Prima scena – Facevo lo scout

Un professore
di economia
all’università
entra in crisi.

Una giornalista della televisione del Bangladesh intervista il professor Muhammad Yunus.

Gioalista.
Questa sera, signore e signori, intervisteremo una personalità del mondo della cultura, un professore universitario, che è diventato famoso per aver fondato «la banca dei poveri»: Muhammad Yunus… Professore, dove è nato e qual è la sua professione?
Yunus.
Sono nato in Bangladesh, (ex Pakistan orientale), vicino a Chittagong, principale porto mercantile del Bengala. Ho 59 anni, sono di religione musulmana e mi sono laureato in economia. Dopo aver insegnato negli Stati Uniti (nelle università di Boulder nel Colorado e di Vanderbilt nel Tennessee), ho diretto il dipartimento di Scienze economiche a Chittagong.
Gioalista.
I suoi genitori hanno influito sulle sue scelte di vita?
Yunus. Mio padre era orafo: è stato un esempio di uomo forte, amorevole e fedele. Mia madre, casalinga, figlia di mercanti, ha cresciuto ed educato otto figli. Proprio grazie a mia madre, al suo amore per i poveri e diseredati, ho scoperto la mia vocazione. Da giovane ho frequentato gli scout e dallo scoutismo ho imparato molte cose: ad elevare la mente; ad essere caritatevole; a coltivare intimamente la religiosità più che a fermarmi agli aspetti esteriori del rito; ad amare e assistere gli altri esseri umani.
Gioalista.
Parliamo ora un po’ della banca «Grameen».
Yunus.
Nel 1977 ho fondato la «Grameen Bank», la «banca del villaggio», poiché «grameen» deriva da «gram», che significa villaggio. La «Grameen» è un istituto di credito indipendente che pratica microcredito ai poveri senza richiedere garanzie.
Gioalista.
Ma come è nata l’idea di dar vita ad una «banca dei poveri»?
Ho avuto, tornando dagli Usa, una forte crisi di identità: ho provato un senso di vuoto quando mi sono chiesto a che cosa potessero servire le belle teorie economiche che insegnavo. Esse avevano una risposta per tutti i problemi, mentre la gente del Bangladesh, del villaggio di Jobra, vicino all’università, continuava a morire di fame all’aperto. L’idea forte divenne questa: devo dare ad un altro essere vivente, specie se tra i più poveri dei poveri, non una teoria bensì un aiuto, anche modesto, ma reale.

Seconda scena
cinque lire al giorno

Sufia ha 21 anni,
tre figli
e costruisce sgabelli
di bambù.

Villaggio di Jobra, vicino al campus universitario di Chittagong. Il villaggio è diviso in tre parti con gente appartenente a religioni diverse: hindù, buddista e musulmana.
Questa è la storia di Sufia, una giovane donna, che sta fabbricando uno sgabello di bambù davanti alla sua casa diroccata. La lavoratrice è accovacciata per terra. Il professor Yunus la incontra con un collega nel 1976.

Yunus. C’è qualcuno in casa?
Sufia. Non c’è nessuno.
Yunus. Non si spaventi, non siamo estranei: siamo vostri vicini, insegniamo qui all’università e desideriamo soltanto rivolgerle qualche domanda.
Quanti figli ha?
Sufia. Tre figli.
Yunus. Questo che ha in braccio è davvero un bel bambino! Lei come si chiama?
Sufia. Il mio nome è Sufia Begum.
Yunus. Quanti anni ha?
Sufia. 21 anni.
Yunus. È suo il bambù che usa per lavorare?
Sufia. Sì.
Yunus. Dove lo prende?
Sufia. Lo compro.
Yunus. E quanto lo paga?
Sufia. Circa 500 lire.
Yunus. Usa i suoi soldi per pagare?
Sufia. No, me li faccio prestare dal rivenditore, il paikar.
Yunus. Dal rivenditore? E quali sono i vostri accordi?
Sufia. Io gli rivendo gli sgabelli confezionati alla fine della giornata; così ripago il debito. Quello che rimane è il mio guadagno.
Yunus. A quanto rivende uno sgabello?
Sufia. A 505 lire.
Yunus. Così il suo guadagno è di appena 5 lire!
Sufia. Sì.
Yunus. E non potrebbe farsi prestare il denaro da altri e comprare lei stessa il bambù?
Sufia. Sì, ma quelli che lo prestano sono commercianti e vogliono molti, molti interessi. Quando ci si lega con quelli, si diventa solo più poveri.
Yunus. Quanto vogliono, in generale, questi individui?
Sufia. Dipende… Talora il 10% a settimana. Ma io conosco un vicino che paga persino il 10% al giorno!

Sufia torna a lavorare; non può permettersi il lusso di perdere altro tempo a parlare. La sua storia dimostra che in tutte le società esistono usurai.
In Bangladesh, nel 1977, gli usurai si erano sostituiti al mercato ufficiale del credito. I poveri (non per loro colpa, ma per carenza di strutture finanziarie e istituzionali) erano inevitabilmente costretti a subire un processo di alienazione che li annullava, sino a spingerli verso il suicidio. Chi riceve a prestito somme da usurai, per rimborsarle dovrà ottenere un altro prestito e poi un altro: la spirale perversa si affranca solo con la morte.
Se la terra è offerta in garanzia agli usurai, questi ne godranno i frutti sino al rimborso totale del debito. Decorso un certo periodo, se il debito non viene estinto, il creditore-usuraio ha il diritto di comprare il terreno ad un prezzo prestabilito.

Terza scena

Un povero
idealista

Tale appare Yunus
al direttore
di una banca
governativa. Poi…

Nel 1976 Muhammad Yunus incontrò a Jobra il direttore della agenzia della banca governativa «Janata». Il professore aveva pensato di rivolgersi al sistema creditizio ufficiale per ottenere prestiti ai poveri.

Direttore di banca. Buon giorno, professore. Cosa posso fare per lei?
Yunus. Ho una proposta nuova da sottoporvi. Vorrei che effettuaste dei prestiti ai poveri di Jobra. La somma che richiedo è irrisoria. Ho già fatto io un prestito di 27 dollari a 42 persone. C’è molta gente che ha bisogno di denaro per poter lavorare: denaro per materie prime…
Direttore. Quali materie prime?
Yunus. Le rispondo: alcuni fabbricano sgabelli di bambù, altri intrecciano stuoie, altri sono conducenti di risciò. Se potessero avere prestiti da una banca a tassi commerciali, riuscirebbero a vendere liberamente le loro merci sul mercato e a trae un profitto sufficiente per vivere in modo dignitoso.
Direttore. È probabile.
Yunus. Oggi sono costretti a lavorare per tutta la vita come schiavi, senza riuscire a sottrarsi al giogo dei grossisti che prestano loro denaro a tassi di strozzinaggio.
Direttore. Sì, conosco l’usura.
Yunus. Ecco perché sono venuto da lei, per chiederle di concedere prestiti a queste persone.
Direttore. Questa è una cosa che non posso fare.
Yunus. E perché?
Direttore. Quella somma iniziale, di cui lei dice che avrebbero bisogno i poveri, non coprirebbe neppure i costi di tutta la pratica. La banca non sta certo a perdere tempo con queste inezie.
Yunus. Inezie? Per i poveri sono somme importanti.
Direttore. Aggiungo poi che tutta quella gente è analfabeta. Non sarebbe neanche capace di riempire i formulari.
Yunus. In un paese, dove il 75% delle persone non sa né leggere né scrivere, l’obbligo di compilare i moduli è ridicolo.
Direttore. Tutte le banche del nostro paese adottano queste regole.
Yunus. Certo. E questo è molto significativo, non le pare?
Direttore. Anche quando una persona versa del denaro, le chiediamo di segnare la cifra su di un modulo.
Yunus. E perché?
Direttore. Come, perché?
Yunus. Perché la banca non può prendere il denaro ed emettere una ricevuta che dice «ricevo la somma tale dal signor tale»? Perché deve essere il cliente a scrivere, e non può farlo la banca?
Direttore. Ma come si può mandare avanti una banca avendo a che fare con gente analfabeta?
Yunus. È semplice. In cambio dei contanti, la banca emette una ricevuta.
Direttore. E che cosa capita quando uno vuole prelevare?
Yunus. Non so. Un modo semplice deve esserci. Per esempio: la persona potrebbe presentare la ricevuta di versamento al cassiere e questi restituirle il denaro. I problemi contabili sono della banca.
Direttore. Non sono d’accordo.
Yunus. Mi sembra che il vostro sistema bancario sia fatto apposta per escludere gli illetterati.
Direttore. Professore, far funzionare una banca non è semplice come lei crede.
Yunus. Può darsi; però sono sicuro che non è neanche così complicato come lei vuol far credere.
Direttore. Guardi che in qualsiasi banca del mondo chi vuole un prestito deve riempire delle carte.
Yunus. Va bene. Allora posso incaricare qualcuno dei miei studenti di riempire i moduli al posto degli analfabeti. Ciò non dovrebbe creare dei problemi.
Direttore. Lei non capisce, professore, che non possiamo assolutamente concedere prestiti a persone che non possiedono nulla.
Yunus. Perché?
Direttore. Perché non offrono garanzie.
Yunus. Perché avete bisogno di una garanzia?
Direttore. È perché vogliamo che il denaro ci sia restituito che chiediamo una dimostrazione di solvibilità.
Yunus. È assurdo. I più poveri dei poveri lavorano 12 ore al giorno: per vivere devono vendere i loro prodotti. Non c’è ragione che non rimborsino, soprattutto se vogliono un altro prestito che consenta loro di resistere un giorno di più. È la miglior garanzia che possiate avere: la loro vita!
Direttore. Ma lei, caro professore, è un idealista, che passa troppi giorni sui libri.
Yunus. Se siete sicuri che il prestito sarà rimborsato, perché avete bisogno di garanzie?
Direttore. Perché questa è la regola.
Yunus. Allora solo chi dà garanzia può farsi prestare denaro?
Direttore. È così.
Yunus. È una regola stupida che fa sì che si presti denaro solo ai ricchi.
Direttore. Non sono io che faccio le regole: è la banca.
Yunus. Comunque io penso che le regole dovrebbero essere cambiate.
Direttore. In ogni caso noi, qui, non possiamo concedere prestiti.
Yunus. Davvero?
Direttore. Sì. L’agenzia riceve soltanto i depositi dell’università e dei docenti.
Yunus. Credevo che le banche funzionassero principalmente grazie ad attività creditizie.
Direttore. I prestiti possono essere concessi solo dalla sede centrale.
Yunus. Intende dire che se io (non i poveri) venissi a chiederle un prestito, lei non potrebbe dar corso alla mia domanda?
Direttore. Esattamente.
Yunus. Così, quando noi nelle aule insegniamo che le banche prestano denaro, diciamo una bugia?
Direttore. Ho solo detto che, per un prestito, lei deve rivolgersi alla sede centrale. Sta a loro decidere in un senso o in un altro.
Yunus. Se ho ben capito, è meglio che parli con i suoi superiori.
Direttore. È una buona idea.

Qualche giorno dopo, Muhammad Yunus si reca alla sede centrale della banca governativa Janata e incontra il direttore.

Direttore della sede centrale. I governi sono fatti per aiutare i più poveri. Ora, se lei trova nel villaggio di Jobra una persona benestante e disposta a farsi garante per il beneficiario del prestito, io penso che in questo caso la banca potrebbe rinunciare a chiedere una garanzia.
Yunus. Anche se ho dei dubbi che sia la soluzione migliore (perché il garante potrebbe approfittarsi della persona a cui offre la copertura), potrei propormi io come garante.
Direttore. Lei in prima persona?
Yunus. Sì. Accettereste che sia io a garantire tutti i prestiti?
Direttore. A quanto ammonterebbe la somma complessiva richiesta?
Yunus. Non oltre 10 mila taka (1 milione di lire).
Direttore. D’accordo. Accettiamo che lei faccia da garante per 10 mila taka. L’avverto che non potrà andare oltre.
Yunus. Però le dico che, se un beneficiario non rimborsasse, io non coprirò il debito!
Direttore. Essendo lei il garante, potremmo obbligarla a pagare.
Yunus. E come mi obblighereste?
Direttore. Potremmo intentare… una causa legale.
Yunus. Sarei curioso di vedere.
Direttore. Professor Yunus, lei sa benissimo che non porteremo mai in tribunale il capo di un dipartimento universitario, che si rende personalmente garante per un poveraccio. I soldi che potremmo ricuperare non compenserebbero la cattiva pubblicità. In ogni caso, il prestito richiesto è una tale miseria che non vale la pena di affrontare tutte le spese di un processo.
Yunus. Beh, la banca siete voi e sta a voi valutare costi e benefici… Sappiate, però, che se c’è una insolvenza io non pagherò.
Direttore. Lei mi rende le cose difficili, professor Yunus!
Yunus. Ne sono desolato, ma anche la banca rende le cose difficili a un sacco di persone, specialmente a quelle che non possiedono nulla.
Direttore. Io sto cercando di aiutarla.
Yunus. La capisco e non la biasimo: il mio contenzioso è con le regole della banca.
Direttore. A questo punto… non posso che caldeggiare la sua proposta presso i superiori della sede della capitale Dhaka. Staremo a vedere che cosa decideranno.
Yunus. Ma lei, direttore regionale, non è abilitato a prendere la decisione?
Direttore. Certamente. Ma il suo caso è troppo poco ortodosso perché lo tratti da solo. Devo chiedere l’autorizzazione dall’alto.

Dopo 6 mesi (dicembre 1976), Yunus ottiene a favore dei poveri l’apertura di credito che ha richiesto. Inizia l’avventura della banca «Grameen».

Quarta scena

Andrete all’inferno

L’opposizione
alla «Grameen»
dei capi musulmani.
Povere donne!

A ll’inizio l’attività dei funzionari della «Grameen» è stata molto difficile, anche per l’ostilità dei capi religiosi (mullah) nelle zone più tradizionaliste del paese… Un funzionario si reca in un villaggio per illustrare alle donne il finanziamento. Ma incontra il mullah.

Mullah. Signor funzionario della banca, se resta nel villaggio, lo fa a suo rischio e pericolo. Noi non possiamo rispondere della sua incolumità.
Donna. Signor mullah, perché ha minacciato il funzionario?
Mullah. Ditemi, donne, volete andare tutte all’inferno?
Donna. Perché all’inferno? «Grameen» non fa altro che del bene.
Mullah. Disgraziate! Non sapete che è una organizzazione cristiana?
Donna. Il direttore di «Grameen» è musulmano e conosce il corano meglio di lei.
Mullah. Lo scopo di quella gente è distruggere il velo: è per questo che sono venuti.
Donna. Non è vero! Sono venuti per darci la possibilità di fare il lavoro che pensiamo: fabbricare sgabelli, intrecciare stuoie, decorticare il riso, ingrassare una vacca, tirare su i figli… Non c’è nemmeno bisogno di uscire di casa: gli impiegati della banca vengono direttamente da noi. Cosa c’è di contrario al velo? L’unico che va contro il velo è proprio lei, che ci obbliga a fare chilometri per andare a cercare aiuto da un’altra parte.
Mullah. Andate alla bottega dei prestiti. Il padrone è un buon musulmano.
Donna. Ma vuole il 10% alla settimana.
Mullah. Ah, sentite, le vostre anime marciranno all’inferno!
Donna. Perché non ce li porta lei i soldi, se non vuole che andiamo dalla «Grameen»?
Mullah. Mi avete seccato troppo. Andatevene! Sono stanco di essere importunato giorno e notte da questa storia.
Donna. È lei che ci ha importunato, scacciando la «Grameen» dal villaggio. Non ce ne andiamo sino a quando non autorizzerà la banca a tornare!
Mullah. Andate tutte al diavolo! Se volete essere dannate, fate pure, accomodatevi. Io ho fatto il possibile per avvisarvi.

Visti i risultati raggiunti dalla «Grameen», sembra proprio che quelle donne abbiano preferito andare… all’«inferno»!

Quinta scena

A servizio
dei poveri

Regole diverse.
Oltre il 90% dei clienti della «Grameen»
sono donne.

A l termine di una conferenza, il professor Yunus apre un dibattito con il pubblico sul tema della concessione del prestito.

Domanda. A chi viene concesso il prestito?
Yunus. Il prestito è fatto al singolo, in quanto fa parte di un gruppo di persone legate da aspirazioni, condizioni economiche e sociali affini. Il beneficiario del credito appartiene alla vasta categoria dei poveri; è sottoposto dai funzionari della banca ad un approfondito esame verbale. La clientela è prevalentemente femminile: una clientela particolare, storicamente esclusa dal credito.
Domanda. Quali sono le principali caratteristiche del prestito?
Yunus. Il prestito non è elevato e a tasso d’interesse inferiore a quello delle banche; ha durata annuale, con rimborso settimanale a decorrere dalla settimana successiva a quella dell’erogazione del prestito. Le insolvenze sono limitate all’1-2% dei clienti.
Domanda. Ci può parlare del funzionamento della «Grameen»?
Yunus. Il funzionamento è molto diverso dalle regole delle banche tradizionali, anche quelle del Bangladesh.
– I clienti devono dimostrare di essere poveri: essendo anche azionisti della banca, il profitto atteso è l’uscita dal bisogno. La banca ha assolto il suo compito quando le vite dei clienti siano diventate meno difficili e meno sventurate.
– I prestiti erogati per finalità diverse devono produrre una redditività tale per i beneficiari da poter permettere di rimborsare le rate e di vivere una vita dignitosa.
– La banca deve favorire cambiamenti, non solo economici, ma anche sociali.
Domanda. Qual è stata l’espansione della banca in Bangladesh?
Yunus. La banca oggi ha 13 mila dipendenti e 1.086 agenzie; è diffusa in 30 mila villaggi del paese; visita 2.400.000 clienti a domicilio, di cui oltre il 90% sono donne.
Domanda. Che importanza ha la garanzia?
Yunus. Secondo i banchieri tradizionali, la garanzia è indispensabile. In realtà essa non serve a tutelare gli interessi della banca, ma a tenervi lontana la povera gente.
L’obiettivo della «Grameen» è di far sì che i clienti possano intraprendere, cioè possano utilizzare le proprie risorse di disperazione e coraggio per dare un nuovo corso alle cose.
La «Grameen» ha capovolto le due regole tradizionali del sistema creditizio. Prima regola: più si ha, più è facile avere; seconda: se non si ha niente, non si ricava niente.
I clienti, in quanto poveri, vogliono comportarsi bene, perché sanno che il prestito è la loro unica chance.
Domanda. Il modello della «Grameen» è esportabile in altri paesi?
Yunus. Sì lo è, ma non in modo integrale. Vi sono, però, caratteristiche applicabili dovunque:
– il tasso di recupero dei crediti erogati deve avvicinarsi al 100%;
– è indispensabile la giusta individuazione degli interlocutori.
Attualmente esistono banche che si rifanno alla «Grameen» in 58 paesi di ogni continente. I problemi dei poveri sono fondamentalmente gli stessi in tutte le parti del mondo. La cultura della povertà trascende le differenze di razza, lingua, costumi. Il credito è uno strumento universale per liberare le potenzialità delle persone.

Sesta scena

Anche con bill

Cercansi clienti
nell’Arkansas.
Donne, indios
e ghetti di Chicago.

Muhammad Yunus, fondatore della «Grameen», ricerca nuovi clienti nell’Arkansas (Usa), appoggiandosi ad un ufficio che concede sussidi statali e mette a disposizione i tabulati degli iscritti. Si organizza un incontro con alcune persone bisognose. È il 1986. Il governatore dell’Arkansas è un certo Bill Clinton.

Yunus. Supponiamo che la vostra banca vi presti del denaro per iniziare un’attività. Quale somma chiedereste?
Una voce. Ma noi non abbiamo un conto in banca.
Yunus. Ma se l’aveste e la banca vi prestasse del denaro, che cosa ne fareste? Vi è qualcuno tra voi che ha una idea? Magari avete pensato: «Se avessi dei soldi, potrei comperarmi quella data cosa…».
Sentite, io vengo dal Bangladesh, dove gestisco una banca speciale che presta denaro a persone bisognose. La settimana scorsa, in un incontro con il vostro governatore Clinton, mi è stato chiesto di portare la mia banca nella vostra comunità. Io sto valutando se aprire una banca proprio qui; ma prima sono venuto per capire se qualcuno è interessato a farsi prestare del denaro. La mia banca non chiede garanzie: l’unica cosa che occorre è che le persone abbiano un’idea di cosa fare con i soldi del prestito.
Donna A. Io vorrei chiedere un prestito alla sua banca.
Yunus. Benissimo. Di che cifra abbisogna?
Donna A. Mi servono 375 dollari. Faccio l’estetista, ma non posso lavorare come vorrei perché non ho l’attrezzatura necessaria. Se potessi comprarmi una valigetta per manicure, che costa appunto 375 dollari, sono sicura che potrei rimborsare il credito con i soldi in più che guadagnerei.
Donna B. Io sono disoccupata, in quanto la fabbrica di indumenti dove lavoravo ha chiuso per trasferirsi a Taiwan. Con qualche centinaio di dollari potrei acquistare una macchina per cucire, di seconda mano, e quindi confezionare degli abiti da vendere ai vicini.

L a «Grameen» negli Stati Uniti, oltre che nell’Arkansas, si è arricchita di altri numerosi progetti, fra cui: uno presso i sioux nel sud Dakota, un secondo fra i cherokee dell’Oklahoma e un terzo nei ghetti di Chicago.

Conclusione

Saranno famosi?

L’ultima parola
al fondatore
della Grameen Bank,
Muhammad Yunus.

La «Grameen Bank» si incentra sul microcredito, che va contro la cultura dominante. Con esso si favorisce lo sviluppo economico e sociale delle persone; si vince la povertà, che è la più grave tra le ingiustizie.

Da una conferenza
sul microcredito, Usa 1994
Il microcredito offre un’opportunità unica ai poveri: permette loro di affrancarsi dalla schiavitù del denaro offerto dagli usurai e di non mendicare più. Le donne, che prima vivevano recluse, oggi possono parlare, muoversi, scoprirsi la faccia dal velo e contrarre coscientemente un equo debito in denaro.
Il microcredito non va confuso con l’elemosina fatta ai poveri. L’elemosina non è risolutiva, perché ignora i problemi o li lascia incancrenire, toglie lo spirito di iniziativa, elimina il senso di rispetto che ognuno ha verso se stesso.
Il «libero mercato» libera l’individuo, gli dischiude un ampio ventaglio di opzioni, ma non è la panacea di tutti i mali sociali: occorre che il motore della libera impresa non miri soltanto al profitto e guadagno, ma sappia coniugare entrambi con le finalità sociali. Nella nostra società bisognerebbe avere il coraggio di valutare la qualità della vita non dallo stile di vita dei ceti più abbienti, ma da quello di coloro che sono situati nei gradini più bassi della scala sociale.
È stata mossa una forte critica nei confronti del microcredito, dicendo che non favorisce lo sviluppo economico del paese. Se per sviluppo si intende il reddito «pro capite», i consumi «pro capite» o qualche altra cosa «pro capite», la risposta è affermativa. Ma se per sviluppo si intende il miglioramento del tenore di vita della metà più povera della popolazione del Bangladesh, allora è vero il contrario: il microcredito favorisce lo sviluppo economico del paese.

Dal vertice mondiale
del microcredito, 1997
Come direttore di banca, il mio lavoro è quello di prestare denaro. Ma, paradossalmente, tutta l’impresa del microcredito, costruita per e con il denaro, ha nulla a che fare con esso. Il fine più alto della «Grameen» è quello di aiutare le persone a sviluppare il proprio potenziale: quindi non il capitale monetario, bensì quello umano. Il microcredito è solo uno strumento che permette alla gente di liberare i propri sogni, e aiuta anche i più poveri e sfortunati a infondere nella propria vita dignità, rispetto e significato.
Noi ci accontentiamo di rimuovere le barriere strutturali, che per tanto tempo hanno escluso una fascia di persone dal consesso umano. Se queste riusciranno a realizzare appieno il proprio potenziale, il mondo verrà completamente trasformato non solo dall’assenza di povertà, ma dall’impulso economico e sociale di coloro che fino a ieri dormivano ai bordi della strada, vagabondi e mendicanti, non sapendo se quel giorno o quello dopo sarebbero riusciti a mangiare.
Questo vertice sul microcredito è un evento grandioso nel quale celebriamo la liberazione del credito dal giogo della garanzia e salutiamo con gioia la fine dell’apartheid finanziaria. Affermiamo che il credito è più di una transazione commerciale: il credito è un diritto dell’uomo al pari del cibo. Il vertice festeggia il successo di milioni di donne decise, che si sono sollevate dalla povertà estrema a una dignitosa autosufficienza. Riteniamo che in una società umana e civile non vi sia posto per la povertà. Con questo vertice intendiamo relegare la povertà nei musei.

Da una conferenza all’Unesco,
1994
Noi vogliamo che la «Grameen», oggi conosciuta come la banca dei poveri, acquisti dopo il 2000 una nuova identità e diventi famosa come la banca degli ex-poveri.

Antonio Rossi