A che serve il mercato?
Perché la bimba se n’è andata? La fiala…
In Tanzania ho trascorso poco più di un mese: due settimane con i missionari della Consolata a Makambako, a nordest del Lago Malawi, e tre settimane a Mtwango, a 15 chilometri da Makambako.
Makambako, 13 settembre 1999
«A padre Giuseppe Inverardi, che partiva definitivamente da Makambako per Iringa, ho affidato mie notizie da comunicare in Italia via fax. Il missionario ci mancherà: è avvenuto tutto troppo in fretta. Buono, gentile, disponibile, colto, lungimirante, soprattutto umile. La sua partenza ha lasciato esterrefatto anche il vicario del vescovo di Njombe che, informato del nuovo incarico di superiore dei missionari in Tanzania, ha scosso la testa. Come dire: non ci voleva proprio per la diocesi.
I missionari sono così: seminano per lasciare il raccolto ad altri. Di loro c’è veramente bisogno in Africa.
17 settembre 1999
Questa mattina sono andato in un villaggio, per visitare la madre malata di un benestante. Non c’era. Incongruenze: fuori ce ne stavano mille altri!
Alla missione ho sgranato un po’ di mais; quindi un giro al mercato fra la gente che non può permettersi di comprare. Allora che ci sta a fare il mercato? Forse è solo per pochi. I tanzaniani mangiano una volta al giorno. Un po’ di ugali, la polenta bianca locale, con qualche erba. Spesso per indigenza si salta anche questo unico povero pasto.
Mtwango, 21 settembre 1999
Alle 10 viene a prendermi padre Tarcisio, missionario fidei donum di Brescia, da 23 anni in Africa. Ha 52 anni e sprizza energia da tutti i pori. Dopo 25 minuti di macchina, arriviamo alla missione. Non ho il tempo di riporre le valigie. Già mi attendono al dispensario.
Qui opera un «medico», con studi di praticandato in medicina lunghi (si fa per dire) due anni. Dei vari casi che via via succedono mi chiede gentilmente in inglese cosa io ne pensi, o meglio quale sia il mio parere. Incomincia così a prendere appunti e a prescrivere come io suggerisco; non essendoci però energia elettrica (cosa molto frequente da queste parti), non è possibile guardare al microscopio e le diagnosi di malaria vengono interpretate clinicamente.
Padre Tarcisio insiste perché io veda quanto prima Mariana, una bimba di quattro anni accompagnata da una sorellina maggiore. Vengono a piedi scalzi da un villaggio distante circa 20 chilometri… Mariana è in pessime condizioni: grave denutrizione, disidratazione, febbre, tosse. Dimostra un anno di vita. Probabilmente malaria e TBC insieme.
Il problema da risolvere subito è la reidratazione. Nelle esili braccia di Mariana prendo una vena, che si rompe subito. Riprovo, con lo stesso deludente risultato, mentre sister Fausta provvede zelantemente a rasare le regioni temporali per evidenziare altre vene. Anche qui fallimento.
La reidratazione sarà tentata per bocca domani. Però la sorellina riporta Mariana alla capanna del villaggio. È un caso davvero urgente. Ma ora chi la trova?
Alle 14 finisco con i malati del dispensario. Un boccone, e visito quelli che attendono in missione. Saranno una cinquantina di bambini tra i 10-15 anni.
Non mi sono mai sentito così bene. Difficile da spiegare: occorre solo provare. Per carenza di medicinali, arrivo a sottodosare i farmaci, ma qualcosa mi dice che tutto andrà bene.
27 settembre 1999
Upendo (in lingua swahili significa amore) sta morendo. È una donna di 34 anni, madre di cinque figli; il marito è deceduto quattro anni fa per Aids. L’ho vista ieri nel mio giro fra gli ammalati più poveri dei villaggi limitrofi. Non esiste macchina o altro mezzo che non siano i piedi a portarti da loro. Ti inoltri per strade e sentirneri sterrati, che sanno veramente di primitivo.
Questa mattina sono riusciti a portarla al dispensario: è cachettica, ha dolori addominali con vomito, diarrea, febbre, candidiasi orofaringea, disidratazione. È un Aids terminale. Sul suo volto si interpretano ancora lineamenti gentili, ma in quel letto (uno dei quattro disponibili) è un povero cristo in croce. Fleboclisi glucosata, antidiarroici, antiemetici, antimicotici, antidolorifici: è tutto quello che riesco fare con i pochi farmaci disponibili.
Dalle 8.30 alle 15.30 ho visitato ininterrottamente, mentre in serata vengo a sapere da padre Tarcisio che il piccolo dispensario di Mtwango non è mai stato così affollato come in questi giorni di mia presenza… Mangio qualcosa di scotto, un po’ di erbe africane e too da Upendo. Sono scomparsi il dolore e la diarrea, ma il vomito persiste.
Quanto vorrei avere almeno una fiala di plasil da mettere in flebo!
Andrea Valieri