanno 15 anni di età. In Botswana, dove c’è una prevalenza del
36%, più del 75% morirà di AIDS. In alcuni paesi questa tendenza sta
cambiando la piramide tradizionale della popolazione, e la nuova avrà la
forma di un camino con una base più stretta di giovani e bambini. Il
cambiamento più drammatico della piramide avrà luogo quando i giovani
adulti, infettati in età precoce, inizieranno a morire di AIDS.


Aids tra scienza e coscienza

Ma
se l’è proprio cercata?

Nel tunnel
chiamato hiv-aids si intravvedono confortanti spiragli di luce, dopo il
buio assoluto. Ma non per le popolazioni del Sud del mondo, anche se dal
Sudafrica giungono buone notizie circa il prezzo (finora proibitivo) dei
farmaci. In ogni caso la battaglia è durissima per tutti. Specie quando si
deve combattere contro ignoranze, pregiudizi, moralismi, cattiverie.

di Giancarlo
Orofino (*)


Alcuni anni fa, durante una festa per scambiarci gli auguri di
natale tra amici, simpatizzanti e volontari dell’associazione Arcobaleno
Aids (finalizzata al supporto psicosociale di sieropositivi), mentre si
brindava, ballava e scherzava, fui assalito da uno sconforto tremendo. Una
nube nera mi offuscò l’anima e quasi la vista. «È mai possibile – mi
dicevo – che, tra un anno o due, molte di queste persone (tutte giovani)
non ci saranno più?».

Quelli erano gli
anni davvero duri dell’Aids, quando le speranze dei nuovi farmaci venivano
quotidianamente infrante dalla scomparsa di coloro che non ce l’avevano
fatta ad arrivare in tempo. Non parlo di secoli fa. Parlo di anni, di
pochi anni.

Oggi quasi tutti i
sieropositivi di allora stanno bene: molti vengono in ambulatorio e
prendono i farmaci; mi parlano dei loro malesseri ma anche dei loro
progetti; mi mostrano le foto dei loro bambini.

Ecco cosa può fare
la medicina, la ricerca, in particolare nel campo delle malattie
infettive. Il «nemico» è noto, è conosciuto nei minimi particolari, è
attaccabile in maniera molto selettiva.

La
svolta di Vancouver

Yokoama, agosto
1994. Sono in Giappone (a mie spese) per sapere, dalla viva voce dei più
importanti scienziati del mondo, se vi sia qualche notizia importante per
la cura dei miei pazienti sieropositivi. Però too con le ossa rotte:
tante cose bollono in pentola, ma per ora non c’è niente e bisogna
aspettare. Il vaccino, poi, è un’utopia. Tante persone non ce la faranno…

Vancouver (Canada),
luglio 1996, prime ore del pomeriggio. L’aula è gremita all’inverosimile.
Non è la sede delle sessioni plenarie (cioè il Palazzo dello sport, da 15
mila posti), ma una sala comunque grande, non però così ampia da contenere
tutti i partecipanti a quel Congresso mondiale. Poiché la notizia si è
diffusa, sono tutti lì.

David Ho parla dei
nuovi potenti farmaci che, in due anni, con procedure assolutamente
rapide, sono già in commercio. L’oratore spiega come si può finalmente
curare e forse guarire l’Aids. Un fremito percorre l’uditorio: medici,
pazienti, giornalisti e operatori vari sono tutti coinvolti. È la svolta.

Dal 1996 poco tempo
è passato. E tutto è cambiato in meglio, anche se la parola «guarigione» è
rientrata nel cassetto. Purtroppo, però, il Sud del mondo si è
progressivamente staccato: qui i farmaci sono mai arrivati. Questo,
attualmente, è il cruccio più grosso che accompagna (dovrebbe
accompagnare) l’operato di chi si occupa di infezione da Hiv-Aids; questa
è la grande sfida da vincere al più presto, con l’impegno di tutti, ad
ogni livello.

Molte cose sono
cambiate vertiginosamente nel giro di pochi anni e molte sono quelle
ancora da fare: sul piano della prevenzione, della discriminazione, del
supporto psicologico e delle cure. Il ritmo accelerato delle scoperte
scientifiche obbliga al continuo aggioamento, alla verifica costante.


Il medico «sa»

Oggi si ammalano di
Aids solo coloro che pervengono alla fase finale della malattia, ignari di
essee portatori, o coloro che non assumono (o non possono assumere) le
terapie.

Però i sieropositivi
continuano lentamente ad aumentare e appaiono anche persone non più
giovani. Occuparsi dei pazienti implica sforzo e dedizione, sia perché
frequentemente alle spalle vi sono situazioni psicosociali pesanti, sia
perché, in assenza di figure istituzionali-psicologiche cui riferirsi, sul
medico vengono «scaricate» angosce e timori.

Il medico è uno dei
pochi che «sa» e pertanto con lui ci si deve sfogare. Per questo, a volte,
si termina l’ambulatorio sfiniti e appesantiti da tanti problemi. La
risposta del medico può essere o di coinvolgimento o di rigida osservanza
tecnico-scientifica o di fuga.

Personalmente mi
sono fatto molto prendere dalla malattia Aids sul piano del volontariato e
dell’impegno sociale; ma cerco anche, ogni giorno, di non farmi assorbire
troppo dai pazienti, per non finire «cotto» prima del tempo. Devo
assolutamente conservare un minimo di distacco che mi permetta di non
«identificarmi troppo», di non ammalarmi con essi.

D’altro canto l’Aids
ha completamente stravolto, in Italia e nel mondo, il classico rapporto
medico-paziente: un po’ per i motivi accennati e un po’ perché i malati
stessi sono stati lo stimolo per la ricerca e l’assistenza. Di più, oggi,
nella transizione da una malattia «a prognosi infausta» (diciamo noi
medici, ossia mortale) ad una malattia cronica, il coinvolgimento del
paziente è fondamentale: in primo luogo per le problematiche legate alle
terapie.

In questi anni
alcuni pazienti hanno compiuto molti passi in avanti
nell’autodeterminazione e consapevolezza; ma altri devono fare ancora
tanta strada. Quante meschinità e bassezze ancora si perpetuano con la
scusa del virus! Invece proprio il virus dovrebbe essere la molla che
spinge a cambiare alcuni aspetti della propria esistenza.

Ho visto cambiare
tante persone rompere il proprio guscio di egoismo, aprirsi agli altri.
Come sempre, «questo incredibile uomo» sa tirare fuori nei momenti
drammatici risorse sepolte ma vive. In Sudafrica, addirittura, alcuni
attivisti hanno intrapreso lo sciopero dei farmaci, in segno di
solidarietà verso i loro concittadini che non hanno i soldi per pagarsi le
cure (cfr. box, pagina 40).

Mentre sto scrivendo
questo articolo, è giunta la notizia che proprio in Sudafrica una grande
battaglia per la vita di tante persone sieropositive è stata vinta: le 39
case farmaceutiche hanno ritirato la causa contro la produzione locale dei
farmaci anti-Aids (con prezzi inferiori), grazie anche all’impegno e alla
forza di piccoli-grandi eroi.

Già, quanti «eroi»
ho conosciuto! Giovani che hanno saputo affrontare con dignità
straordinaria il dolore e la morte, arricchendo in qualche modo il mondo.

Nella introduzione
agli Atti del Convegno Outadali (Venezia, 16-19 ottobre 1997) si legge:
«Per la maggior parte degli altri noi siamo coloro che moriranno; ma
intanto siamo coloro che rivelano e testimoniano la necessità di un
cambiamento; siamo una parte dell’umanità che offre a tutti l’opportunità
di un modo nuovo di vivere, di amare e di morire».

Spesso penso ai
tanti pazienti perduti in questi anni e mi sento come un tenente che,
durante la battaglia, ha perso i suoi uomini di compagnia: Francesca,
Roberto, Gaetano, Filomena, Maria…

Giustamente si
paragona l’Aids ad una guerra, che miete milioni di vittime lontano da
noi. Prima eravamo tutti sulla «stessa barca»: questo secondo «Titanic»
incappato nell’iceberg dell’Aids. Per un momento tutti uguali; poi sono
arrivati i farmaci, le «scialuppe». Ma solo i più fortunati (i più ricchi)
vi hanno trovato posto.


«Ipersesso»
e stranieri

Accennavo alla
prevenzione. Al riguardo gli sforzi ed investimenti sono risultati
efficaci tra i tossicodipendenti e in una certa parte della popolazione.

Ma oggi sarebbe
necessario andare più in profondità: nei luoghi del rischio, nelle strade,
nei quartieri, e non basta. La società deve risolvere una situazione
schizofrenica che è anche frutto di uno sfrenato consumismo: da una parte
la «ipersessualizzazione» (ossia mettere il richiamo sessuale, ovunque e
comunque, per vendere o attirare di più) e, dall’altra, la paura
dell’Aids.

Ma a che gioco
giochiamo?

Luc Montagnier,
grande scienziato, nonché uno degli scopritori del virus dell’Aids, ha
affermato: «La decadenza dei costumi e delle abitudini sessuali è
certamente alla base della diffusione della malattia». Nei colloqui con i
pazienti o con coloro che vengono a fare il test, io cerco sempre di
insistere non solo sulla «protezione», ma anche sulla responsabilità e
maturità dei propri comportamenti. Penso, spero di non essere l’unico.

Esiste poi il grande
problema degli stranieri. Molti hanno paura del test: temono di essere
individuati, schedati, espulsi.

Non hanno ancora
capito che il medico gode (è uno dei veri e pochi privilegi che dobbiamo
tenerci ben stretti!) di piena autonomia ed è legato al segreto
professionale. Alcuni probabilmente hanno retaggi, che si trascinano dai
loro paesi d’origine, dove il sieropositivo è un reietto; altri non si
fidano; forse credono che non esista neanche l’Hiv.

La prevenzione con
gli stranieri e per gli stranieri è un capitolo in larga parte ancora
tutto da scrivere, ma bisogna fare presto. La malattia è curabile, sì, ma
se colta in tempo.

Vi sono poi alcune
situazioni particolari, come la gravidanza, in cui la diagnosi precoce è
ancora più fondamentale. Infatti se la donna sieropositiva viene seguita
dall’inizio della gravidanza, con la possibilità di prendere tutte le
misure medico-sanitarie del caso (terapia della donna, taglio cesareo,
cura del bambino nelle prime quattro settimane di vita), il rischio per il
figlio diventa bassissimo.

Prudenza,
non moralismo

«Dottore, che mi
consiglia? Sul posto di lavoro devo dire che sono sieropositivo?». La
domanda è frequente e la risposta è quasi sempre la stessa: grande
prudenza.

Purtroppo la gente
non è ancora matura per accettare la sieropositività; e pensare che spesso
tra un datore di lavoro o un collega sieronegativi e il dipendente o
compagno, anch’essi sieropositivi, l’unica differenza è stata solo un po’
più di fortuna o prudenza in qualche occasione…

L’ignoranza è ancora
dilagante. Si pensa che sieropositività significhi tossicodipendenza o
contagio anche solo parlando. Il popolino è assetato di notizie-bomba che
diano senso a giornate «vuote» di lavoro. E allora si lancia la sassata:
«Lo sai che Tizio ha l’Aids?».

Pure il moralismo da
quattro soldi è sempre di moda. «Se l’è cercata!» si dice. A parte il
fatto che nessuno cerca il proprio male, che ci conferisce il diritto o
l’autorità di giudicare? Il giudizio può essere o su un piano
legale-giuridico (e in tale caso bisogna avere le competenze specifiche e
studiare ogni singolo caso) o su un piano morale (ipotesi questa che
richiede una correttezza interiore che appartiene solo a Dio o ai suoi
legittimi rappresentanti). Quanti giudizi sono proferiti da persone
moralmente molto più a terra dei giudicati!

E poi, applicando
questo criterio, che dovremmo dire di coloro che hanno un tumore al
polmone avendo fumato per anni 40 sigarette al giorno? Che dire degli
infartati, che non hanno voluto dimagrire né prendere la pillola per la
pressione alta, o di coloro con la cirrosi frutto di anni e anni di abusi
alcolici? Tutti colpevoli e da condannare?…

Un giorno entra in
ambulatorio una signora: viene a ritirare i farmaci anti-Hiv per il
genero, che ha telefonato preannunciando la visita. Poche battute, un po’
di imbarazzo e poi la donna prende coraggio:

– Ma a questo qui,
quanto gli resta da vivere?

– Come ha detto?
Guardi che «questo qui» è un essere umano, ha sposato sua figlia; ed è un
mio paziente. Non si permetta di parlare così!

La signora abbozza
una scusa e se ne va. Pensava di trovare un alleato alla sua cattiveria.
Avrà capito?

In ogni caso ci
vuole prudenza e grande sensibilità da parte di tutti gli operatori
sanitari nella tutela della privacy. L’Hiv continua a non essere una
malattia come le altre. Forse non lo sarà mai.

Insieme ai farmaci,
l’altra grande medicina, che in questi anni ha curato e cura i malati, è
l’amore: ha coinvolto di volta in volta infermieri, medici, psicologi,
operatori a vario titolo, così come partner, familiari, amici, volontari.
Tante donne, in particolare, hanno saputo e sanno stare accanto ai propri
mariti e compagni superando i pregiudizi, le passioni, oltre che i propri
limiti.

Come ha ragione
quella paziente e amica che scrive: «Il cuore è una ricchezza inesauribile
ed è ben più contagiosa dell’Hiv!».

Tra 100 anni l’Aids
non ci sarà più. Di esso si parlerà come di una grande epidemia della
storia, che rischiava di cancellare continenti e intere generazioni.

Esiste un gruppo di
persone (tra le quali il sottoscritto), che lottano per ridurre quel tempo
maledettamente lungo, perché ogni secondo è una vita. La lista per
iscriversi è sempre aperta.

(*) Giancarlo
Orofino è dal 1993 specialista in malattie infettive all’ospedale «Amedeo
di Savoia» di Torino. È socio-fondatore dell’associazione
«Arcobaleno-Aids» a Torino. Nel campo dell’Aids ha partecipato a studi
clinici per la sperimentazione di nuovi farmaci e a progetti di assistenza
psicosociale. È membro dell’Inteational Aids Society.

L’«etica»
delle multinazionali farmaceutiche

Salvare
i brevetti (e i profitti)
o salvare le vite?


In un mondo sempre più privatizzato anche il «diritto alla
salute» sta diventando un lusso. Lo è già da tempo nei paesi del Sud del
mondo, dove si muore di malaria, diarrea, tubercolosi, polmonite. E ora di
Aids. Le cure ci sarebbero, ma costano troppo. Le multinazionali si
giustificano con gli elevati costi della ricerca. Peccato che i dati
smentiscano i pianti: i loro profitti sono in crescita e di gran lunga
superiori a quelli delle altre aziende. Così qualche paese (Thailandia,
India, Brasile, Sudafrica) ha provato a ribellarsi al sistema vigente,
sfidando le ire degli Stati Uniti e dell’«Organizzazione mondiale del
commercio». Vinceranno le ragioni del profitto o quelle del traballante
«diritto alla salute»?

di Paolo Moiola


UGUALI DAVANTI ALLA MALATTIA?

Qualcuno sostiene
che la malattia accomuna tutti, ricchi e poveri. Ritengo che questo possa
essere (parzialmente) vero per la morte, ma non lo è per la malattia. Gli
esempi si sprecano: il reperimento di organi (dai reni alle coee), le
liste di attesa per esami ed operazioni chirurgiche, l’accesso a farmaci e
strutture ospedaliere troppo spesso tutto si riduce a una questione di
soldi. Nei paesi del Sud in primo luogo, ma anche in molti paesi ricchi.

La sanità
statunitense non è quella bella e buona favoleggiata nella popolarissima
serie televisiva «E.R., medici in prima linea». Negli Stati Uniti il
livello delle cure mediche è eccelso soltanto per chi può permettersi di
pagare un’affidabile assicurazione sanitaria. La conferma viene dalle
graduatorie inteazionali che mettono ai primi posti della sanità
pubblica la Francia e, sorpresa, l’Italia, mentre gli Usa sono molto
indietro.

Come si fa a
conciliare il diritto universale alla salute con la privatizzazione della
sanità? Eppure, sembra proprio questa la strada battuta, soprattutto nei
paesi meno sviluppati dove la popolazione spesso non ha neppure il
necessario per mangiare.

Il problema si
ripete con l’Aids. La malattia, già soprannominata la «peste» del
millennio, ha fatto strage nei suoi 20 anni di diffusione. Ebbene,
guardando alle statistiche degli organismi inteazionali, si vede che
l’80 per cento dei decessi legati alla malattia è stato registrato
nell’Africa subsahariana, ovvero nei paesi più poveri del mondo.

Per essi il futuro è
nero, se si considera l’enorme diffusione del virus Hiv tra donne e
bambini. Ci sono paesi africani (Zimbabwe, Botswana, Zambia) dove più del
35% delle donne registrate nei reparti di mateità urbani (che
rappresentano un’esigua minoranza del totale) sono contagiate.

Rispetto al totale
mondiale, si calcola che circa 2/3 dei casi di trasmissione dell’Aids
dalla madre al bambino (durante la gestazione e, in misura inferiore,
durante l’allattamento) avvengono in Africa.

Gli scienziati sono
convinti che un vaccino contro l’Aids sarà pronto entro il 2007. Nel
frattempo, i malati di Aids hanno possibilità di sopravvivenza molto
diverse, a seconda che abitino nel Nord o nel Sud del mondo.

TERAPIE
DA 15 MILA DOLLARI

Le multiterapie
anti-Aids (un cocktail di medicine come l’AZT e il 3TC) oggi consentono
una consistente riduzione della mortalità. Però queste cure costano circa
15.000 dollari all’anno per paziente. Cifre impensabili per i paesi del
Sud, dove l’epidemia ha assunto connotati drammatici.

Alcuni di essi (come
Brasile, India e Thailandia) hanno trovato un modo per aggirare il
problema fabbricando copie a buon mercato dei farmaci brevettati. In
questo modo, il costo delle terapie è crollato a circa 350 dollari l’anno
per paziente.

Nel 1997 il
presidente sudafricano Nelson Mandela promulgò una legge, denominata
Medicine Act, che recepiva questa situazione. Con essa venivano presi due
provvedimenti per combattere il dilagare dell’Aids: da un lato si decideva
di acquistare i farmaci non necessariamente dall’industria nazionale
(costituita da filiali delle multinazionali), ma da qualsiasi paese estero
dove i prezzi fossero più convenienti. In altre parole, veniva instaurato
un mercato parallelo, che importava i farmaci (i cosiddetti «farmaci
generici») dai paesi le cui leggi nazionali permettono di ignorare i
brevetti sui farmaci in caso di urgente bisogno.

Il secondo aspetto
della legge, ancora più radicale, consisteva nell’autorizzare la
fabbricazione dei farmaci antiretrovirali da parte delle industrie locali,
anche in assenza dell’autorizzazione delle industrie farmaceutiche che
detengono i brevetti.

Contro la legge si
mobilitò immediatamente la lobby farmaceutica mondiale, con immediate e
pesanti pressioni sugli Stati Uniti e, di conseguenza, sull’Omc,
Organizzazione mondiale del commercio. Così, lo scorso 5 marzo, a
Pretoria, è iniziato il processo intentato da 39 case farmaceutiche contro
il governo sudafricano, colpevole di aver emanato una legge che viola gli
accordi sul commercio mondiale.

E qui il problema
assume connotati interessanti, riassumibili in un semplice quesito. Come è
possibile che multinazionali potentissime chiedano «protezione» dalle
conseguenze del libero mercato, usualmente icona intangibile del sistema
neoliberista?

FARMACI
«PROTETTI»
DAL «LIBERO» MERCATO

Dal 1994, ai paesi
aderenti all’Omc è stato intimato di sottomettersi agli accordi denominati
«Trips». Secondo questi, non è più possibile produrre un farmaco o
acquistarlo all’estero senza l’autorizzazione (contro versamento di «royalties»)
del proprietario dell’invenzione, che conserva questa prerogativa per 20
anni.

Tuttavia, sotto la
pressione di alcuni paesi, i Trips hanno previsto clausole di eccezione:
in caso di emergenza sanitaria o di intralci alla concorrenza (rifiuto di
vendita dell’inventore o prezzi troppo alti), ogni governo ha il diritto
di ricorrere alle «licenze obbligatorie» (compulsory licences) e alle
importazioni parallele. Le prime consentono di fabbricare un prodotto
senza l’accordo dell’inventore (come hanno fatto il Brasile, la Thailandia,
l’India); le seconde di acquistarlo là dove è venduto a minor prezzo (come
vuole fare il Sudafrica).

Di queste scappatornie
si lamentano le lobbies farmaceutiche, che vogliono imporre la
soppressione di ogni eccezione ai diritti di brevetto. Lo fanno attraverso
gli Stati Uniti, che a loro volta sono i veri decisori all’interno dell’Omc.

Poiché in campagna
elettorale la nuova amministrazione Bush ha accettato cospicui
finanziamenti dall’industria farmaceutica, aspettiamoci pressioni e
ritorsioni commerciali (ad esempio: la tassazione dei prodotti
d’esportazione) degli Stati Uniti sui paesi «disobbedienti».

È inutile negare
l’evidenza: i Trips sono clausole protezionistiche introdotte
dall’Organizzazione mondiale del commercio, grande sacerdotessa del libero
mercato. Libero finché fa comodo agli interessi privati dei grandi gruppi
industriali e finanziari.

Eppure, non occorre
essere oppositori del sistema neoliberista per affermare che i pazienti
non sono clienti e i farmaci non sono prodotti come gli altri. E che il
diritto di brevetto non può essere posto al di sopra dei bisogni
elementari dell’umanità. «Che i brevetti – ha scritto Le Monde
Diplomatique – assicurino l’avvenire è forse vero per l’avvenire della
ricerca privata e senza alcun dubbio per quello degli azionisti delle
compagnie farmaceutiche, ma in nessun caso per quello dei malati».

I
TAGLI ALLA SANITÀ PUBBLICA

Abbiamo parlato di
350 dollari annuali per pagare le cure a un malato di Aids utilizzando i
«farmaci generici». La cifra, pur bassa rispetto ai prezzi ufficiali,
rimane elevatissima per le finanze pubbliche dei paesi del Sud.

Negli anni passati,
la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale hanno imposto ai
paesi del Sud l’adozione dei famigerati «aggiustamenti strutturali». I
tagli delle spese pubbliche si sono tradotti in tagli ai già esigui budget
sanitari. Ha senso ora lamentarsi dell’inadeguatezza dei sistemi sanitari
nei paesi in via di sviluppo?

Nella maggioranza
dei paesi poveri (in particolare, di quelli africani) la spesa sanitaria
globale pro capite non supera i 10 dollari all’anno. Quindi, anche a
prezzi ultrascontati, offrire cure pubbliche ai malati di Aids sarebbe
impossibile. Soltanto un’esigua percentuale di fortunati vedrà difeso (più
o meno efficientemente) il proprio «diritto alla salute». Dunque, si
ritorna all’assioma di partenza di quest’articolo. Chi è povero, sia esso
lo stato o l’individuo, ha molte meno possibilità di rimanere in salute e,
ove malato, di curarsi.


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Guido Sattin Giancarlo Orofino Paolo Moiola