Forse Dio è malato

INCONTRO CON DEREK WALKOTT

Walcott, alla Fiera del libro:
La realtà e l’esistenza della poesia in ogni paese del mondo dimostrano la necessità poetica tra gli uomini. Noi però facciamo una cosa molto brutta, perché non permettiamo che i bambini sviluppino la loro immaginazione poetica.
Un bambino, ad una certa età, è un poeta puro. Questo è quanto William Blake continua ad indicarci. Il bambino è poeta. Ma noi facciamo «sporche azioni» contro l’immaginazione poetica del mondo, perché trasformiamo un poeta in ciò che pensiamo essere un adulto ragionevole.

Signor Walcott, grazie al cielo la sua creatività poetica non è stata uccisa dal mondo, come dimostrano questi bellissimi versi che rievocano l’incantato sapore dell’infanzia:

La pianta d’arancio, in varia luce/ Proclama quella favola perfetta ora/ Che il culmine estivo della sua ultima stagione/ Si piega da ogni ramo sovraccarico (da «In una verde notte», 1965).
Quando ha iniziato a scrivere i suoi poemi? Chi sono stati i suoi maestri?
Mia madre era insegnante e mi incoraggiò moltissimo. Da quello che ricordo, in vita mia ho sempre scritto. Forse iniziai all’età di sei anni o forse prima. Qualche volta recitai anche nel teatro della scuola metodista da me frequentata e ricevetti molto incoraggiamento.
Assai presto fui certo che avrei fatto lo scrittore. Anche mio padre era scrittore e pittore. Amavo memorizzare poesie. Giovani insegnanti mi incoraggiarono a scrivere, mentre una solida istruzione inglese mi permise di leggere i migliori poeti sotto la guida di bravi professori. All’età di 18 anni, mia madre mi aiutò a pubblicare la prima antologia poetica.

La sua vita e poesia rivelano sofferenza, documentata da alcuni versi come:
E la mia vita…/ non deve essere resa pubblica/ Finché non ho imparato a soffrire (da «Preludio», 1948); Io cerco/ al modo che il clima cerca il suo stile (da «Isole», 1962); Per cambiar lingua devi cambiar vita (da «Codicillo», 1970).
È, comunque, riuscito a mantenere la curiosità tipica dei bambini?
Quando una persona cresce non è più un bambino. Un genitore non è un bambino. Ho, però, lavorato moltissimo e continuo a farlo su me stesso per mantenere la chiarezza di visione del mondo che caratterizza i bambini.
Walcott, alla Fiera del libro:
Colombo, che forse pensava di essere in Cina, ha dato il nome «Santa Lucia» all’isola in cui sono nato. È un’isola sulla quale francesi ed inglesi hanno combattuto alternandosi nella sua proprietà per ben 13 volte. L’isola aveva un grande valore strategico, anche per la coltivazione della canna da zucchero, per non parlare della sua bellezza. A scuola i bambini cantano un inno dedicato a Santa Lucia, definendola «Elena delle Indie Occidentali».
Molti abitanti di Santa Lucia derivano i loro nomi da fonti bibliche o classiche, che ricordano quelli dati agli schiavi per alcune loro caratteristiche fisiche. Achille ed Ettore sono molto spesso pescatori, che non conoscono i personaggi di Omero.
La realtà dell’arcipelago caraibico è unica, anche se le immagini (con le quali sono cresciuto) di canoe che lasciano terra come una flotta o di canoe che rientrano verso terra… ricordano quelle di altri arcipelaghi.
La direzione di una cultura può essere indicata dalla sua musica. La musica dei Caraibi è un misto di tante fonti: francese, africana, indiana. In questo contesto anche uno scrittore attinge alle stesse fonti e non ha senso che la sua opera sia classificata nella fase «coloniale», «multiculturale», «indipendente».
Immaginate il carnevale di Port of Spain (Trinidad) con una banda di ottoni formata da bianchi, neri, indiani e cinesi che suonano, saltano e ballano. Se fossi in testa alla banda e la fermassi chiedendo «siete multiculturali?», quale sarebbe la loro risposta?… Solo quando lascio i Caraibi incontro queste definizioni.
La definizione «multiculturale» proviene dai centri accademici o dai politici del mondo. Personalmente provo risentimento quando la mia cultura è marchiata con tale termine. Qual è l’opposto di «multiculturale»? Forse «uniculturale»? «Multiculturale» ricorda «politicamente corretto». E che significa?

Le sue critiche sull’uso ed abuso di «multiculturale» dovrebbero essere meditate ed apprezzate. Colpiscono i seguenti suoi versi, che aboliscono ogni distinzione di razza e colore:
Gente di mare/ cristiana e intrepida (da «Un canto di marinai», 1962).
Se uno è cristiano…
Questa è la realtà dei Caraibi: noi ci sentiamo cristiani. Io sono metodista, ma nel mio teatro ho presentato anche personaggi cattolici; però, di fatto, nei Caraibi noi ci sentiamo cristiani. Non comprendiamo, perciò, tutte le barriere e divisioni che si incontrano nel mondo occidentale tra i cristiani: uno appartiene ad una chiesa, l’altro ad un’altra. Le chiese sono in lotta tra loro, per non parlare dell’alta percentuale di non credenti.

Citando questi suoi versi
di Dio la solitudine si muove nelle sue più minuscole/ creature
il poeta russo Brodskij afferma che «nessuna “foglia” (cioè noi) né quassù né ai tropici amerebbe sentirsi dire cose simili». Come credente, confesso che questi suoi versi mi piacciono, perché rivelano che lei crede in Dio.
Sì, ci credo veramente. Dio è presente in tutto il creato e in ogni creatura dell’universo. Penso, però, che Dio in una formica si senta proprio solo. La meravigliosa opera di Dio si manifesta anche nell’oceano maestoso. E allora…

Walcott, alla Fiera del libro:
Uno scrittore del Caraibi può soltanto scrivere al meglio. Il dovere di uno scrittore non è quello di istruire, ma di illuminare. Uno scrittore non deve essere accondiscendente con l’analfabetismo del suo pubblico. Noi scriviamo per la sensibilità della nostra cultura. Parlare di letteratura del Caraibi, formata da scrittori elitari (con il sottoscritto compreso), è stupidità accademica.
I drammaturghi greci, ad esempio, per chi scrivevano? Per molte persone analfabete. Chi ha mai chiesto ai drammaturghi greci di non essere elitari? Che cosa ci avrebbero lasciato? Aristofane che parla come Tarzan? Shakespeare per chi ha scritto? Per migliorare le nostre conoscenze. Se i classici non avessero «volato alto», non avremmo migliorato la nostra letteratura.
Ho fondato la compagnia teatrale di Trinidad e ho scritto opere al meglio delle mie possibilità. Questa è stata una benedizione, perché ho suscitato le emozioni degli spettatori, senza preoccuparmi della loro preparazione culturale. Forse gli spettatori non capiscono tutto il testo, ma recepiscono i sentimenti che scaturiscono dall’opera. Questa è la base del bravo scrittore caraibico: non sottomettersi a nessun sistema.
Il mio pubblico migliore è una grassa donna nera ai piedi del palco che ride e piange. E lei si merita che io scriva nel miglior modo possibile.

Il teatro caraibico è stato inventato da lei. Leggendo «Ti-Jean e i suoi fratelli» e «Sogno sul monte della scimmia», pare che fedi, credenze, sofferenze, speranze e sogni dell’Africa lontana, immersi in una scenografia ricca di musica e colori, caratterizzino questo teatro.
Il teatro caraibico è proprio così. Ho fondato il «Trinidad Theatre Workshop» 40 anni fa; l’ho seguito sempre con grande interesse e passione. Tanti bravi attori, ballerini e musicisti hanno contribuito al successo degli spettacoli. Ancora oggi continuano a rappresentare le mie opere teatrali con consenso di pubblico.

Nel 1970 a New York lei fu brutalmente assalito da una «baby gang», che ispirò questi versi:
E questo negro giallo lo picchiarono/ fino a farlo blu e nero/… Ragazzi a cui manca un po’ d’amore (da «Blues», 1970).
Con questi versi ci aiuta a capire le cause dell’inquietante fenomeno delle «baby gang», che ormai troviamo anche in Italia.
Quella fu un’esperienza molto dolorosa, che mi segnò profondamente e che ancora ricordo con tristezza. C’è molta violenza nel mondo, non solo fisica ma anche intellettuale. Credo che sia causata principalmente dalla mancanza di amore nei confronti di persone che possono avere tutto materialmente, ma non ricevono quell’amore fatto di ascolto e di attenzione.

Ecco, infine, alcuni suoi versi che lanciano messaggi di speranza:
tutto nella compassione ha fine (da «Rovine di una grande casa», 1962); o stella, doppiamente compassionevole (da «Stella», 1970); Amerai di nuovo lo straniero che era il tuo Io (da «Amore dopo amore», 1976); Gli amici che trattieni, o terra, sono più di quelli rimasti da amare (da «Canne marine», 1976).
Lei ci indica come valori importanti della vita: amicizia, amore, compassione.
Questi sono i valori veri. Non è forse stato scritto «amerai il prossimo tuo come te stesso»?

CHI E’ DEREK WALKOTT

Nato nel 1930 a Castries (Santa Lucia – Caraibi). Conta un bisnonno olandese, un nonno inglese e nonni africani. Cresciuto nella piccola comunità anglofono-metodista di Santa Lucia dalla madre, insegnante, e nella memoria del padre, pittore e poeta morto nel 1931, Walcott perfeziona l’istruzione al Saint Mary’s College dei missionari irlandesi della presentazione.
Laureatosi in inglese all’università delle Indie Occidentali di Mons (Giamaica), Walcott si fa conoscere negli Stati Uniti e in Gran Bretagna con poesie ed opere teatrali, scritte in un inglese raffinato ed elegante.
Maestro della metafora, cantore delle bellezze dei Caraibi e profondo conoscitore dell’animo locale, inventa il teatro caraibico: nel 1959 fonda a Port of Spain il Trinidad Theatre Workshop che dirige fino al 1997 portandolo in touée nei Caraibi, Stati Uniti e Canada. Dal 1979 Walcott insegna nelle università di Harvard, Yale, Boston. Nel 1990 pubblica Omeros, ritenuto il suo capolavoro. Nel 1992 vince il premio Nobel per la letteratura.
n In Italia Derek Walcott è poco conosciuto. Una minima parte della sua poderosa opera è stata tradotta in italiano. L’editore Adelphi ha pubblicato due libri: Mappa del nuovo mondo; Ti-Jean e i suoi fratelli – Sogno sul monte della scimmia.

Silvana Bottignole

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