BENIN – Sguardo d’amore

Nulla è impossibile per chi sa guardare gli altri
in modo diverso, con simpatia e amore.
È il succo di questa piccola vicenda:
una delle tante che costellano ancora (per fortuna!)
il nostro mondo.

Il sole splende forte e nitido nel cielo sereno di un piccolo angolo d’Africa. Alle sette del mattino ci sono già 30 gradi, la stagione delle piogge è in ritardo. Anche qui gli effetti nefasti del Niño si fanno sentire, con tutto il loro terribile carico: da mesi non scende una goccia di pioggia, la terra è secca, arida; manca la corrente elettrica da molte settimane; l’acqua è razionata; gli alberi di mango, papaia e banana non donano che poveri frutti rinsecchiti; le epidemie di meningite, tifo e molte malattie infettive si susseguono senza soluzione di continuità, abbattendosi su migliaia di uomini, donne e, soprattutto, bambini, già deboli e vulnerabili a causa di malnutrizione e povertà.
Eppure, per alcuni di questi bambini, oggi è un giorno meraviglioso, una benedizione del cielo. Sì, perché nel piccolo villaggio di Abomey-Calavi, in Benin, è arrivato il momento di inaugurare la casa «Sguardo d’amore», che ospiterà inizialmente una cinquantina di orfanelli: piccole creature deformi o semplicemente abbandonate, a causa di ataviche credenze ancora dure a morire, in questo lontano angolo di mondo.
UN AVVENIMENTO TERRIBILE
E pensare che questa bella storia è incominciata 6 anni fa, da un tragico fatto accaduto in un villaggio non lontano e non dissimile da quello di Abomey-Calavi.
Fu un mattino funesto e spaventoso per la gente del villaggio assistere al parto di una loro donna (perché il villaggio in Africa è la famiglia: tutto viene vissuto e condiviso collettivamente) e vedee con sgomento e stupore il prodotto mostruoso: due gemelle siamesi unite per il tronco.
Una creatura simile alle figure delle carte da gioco, con due teste, un paio di braccia e gambe ciascuna, ma un unico ventre: un unico organo riproduttore. Per il féticheur, lo sciamano del villaggio, non c’erano dubbi: «il mostro» sarebbe stato fonte sicura di sciagure per tutto il villaggio, se non lo si fosse soppresso quanto prima.
La madre, in un disperato atto di pietà, disse che ci avrebbe pensato lei stessa. Così, nottetempo, avvolse in un fagotto le sue creature e le portò lontano, in un altro villaggio. E qui la Provvidenza guidò, dopo qualche mese, un giovane medico beninese che, compiuti i suoi studi grazie agli aiuti di alcuni enti religiosi e laici, era da poco tornato nella sua terra per mettere al servizio della gente le sue capacità mediche.
Senza esitazione le bimbe furono portate al sicuro in un centro d’accoglienza, fondato dalle suore della congregazione «Figlie del cuore di Maria».
La Provvidenza continuò a guidare i primi difficili passi del cammino di Tayé e Kegnidé (questi i nomi delle due gemelle) con la presenza di alcuni missionari laici, appartenenti a un piccolo gruppo missionario di Merano (cfr. Missioni Consolata, marzo 1998). Questi le portarono in Italia nel disperato tentativo di salvarle.
Dopo tre mesi di esami, analisi mediche e studi al computer, dopo esitazioni e dubbi sfociati anche nella dolorosa ipotesi di salvae una, condannando l’altra, il 29 marzo 1993 un’équipe di 24 chirurghi e 8 anestesisti, guidata dal prof. Guglielmi di Padova, eseguì un intervento chirurgico durato ben 24 ore in cui si lavorò per dividere e salvare tutte e due le creature.
L’intervento riuscì, anche se non in modo risolutivo; molti erano ancora i problemi delle due piccole, come gli organi da completare e ricreare. Il 15 dicembre dello stesso anno venne eseguito un secondo intervento. Le bimbe incredibilmente risposero bene alle cure e, alla fine di aprile 1994, furono pronte per tornare nella loro terra, a una vita normale.
Ma quando tutto sembrava diventare sereno, il destino riservava loro ancora una brutta sorpresa.
UN REGALO DI NATALE
Alpidio Balbo del «Gruppo missionario di Merano» e la sua decisa signora Carmen riportarono al villaggio natale le bimbe, finalmente divise, ma il villaggio le rifiutò ostinatamente, minacciandole di morte.
Che fare a questo punto?
Il centro d’accoglienza delle «Figlie del cuore di Maria» prima e le suore di Madre Teresa di Calcutta, poi, si presero nuovamente cura delle piccole gemelline che, sebbene crescessero vivaci e allegre, avevano ancora bisogno di tante cure e affetto.
Il tempo passa. Siamo alla vigilia del Natale del 1995. Con un filmato girato dal signor Balbo, la storia delle gemelle viene raccontata anche in televisione. Il «caso» vuole che una famiglia italiana, residente a Monte Carlo, ne venga a conoscenza e accolga l’invito del «Gruppo missionario di Merano» per una fondazione che possa prendersi cura di queste bimbe e di tanti altri piccoli sfortunati.
Grazie alla generosità di questa famiglia, operante nel riserbo, proprio durante le feste natalizie del 1995 iniziano i lavori per la costruzione di una casa d’accoglienza per bimbi abbandonati.
Molte sono le forze che la stessa Africa mette in moto in una gara di generosità. Il medico che tre anni prima aveva salvato le gemelline da morte certa, in collaborazione con alcuni medici, infermieri e maestre d’asilo locali, il gruppo di Merano, i volontari dell’Avo di Padova e i missionari… tessono le fila per una fondazione seria: solide fondamenta, regole semplici e chiare permetteranno a questo progetto non solo di nascere, ma di avere continuità, affinché la sabbia del deserto non ricopra tutto ciò che un impeto di amore di alcuni uomini ha creato.

Siamo tornati sotto il sole del 13 aprile 1998. Sono le 11 del mattino e il caldo si è fatto torrido; ma ciò non toglie nulla al gentile «sguardo d’amore» di tante piccole creature, mentre assistono alla benedizione dell’arcivescovo di Cotonou, mons. De Souza. Si inaugura questa casa, completa di stanze, docce, servizi, un’infermeria e un giardino-giochi.
Quella che agli occhi degli uomini era una disgrazia si è trasformata in grazia agli occhi di Dio. Il fatto insegna che basta «uno sguardo d’amore parte di tutti perché il mondo sia salvato e viva la pace»: come recita la targa di legno appesa all’ingresso di questa piccola nuova casa.
Buona fortuna, Regard d’amour!

(*) Gianni Martinetto è medico. Lavora con il gruppo missionario di Merano che da quattro anni opera in Africa Occidentale.

Gianni Martinetto

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